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Piove, governo ladro!

“Piove, governo ladro” è un modo di dire che rappresenta il governo come fautore di ogni male possibile, capace anche di far piovere in una giornata d’estate.
L’espressione “Piove, governo ladro” ha origini storiche che risalgono al Regno Lombardo-Veneto durante l’occupazione austriaca, dove i contadini si lamentavano delle tasse elevate sui raccolti. La frase è stata documentata per la prima volta nel 1861 in una vignetta del caricaturista Casimiro Teja e potrebbe avere radici satiriche risalenti al Medioevo o all’antica Roma. Essa riflette il malcontento della popolazione nei confronti del governo, specialmente in relazione a tasse come quella sul sale, nota come “gabelle”. In sintesi, il detto esprime una critica alla gestione pubblica quando le cose vanno male, evidenziando la tendenza a dare la colpa al governo per le difficoltà quotidiane. (Cfr. Wikipedia)
Ma non è di questo che intendo parlare.
Piove, diluvia di nuovo su buona parte della nostra bella Italia e la Pasqua 2025 si annuncia ancora una volta bagnata, ma soprattutto accompagnata da notevoli disagi per chi deve viaggiare, approfittando dei favorevoli ponti con le festività del 25 aprile e del primo maggio.
Ponti (riferiti ai manufatti che servono per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua, di un braccio di mare, o di un profondo avvallamento del terreno) divelti dalla furia dell’acqua dei fiumi, allagamenti, frane e quant’altro di più catastrofico ci si possa aspettare.
E ci risiamo, com’è giusto che sia, con gli interventi alle popolazioni colpite e con gli interventi di messa in sicurezza delle infrastrutture e, laddove necessario con gli interventi di ripristino.
E questo fa il paio con i terremoti che non di meno fanno da corollario al nostro territorio di natura piuttosto ballerino.
Quanto spendiamo ogni anno e quanto abbiamo speso negli anni per queste situazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono caratterizzate dalla ripetitività, sia in termini di casistiche e sia riguardo alle specifiche localizzazioni?
Sicuramente abbiamo speso tanti bei soldini dei contribuenti, limitandoci però a mettere pezze e pannicelli caldi sulle ferite, anziché progettare e realizzare le necessarie ed adeguate opere atte a prevenire o per lo meno mitigare i suddetti nefasti fenomeni.
Gli investimenti (costi), quelli giusti, hanno peraltro un ritorno (benefici) per quanto attiene alla sicurezza delle popolazioni frequentemente colpite, oltre che per le economie che ne conseguono rispetto agli attuali interventi ripetitivi, non più necessari (salvo casi eccezionali).
E tali investimenti, programmabili per periodi temporali medio lunghi, comporterebbero un considerevole impiego di manodopera, dalla progettazione all’esecuzione delle opere (ingegneri, geometri, periti, avvocati, commercialisti, ragionieri, tecnici, muratori, carpentieri, fabbri, idraulici, manovratori di attrezzature meccaniche e tanti, tanti altri), con utilizzo di ferro, cemento, laterizi, e materiali più svariati, riattivando così diversi comparti ed indotti produttivi, al momento in crisi.
E il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) poteva e doveva rappresentare l’occasione propizia e favorevole per dare una raddrizzata al territorio italiano così fragile nella sua intrinseca “ossatura”.
Invece no, abbiamo preferito – fatte le debite eccezioni per le infrastrutture stradali e soprattutto ferroviarie, per le quali già da qualche anno c’è stata una certa inversione di tendenza: Autostrade e Linee ad Alta Velocità) – spendere il denaro per cose futili e di interesse elettorale.
O forse c’è uno specifico interesse a mantenere lo status quo, confidando nella cattiva sorte (alluvioni, frane, smottamenti e terremoti) per dispensare agli amici degli amici, con affidamenti diretti, dettati dai consueti motivi di indifferibilità ed urgenza, ogni genere di appalti e commesse, in barba all’indizione di gare formali per le progettazioni (fattibilità, definitive ed esecutive) e l’esecuzione dei lavori?
Al mio paese, si narra che tanti, tanti anni fa c’era un tizio che, accortosi di una perdita di acqua piovana dal soffitto della propria abitazione, chiamò un muratore per la riparazione del tetto, coperto con coppi in cotto (una tipologia di tegole).
Il muratore eseguì la riparazione per la quale venne ricompensato con una coppia di caciocavalli*.
Dopo qualche tempo, alla prima pioggia, la perdita ricomparve e venne nuovamente chiamato il muratore che eseguì la riparazione e venne ricompensato ancora con una coppia di caciocavalli.
E così, per anni: pioggia, infiltrazione, riparazione, caciocavalli!
Il muratore aveva un figlio, ormai divenuto grandicello, che cominciava a seguire il padre per apprendere il mestiere; e un giorno lo accompagnò sul solito tetto per la consueta riparazione, scoprendo all’istante che uno dei coppi della copertura era vistosamente bucato. “Padre” – esclamò – “Ho individuato il motivo dell’infiltrazione, c’è un coppo bucato da sostituire con un nuovo coppo integro”. E il padre, con voce pacata e tono suadente, gli rispose: “Figlio mio, evidentemente tu non vuoi più mangiare caciocavalli”.
A mio modesto parere, i detti, i proverbi, i modi di dire rappresentano la quintessenza della saggezza popolare ed in essi risiede la filosofia della vita stessa degli esseri umani.

*Il caciocavallo è un formaggio tipico del Mezzogiorno d’Italia (Regno di Napoli in particolare) e, secondo alcune fonti, trae la sua origine dall’uso di appendere ad asciugare i formaggi, legati in coppia, a cavallo di una trave.