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“Che sì jùte a Cevetèlle?”
Ho letto con vivo interesse alcuni recenti articoli di Raffaele de Seneen pubblicati su “Gazzettaweb.info” (giornale online al quale da tempo collaboro dalla Redazione Nord), riguardanti favole estratte “dai cassetti della memoria di AUSER-FOGGIANTICA – Favole foggiane”.
Sono particolarmente attratto dalle storie e dai ricordi che riescono a ricondurci, come per incanto, al nostro passato, alle nostre tradizioni di un tempo che non c’è più, e che costituiscono il legame indissolubile tra il presente e tutto quello che lo ha preceduto, mettendo peraltro in luce la schiettezza e la semplicità di come eravamo.
Ed è con questo spirito che ho scritto nel 2008 un libro dal titolo “Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse” – Edizioni del Poggio.
Un lavoro di ricerca, che mette in luce antichi aspetti di Poggio Imperiale – il mio paese di origine – simboleggianti un prezioso patrimonio da non disperdere, anche per fornire alle nuove generazioni testimonianza di una tradizione che deve necessariamente sopravvivere, poiché non ci può essere futuro senza memoria. [Per maggiori approfondimenti, si rimanda alle pagine di questo stesso Sito/Blog www.paginedipoggio.com].
Relativamente ai citati articoli di Raffaele de Seneen, è mio intendimento – in questa sede – soffermarmi per qualche istante su quello intitolato “A maèstre ‘u panarìlle (La maestra del panierino)” del 15/12/2012, in quanto l’autore ci porta a conoscenza del vecchio modo di dire foggiano:“Che sì jùte a Cevetèlle!?” (Che sei andato a scuola alla Civitella?), aprendo – nel contempo – un interrogativo circa le motivazioni che potrebbero averlo generato, oltre che riguardo all’effettiva esistenza di una scuola denominata “Civitella” in quel di Foggia.
La cosa, a dire il vero, mi ha incuriosito a tal punto che, a puro titolo personale, ho cominciato a fare qualche ricerca in proposito.
Queste le conclusioni alle quali sono pervenuto.
” Nel corso dell’anno 1829, Monsignor Antonino Maria Monforte, Vescovo della Diocesi di Troia (1824-1854), alla quale Foggia apparteneva per “giurisdizione spirituale”, si recò nella Città di Foggia per eseguire la Santa Visita, che lo impegnò per molto tempo.
In quel periodo, eresse uno stabilimento di educazione per i giovani sotto il nome di Convitto o Scuola Ecclesiastica, che godeva dei privilegi accordati ai Seminari Diocesani. Dotò la Scuola Ecclesiastica di lire ottocentocinquanta annue per concessione avvenuta nel 1837 della Commissione esecutrice del Concordato del 1818, derivante da censi suolari, una volta posseduti dai PP. Minori Osservanti di Gesù e Maria.
E, così, Monsignor Monforte acquistò con mezzi propri e con il concorso del Municipio di Foggia per ducati tremila l’ampio casamento, denominato “Civitella”, destinando la parte superiore a Seminario Scuola Ecclesiastica e le rendite dei fondaci a beneficio di essa.
Eretta in Foggia la Cattedra Vescovile con Bolla del 25 Giugno 1855, la Scuola Ecclesiastica fu tramutata con tutte le sue rendite in Seminario Diocesano”.
Le presenti fonti sono rinvenibili nella storia della Biblioteca Diocesana di Foggia accessibili sul sito http://www.bibliotecaprovinciale.foggia.it/sbp/Diocesana_fg/biblioteca.htm.
Orbene, alla luce delle suddette informazioni, credo che possiamo avanzare una prima ipotesi di risposta circa l’eventuale esistenza di una scuola “Civitella”, sostenendo che – probabilmente – c’è stata a Foggia una Scuola Ecclesiastica insediata nell’antico casamento denominato “Civitella”.
Più difficile risulta, invece, poter individuare le motivazioni che hanno generato il detto foggiano, soprattutto nei termini interpretativi esplicitati dallo stesso Raffaele de Seneen, il quale, testualmente, sostiene che « ‘A scòle ‘a Cevetèlle (la scuola della Civitella), che ricordo nelle sue varie forme ed occasioni di utilizzazione se non proprio in modo spregevole, almeno minimizzante, ridicolizzante: “Che sì jùte a Cevetèlle!?” (che sei andato a scuola alla Civitella?), a voler significare di aver imparato poco o niente ».
Appare infatti abbastanza azzardato ipotizzare che gli allievi di una Scuola Ecclesiastica (o Seminario) non imparassero “proprio niente”, anche perchè alcuni di essi venivano poi avviati verosimilmente alla vita sacerdotale.
Occorre, dunque, ricercare altrove motivazioni più coerenti e convincenti, riportandoci piuttosto al periodo storico cui ci si riferisce, allorchè il livello di istruzione giovanile era notoriamente e diffusamente precario, soprattutto in considerazione del peculiare momento della nostra storia patria.
E, forse, proprio in tale contesto, il particolare tipo di scuola (ecclesiastica), ove l’insegnamento era presumibilmente affidato ai sacerdoti del tempo, esponeva i medesimi allievi ad una condizione di inconsapevole “antagonismo” con i coetanei dell’epoca, che non frequentavano invece alcun tipo di scuola. Il giudizio “di merito” verso i soggetti che frequentavano la scuola “Civitella” potrebbe quindi aver avuto dapprima un significato di puro “sfottò”, fino a subirne, nel corso del tempo, il ribaltamento del senso, trasformandosi in un giudizio “negativo”.
Del resto, è notorio, che analoghe considerazioni venivano rivolte anche nei confronti dei rampolli delle casate nobiliari o comunque delle famiglie più abbienti, considerati poco avvezzi ad affrontare la “durezza” della quotidianità, che i “figli del popolo” dovevano – obtorto collo – giornalmente fronteggiare.
Ma, questa, è solamente un’ipotesi; magari un’ipotesi azzardata e lontana dal significato che al “modo di dire” si intendeva veramente attribuire. Sta di fatto, però, che – comunque sia – la circostanza ha destato interesse e “scatenato” la fantasia, come solo le favole di un tempo sapevano fare.
Foto: “Il Palazzo della Posta – Duca di Civitella” (demolito nel 1952 per motivi igienico-sanitari), in “La Foggia che non c’è più” di Alberto Mangano www.manganofoggia.it
Par agevolare il lettore, si riporta qui di seguito l’articolo di Raffaele de Seneen.
‘A maèstre ‘u panarìlle (La maestra del panierino)
Scritto da redazione il 15/12/2012
Un vecchio e ormai desueto modo di dire, specialmente oggi che di scuole pubbliche e private, di ogni indirizzo, ordine e grado ne abbiamo tante.
La nostra maestra, invece, quella del panierino, non aveva titoli e forse neanche predisposizione o vocazione, ma era solo una semplice donna del popolo che si elevava appena di una spanna sul suo restante mondo, sapeva appena leggere e far di conto.
A questo “modo di dire” ritrovato in un cassetto della mia memoria che l’amico Giuseppe D’Angelo, al secolo e in arte Pinuccio, ha involontariamente aperto, ne lego un altro: “ ‘A scòle ‘a Cevetèlle “ (la scuola della Civitella), che ricordo nelle sue varie forme ed occasioni di utilizzazione se non proprio in modo spregevole, almeno minimizzante, ridicolizzante: “Che sì jùte a Cevetèlle!?” (che sei andato a scuola alla Civitella?), a voler significare di aver imparato poco o niente.
Ora io non so se questa scuola “Civitella”, o qualcosa di simile sia esistita veramente, certo è che a Foggia esiste una via con questo nome che porta ad un omonimo Largo, il tutto nelle prossimità di Via le Maestre, toponimo che ha tutt’altra genesi rispetto a come lo si può leggere oggi.
Quindi, se qualcosa c’è stato di sicuro rispetto ad una scuola, alla sua ubicazione, può essere anche solo un caso questa contiguità toponomastica.
Resta il fatto che il senso minimizzante dato alla scuola della Civitella, e l’improvvisazione della maestra del panierino, mi portano a farne un tutt’uno, o quanto meno a riscontrarne forti similitudini.
Ma torniamo alla nostra maestra del panierino, è Rosa De Stasio, classe 1896, bisnonna, ramo materno, del nostro Pinuccio.
Ce ne saranno state sicuramente altre a Foggia, nello stesso periodo di nonna Rosa, in altre epoche, luoghi, rioni, ma è già tanta la fortuna di averne “conosciuta” una: maestra Rosa, o meglio, come la conoscevano tutti: Rusenèlle ‘a maèstre ‘i criatùre.
Pinuccio ricorda che il marito di nonna Rosa partì per la guerra, addetto alle comunicazioni, decorato, non tornò più.
A nonna Rosa, allora giovane, restò un figlio a cui cambiò il nome dandogli quello del marito deceduto in guerra, Peppenìlle, e dovette inventarsi un modo di vivere e tirare avanti, che mutò secondo i cambi di residenza in città.
Prima in Vico Troiano, prossimità Via Arpi, una specie di locanda dove preparava il desinare per i forestieri che venivano a trovare i ricoverati all’ospedale e alla maternità, da ultimo in Via San Severo s’inventò “maestra”. Teneva a bada in casa sua i bambini che nel “panariello” (cestino), chi lo aveva, portavano un po’ di merenda. Erano i figli più piccoli dei terrazzani del quartiere che glieli affidavano per esercitare la loro arte nomade della caccia, della raccolta delle erbe spontanee, nei periodi della coltivazione di piccoli campi a pisello o fave (i versurieri), della scerbatura o spigolatura del grano,
Per tenerli buoni e interessati fino al ritorno dei genitori bisognava impegnare quei bambini con racconti, filastrocche, semplici giochi e qualche rudimento sui numeri e sulle lettere dell’alfabeto, chissà mai fosse servito in età scolare.
E Pinuccio, foggianazzo, sentimentalone, memoria stoica della famiglia dice, riferendosi a nonna Rosa: “Alcune cose le ho dimenticate, ma questa no, perché a lezioni da nonna Rosa ci andavo anch’io”! e mi recita una piccola filastrocca:
A – tènghe a cacA’
E – il vasino non c’E’
I – eccolo lI’
O – sòtte ‘o chemO’
U – Nen tènghe a fa’ chiU’
Questa era nonna Rosa, ‘a maèstre ‘u panarìlle, chissà quanti terrazzanelli hanno imparato le vocali con questo metodo.
Le vocali, e forse i numeri fino a dieci, per quei tempi, già qualcosa.
Raffaele de Seneen
La Cattedrale di Foggia, ieri la riapertura … per soli tre giorni!
Ieri mattina alle 9, 30 il portone di ingresso della Cattedrale di Foggia ha riaperto i battenti in onore della Madonna dei Sette Veli, patrona della città, i cui festeggiamenti ricadono proprio in questi giorni.
La Basilica eretta nel 1172 ha spalancato nuovamente le sue porte al pubblico dopo ben sette lunghi anni di chiusura, complessivamente, durante i quali è stata oggetto di delicati interventi di restauro e di messa in sicurezza.
L’ultima chiusura in ordine di tempo si protraeva da 670 giorni.
I Foggiani e i turisti potranno tuttavia ammirare la parte della Cattedrale già restaurata solo nei i giorni 13, 14 e 15 agosto, poi ancora una breve chiusura di un paio di mesi per il completamento del restauro dell’altare maggiore e dell’organo, prima di essere definitivamente restituita agli splendori di un tempo.
Due anni, questi ultimi, di accurati lavori per curare le “gravi ferite” di cui il complesso monumentale religioso soffriva, per una spesa di 5 milioni e 200 mila euro.
Il lavoro più significativo ha riguardato il tetto, le capriate e la lanterna. Recuperati marmi, colori e dettagli architettonici non più visibili da tempo.
Ieri mattina, io e mia moglie siamo stati tra i primi visitatori a varcare la soglia della Basilica, riscontrando una discreta presenza di fedeli, curiosi e famiglie.
L’apertura di questi giorni, seppur limitata nel tempo, offre l’occasione per mostrare al pubblico lo stato dei lavori – radicali e necessari – che hanno interessato nella quasi totalità il Duomo dedicato alla Beata Vergine Maria Assunta in cielo, importante esempio del romanico di Capitanata ma che nel corso dei secoli è stato più volte rimaneggiato (nel Seicento e nel Settecento) e restaurato, anche se – per restituire completamente la Cattedrale alla collettività – sarà necessario attendere altri due mesi: il tempo necessario per completare gli ultimi interventi nell’area absidale (l’unica zona interna ancora nascosta da ponteggi). Dinanzi al telo che nasconde l’abside è stato installato un maxi-schermo che proietta le schede tecniche dei vari interventi pianificati per la Chiesa foggiana e le immagini che testimoniano le varie fasi di avanzamento dei lavori.
I lavori di restauro, sono quasi del tutto terminati: il cantiere esterno è stato ormai smantellato lasciando a vista la preziosa scatola muraria che ne conserva i caratteri medievali. In dirittura d’arrivo anche il completamento del restauro interno della Basilica che oggi si presenta con un’unica navata voltata a botte, con cappelle laterali e una cupola all’incrocio.