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Benvenuti in PagineDiPoggio.com
Poggio Imperiale, la Porta della Puglia e del Gargano.

Un poggio, un'altura,
un dolce declivio.
Un luogo privilegiato di osservazione
sul passato, presente e futuro.
Sul mondo intero.
(l.b.)
12
Ago

www.paginedipoggio.com … un vero successo!

Il Sito/Blog www.paginedipoggio.com compie il suo secondo anno di vita!

Gli argomenti finora trattati sono quelli ripartiti nelle seguenti “sezioni”:

Curiosità (3)

Ddummànne a l’acquarùle se l’acqu’è fréscijche (9)

Divagazioni (10)

Eventi (19)

Fatti & Misfatti (1)

Ricorrenze (4)

Storia (7)

Viaggi (12)

Work in progress (1)

Questa la classifica degli articoli più “cliccati”:

Lo “sciroppo d’acero” canadese (pubblicato in Viaggi, linkato 1658 volte)

YAD VASHEM IL MUSEO DELL’OLOCAUSTO DI GERUSALEMME: la didascalia contestata. (pubblicato  in Viaggi, linkato 1277 volte)

A Milano “folgorati” dalla “Conversione di Saulo” del Caravaggio. (pubblicato in Eventi, linkato 968 volte)

MASADA, la fortezza erodiana: il mistero del suicidio collettivo (pubblicato in Viaggi, linkato 813 volte)

La stella di Betlemme (pubblicato in Viaggi, linkato 748 volte)

L’ORO DELL’ANIMA – Antiche “Icone Russe” esposte per la prima volta in Italia e in Europa (pubblicato  in Eventi, linkato 650 volte)

Liquori di agrumi del Gargano: il “LIMOLIVO” e il “LIMONCELLO”. (pubblicato in Divagazioni, linkato 641 volte)

Ma cosa sta succedendo a “Torre Fortore – Lesina Marina“ e a “Torre Mileto” ? (pubblicato in Divagazioni, linkato 627 volte)

QUMRAN: IL MISTERO DEI ROTOLI DEL MAR MORTO (pubblicato in Viaggi, linkato 611 volte)

Perché a Milano il Carnevale…continua anche dopo il martedi grasso? (pubblicato in Eventi, linkato 537 volte)

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Con una punta di “1658 linkate" … ci si può ritenere davvero soddisfatti!

Un grazie di cuore a tutti i lettori.

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10
Ago

Le “Perseidi”

Alla lettera, le “Perseidi” – chiamate anche "Lacrime di San Lorenzo" – sono lo “Sciame meteorico radiante della Costellazione di Perseo, che si può osservare, di notte, tra il 9 e l’11 agosto” [Il Nuovo Zingarelli, Zanichelli Editore].

La notte del 10 agosto, ogni anno, gli occhi degli italiani nel mondo si rivolgono speranzosi al cielo, per cogliere al volo una stella cadente.

Se scientificamente la caduta delle stelle è da imputarsi al passaggio, all’interno dell’orbita visiva terrestre, degli asteroidi della costellazione Perseo (detti appunto Perseidi), culturalmente la pioggia di stelle è stata elaborata in modo più poetico.

Questa notte è infatti, da tempi immemori, dedicata al martirio di San Lorenzo, dal III secolo sepolto nell’omonima basilica a Roma, e le stelle cadenti sono le lacrime versate dal santo durante il suo supplizio, che vagano eternamente nei cieli, e scendono sulla terra solo il giorno in cui Lorenzo morì, creando un’atmosfera magica e carica di speranza.

In questa notte, infatti, si crede si possano avverare i desideri di tutti coloro che si soffermino a ricordare il dolore di San Lorenzo, e ad ogni stella cadente si pronuncia la filastrocca "Stella, mia bella stella, desidero che…", e si aspetta l’evento desiderato durante l’anno.

Nella tradizione popolare, le stelle del 10 agosto sono anche chiamate "fuochi di San Lorenzo", poiché ricordano le scintille provenienti dalla graticola infuocata su cui fu ucciso il martire, poi volate in cielo.

Anche se in realtà San Lorenzo non morì bruciato, ma decapitato, nell’immaginario popolare l’idea dei lapilli volati in cielo ha preso piede, tanto che ancora oggi in Veneto un proverbio recita "San Lorenzo dei martiri innocenti, casca dal ciel carboni ardenti".

Questa tradizione è così radicata e evocativa che anche il grande poeta Giovanni Pascoli vi dedicò un canto, chiamato X agosto, in cui rievocò la morte del padre ucciso in un’imboscata proprio quel giorno.

 X AGOSTO

di Giovanni Pascoli

San Lorenzo,

io lo so perché tanto di stelle

per l’aria tranquilla arde e cade,

perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:

l’uccisero: cadde tra i spini;

ella aveva nel becco un insetto:

la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce,

che tende quel verme a quel cielo lontano;

e il suo nido è nell’ombra,

che attende, che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:

l’uccisero: disse: Perdono;

e restò negli aperti occhi un grido:

portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,

lo aspettano, aspettano invano:

egli immobile, attonito,

addita le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi sereni,

infinito, immortale,

oh! d’un pianto di stelle lo inondi

quest’atomo opaco del Male!

Il fenomeno delle stelle cadenti è legato alla notte di San Lorenzo perché nel XIX secolo la pioggia delle stelle raggiungeva il suo massimo sviluppo proprio il 10 agosto, giorno dedicato alla festività del Santo.

Tuttavia, per ragioni astronomiche, quest’anno l’appuntamento è scivolato di un paio di giorni e la notte più favorevole sarà quella del 12 agosto.

Siamo anche fortunati: la Luna non è ancora al primo quarto e quindi non disturberà con la sua luce lo spettacolo, rendendo più facile l’intercettazione delle stelle cadenti.

Non resta che alzare gli occhi al cielo ed esprimere, come sempre, un desiderio!  


6
Ago

Processione della Madonna del Carmine

Il giorno 16 di luglio di ogni anno viene festeggiata a Poggio Imperiale la ricorrenza della festività della Beata Vergine del Carmelo, detta anche Madonna del Carmine.

Una devozione che risale al “tempo dei tempi” e che trova le sue radici nel culto della Madonna “protettrice dei muratori”, ma che coinvolge da sempre l’intera popolazione.

I festeggiamenti si svolgono in forma solenne con la celebrazione della Santa Messa seguita da una processione per le vie del paese con la statua della Madonna portata a spalle da squadre di “muratori” che, a turno, si danno il cambio.

Numerosi i fuochi di artificio che accompagnano la processione lungo tutto il percorso.

In serata, il consueto intrattenimento musicale in piazza e puntualmente a mezzanotte lo spettacolo di fuochi pirotecnici all’interno del campo sportivo comunale.

Le processioni

<< L’usanza di uscire per le strade portando in processione le icone e le statue di Maria e dei Santi scaturisce dal sentimento religioso popolare, che vuole esternare la propria devozione verso i “celesti patroni” e mettere sotto la loro protezione il paese, il quartiere o l’intera città. Mentre una mentalità razionalista ritiene le processione come “residuo di usi barbarici”, il “Direttorio su pietà popolare e liturgia”, pubblicato nel 2002 dalla Congregazione per il culto divino, la considera “espressione culturale di carattere universale e di molteplice valenza religiosa e sociale”. Riempite di contenuti cristiani, le processioni sono entrate fin dall’antichità nella liturgia. Per esempio, nel VII secolo il Papa Sergio I stabili per le quattro feste della Candelora, dell’Annunciazione, dell’Assunta e della Natività una processione notturna dal Foro Romano a Santa Maria Maggiore, dove si celebrava l’Eucaristia. Altre processioni sono entrate nel ciclo liturgico annuale, tra le più importanti quelle della Domenica delle Palme e del Corpus Domini. Mentre le processioni liturgiche sono in se stesse orientate all’incontro sacramentale con Cristo, quelle popolari in onore di Maria e dei Santi sono a rischio di apparire “mero spettacolo o parata puramente folkloristica”. Perciò il Direttorio invita a rendere la processione un’autentica “manifestazione di fede”: un segno della condizione pellegrinante della Chiesa, un percorso verso la mensa eucaristica, un “cammino compiuto insieme” nella preghiera e nella solidarietà >>. [Stefano De Flores, Mariologo, La Domenica, Periodico religioso n. 3 – 2010 Edizioni Periodici San Paolo s.r.l.].

Il Monte del Carmelo

<< In Terra Santa, nello stato di Israele, nello scenario ridente e poetico della Galilea, in un piccolo promontorio sopra il Mare mediterraneo, si eleva il Monte Carmelo, rifugio di molti virtuosi Santi che, nell’Antico Testamento, si ritiravano in quel luogo solitario per pregare per la venuta del Divino Salvatore. Ma nessuno di loro, tuttavia, impregnò di tante virtù quelle rocce benedette quanto Sant’Elia. Quando il profeta delle zelo ardente si ritirò lassù, verso il IX secolo prima dell’Incarnazione del Figlio di Dio, erano tre anni che un’implacabile siccità chiudeva i cieli della Palestina, castigando l’infedeltà degli ebrei verso Dio. Mentre pregava con fervore, chiedendo che il castigo fosse alleviato per i meriti di Quel Redentore che sarebbe dovuto venire, Elia mandò un servo sulla vetta del monte, ordinandogli: “Vai e guarda del lato del mare”. Ma il servo non vide niente. E, scendendo, disse: “Non c’è nulla”. Fiducioso, il profeta gli fece fare sette volte l’infruttuosa scalata. Alla fine il servo ritornò, dicendo: “Ecco, una nuvoletta come una mano d’uomo, sale dal mare”. Difatti, la nube era tanto piccola e diafana che sembrava destinata a scomparire al primo soffio dell’infuocato vento del deserto. Ma a poco a poco crebbe, si allargò nel cielo fino a coprire tutto l’orizzonte e precipitò sulla terra sotto forma di abbondante acqua. La piccola nuvola era una “figura dell’umile Maria”, i cui meriti e virtù avrebbero superato quelli di tutto il genere umano, attraendo il perdono e la Redenzione per i peccatori. Il Profeta Elia aveva scorto nella sua contemplazione il ruolo di mediatrice della Madre del Messia atteso. Fu, per così dire, il suo primo devoto. Una bella tradizione ci dice che, sull’esempio di Sant’Elia, vi furono sempre sul Monte Carmelo eremiti che lassù vissero e pregarono, recuperando e trasmet¬tendo ad altri lo spirito “eliatico”. E quel luogo santificato da uomini contemplativi richiamava altri contemplativi. Verso il secolo IV, quando cominciarono ad apparire i primi monaci solitari dell’Oriente, le pendici rocciose del Monte Carmelo accolsero una cappella, nello stile delle comunità bizantine, le cui tracce si vedono ancor oggi. Più tardi, verso il secolo XII, un gruppo di nuove vocazioni, questa volta venute dall’Occidente unita¬mente alle Crociate, aggiunse nuovo fervore all’antico movimento. Subito venne edificata una piccola chiesa dove la comunità si dedicava alla vita di preghiera, sempre animata dallo spirito di Elia. La piccola “nuvoletta” cresceva sempre di più. La crescita del numero dei fratelli della Madonna del Monte Carmelo rendeva necessaria un’organizzazione più perfezionata. Nel 1225 una delegazione dell’Ordine si diresse a Roma per richiedere alla Santa Sede l’approvazione di Una Regola, effettivamente concessa dal Papa Onofrio III nel 1226. Con l’invasione dei “luoghi santi” da parte dei musulmani, il superiore del Monte Carmelo diede il permesso ai religiosi di trasferirsi in occidente dove fondarono nuove comunità. In Europa i frati del Carmelo cominciarono ad andare vagando come membri di un Ordine quasi sconosciuto, malvisto e sull’orlo della scomparsa. La famiglia religiosa di Elia sembrava un tronco secco e vecchio, destinato in poco tempo al disfacimento. Era il momento atteso della Madonna per far rifiorire, sull’alto della verga disseccata, un fiore: San Simone Stock. Questo inglese di riconosciute virtù, pur eletto all’incarico di Generale dell’Ordine, non esercitava un’effettiva autorità sopra i suoi fratelli, poichè il Carmelo non possedeva ancora una struttura giuridica coesa e uniforme, capace di conservare uno spirito, promuoverlo e trasmetterlo alla posterità. La virtù compensava, però, la mancanza di autorità. Pregando la Madonna con molto fervore, San Simone La implorò che non permettesse la scomparsa dell’Ordine Carmelitano. In questa desolante situazio¬ne, la Santissima Vergine apparve al suo buon servitore (nel 1251) e gli consegnò lo “Scapolare”, perchè fosse usato sopra le vesti. In quell’epoca i servi usavano una tunica come abito civile. Sopra di essa indossavano una tunica più piccola, che indicava, per il colore e per le caratteristi¬che peculiari, l’identità del suo padrone. Lo Scapolare del Carmelo era simile a questa piccola tunica. La Madonna consegnava, quindi, a San Simone Stock una livrea propria dei suoi servi, affinchè fosse usata da tutti i carmelitani, e prometteva: “Ricevi, figlio dilettissimo, lo Scapolare del tuo Ordine, segno della mia fraterna amicizia, privilegio per te e per tutti i carmelitani >>.

Lo “Scapolare” della Madonna del Carmelo

<< Nelle apparizioni della Madonna a Fatima, nel 1917, sono state confermate le due principali devozioni mariane che hanno resistito alla prova del tempo: quella del Rosario e quella dello Scapolare. Donate agli uomini durante il Medioevo, queste devozioni concedono privilegi inestimabili in relazione alla perseveranza, alla salvezza dell’anima e alla conversione del mondo. Esse furono sempre importanti e attuali, ma con le rivelazioni di Fatima sono diventate ancor più necessarie e urgenti. Alla conclusione delle apparizioni, il giorno 13 ottobre, mentre avveniva il grande miracolo del Sole, visto da più di cinquantamila persone, la Madre di Dio si mostrò ai tre pastorelli nelle vesti della Madonna del Monte Carmelo, presentando nelle loro mani, lo Scapolare. E’ certo che, avve¬nendo in concomitanza con il fenomeno più alto fra tutti quelli accaduti nella “Cova da Iria”, la presentazione dello Scapolare durante quest’apparizione finale non fu un dettaglio senza importanza. Si può affermare che i privilegi inestimabili legati allo Scapolare sono parte integrante del Messaggio che ci ha lasciato la Madre di Dio a Fatima, unitamente al Rosario ed alla devozione al Cuore Immacolato di Maria. Infatti, i riferimenti all’Inferno e al Purgatorio, la necessità della penitenza e l’intercessione di Nostra Signora contenuti nel Messaggio sono in assoluta consonanza con le promesse collegate allo Scapolare >>.

Nota

Le informazioni sono frutto di ricerche eseguite su vari Siti Internet italiani e stranieri che trattano più dettagliatamente la materia di cui trattasi.


28
Lug

Un giro in Basilicata tra arte e borghi antichi.

Mi sono avventurato con mia moglie, nei giorni scorsi, alla ricerca della Basilicata Antica, della Storia e dell’Archeologia, in una terra i cui uomini risultano affini per cultura alla gente di Puglia.

VENOSA (la città di Orazio)

Sorge su uno sperone di origine vulcanica, a valle del monte Vulture; cittadina dalle antiche origini e dagli illustri testimoni, fonte di grande fascino per le lunghe vicende storiche che l’hanno segnata e per i suoi monumenti densi di mistero. Secoli di storia, racchiusi in uno splendido borgo, patria del grande Orazio, uno dei maggiori poeti dell’epoca romana, e di Carlo Gesualdo Principe di Venosa del periodo rinascimentale. “Città del vino” per la produzione del noto “Aglianico”, Venosa è annoverata tra i “Borghi più belli d’Italia”.

L’itinerario archeologico

Si parte dal “Parco Archeologico” dove sono visibili le terme, la”domus”, il complesso episcopale e i resti dell’Anfiteatro, testimonianza di una continua occupazione dalla fase repubblicana romana all’età medioevale inoltrata. Accanto al parco archeologico si sviluppa il “complesso della SS. Trinità”, uno tra i più interessanti monumenti dell’Italia meridionale che ospita la tomba di Roberto il Guiscardo, dei suoi fratelli e della prima moglie Aberada. La chiesa vecchia, sorta in età paleocristiana su tempio pagano e ampliata a partire dell’ultimo quarto dell’XI secolo con la chiesa nuova – rimasta incompiuta – è un capolavoro dell’architettura benedettina. Nelle vicinanze, si trovano le Catacombe ebraico-cristiane, scoperte nel 1853, ma già conosciute nel IX secolo, articolate in vari nuclei di notevole interesse storico e archeologico. Infine a nove chilometri dall’abitato, è possibile visitare il Sito Paleolitico di Notarchirico, costituito da un’area museale coperta con numerose testimonianze della presenza umana in epoca preistorica e, sulla strada di ritorno verso la città, la Tomba di Marco Claudio Marcello.

L’itinerario storico religioso

La Venosa antica comincia dalla fontana angioina o dei “Pilieri”, antica porta cittadina da cui si raggiunge il maestoso “Castello Ducale Pirro del Balzo”, che ospita il Museo Archeologico Nazionale con reperti dell’epoca pre-romana fino al tardo impero e ai normanni. Da lì, si può proseguire verso le “antiche fornaci” per giungere alla fontana detta la “Romanesca” e risalire poi fino alla Piazza Orazio Flacco, che ospita il monumento al poeta latino. A seguire “Palazzo Calvini” e la Cattedrale di S. Andrea per arrivare, infine, a quella che la tradizione indica come la “Casa di Orazio”.

MELFI (la città delle Costituzioni)

Cittadina medioevale, nota per essere stata la sede amministrativa dell’imperatore Federico II di Svevia, da cui emanò le famose Costituzioni, si erge maestosa su di una collina raccolta da una cinta muraria unica nell’Italia meridionale.

L’abitato è dominato dal bellissimo Castello normanno-svevo, risultato di interventi a più riprese nel corso dei secoli. Costruito dapprima dai normanni, fu ampliato da Federico II di Svevia; Carlo D’Angiò vi aggiunse poi alcune torri, quindi i Caracciolo e poi i Doria lasciarono la loro impronta. L’ingresso attuale del castello, che si apre sulla città sul versante orientale, era dotato i ponte levatoio. Le torri sono dieci, di cui sette rettangolari e tre pentagonali. Nel corpo centrale è stato istituito il “Museo Archeologico Nazionale del Vulture Melfese” con ricca collezione di reperti rinvenuti nell’area del Vulture. Di rilievo lo stupendo sarcofago del II secolo d.C., ritrovato a Rapolla nel 1866.

Nel borgo

Dalla “Porta Venosina”, una delle sei porte di Melfi ancora esistenti, è possibile ammirare una piccola parte delle antiche mura della città e l’affascinante panorama del Vulture. Dell’edificio normanno della Cattedrale dedicata all’Assunta, edificato nel 1153, è rimasto solo il campanile, mentre il corpo dell’edificio fu quasi interamente rifatto nel XVIII secolo in stile barocco. Accanto alla Cattedrale il monumentale complesso del “Palazzo Vescovile”, uno dei più belli d’Italia, opera del secolo XVIII.

Nei dintorni

A circa tre chilometri da Melfi, si trova la “Cripta di Santa Margherita”, la più importante chiesa rupestre del melfese, interamente scavata nel tufo, risalente al XIII secolo. L’interno della grotta è ricoperto di affreschi dove misticità ed arte si fondono nella rappresentazione di una moltitudine di santi raffigurati in stile bizantino e in stile catalano. Sulla parete dell’altare centrale un ciclo di pitture racconta la vita e il martirio di Santa Margherita. La bellezza e la ricchezza delle pitture rupestri all’interno della cripta trovano il loro punto focale in un dipinto alquanto particolare, “Il monito dei morti”, dove tre personaggi dividono la parete con due scheletri minuziosamente ritratti in una “danza macabra”, una sorta di “monito ai vivi” riguardo al loro inesorabile destino. Solo di recente, dopo diverse ipotesi, gli studiosi hanno stabilito l’identità di quelle figure che sembra rappresentino l’Imperatore Federico II con il figlio Corradino e la sua terza moglie, Isabella d’Inghilterra.

Ulteriori visite interessanti in zona a RIONERO, città delle famose “acque minerali”, ed ai Laghi di Monticchio.

ACERENZA (la città “Cattedrale”)

Posta su una rupe di olre 800 metrinell’alta valle del Bradano, viene definita “Città Cattedrale” poiché si raccoglie intorno al suo splendido Duomo, simbolo della cittadina e monumento dichiarato di interesse nazionale. Le sue origini sono antichissime, dal neolitico fino all’epoca romana, attraverso la dominazione dei Goti, Longobardi e Bizantini. Nel 1059 durante il Concilio di Melfi, il vescovo Godano fu insignito della dignità di arcivescovo metropolita con giurisdizione su tutta l’antica Lucania, avendo posto i buoni uffici tra i Normanni e il Papato. L’Arcivescovo Arnaldo poi con i finanziamenti di Roberto il Guiscardo fece erigere la maestosa Cattedrale. Fu governata in successione da svevi, angioini, aragonesi per divenire infine cittadina feudale. Il centro medioevale è stato inserito tra i “Borghi più belli d’Italia”. Acerenza è anche “Città del vino” per la produzione del’ottimo vino Aglianico del Vulture.

La Cattedrale, simbolo della città

La Cattedrale, dedicata a S. Maria Assunta e a S. Canio, è uno dei monumenti più importanti della Basilicata. Fu costruita nell’undicesimo secolo sull’area della chiesa paleocristiana, a sua volta sorta su un tempio pagano dedicato a Ercole Acheruntino. La realizzazione voluta dall’arcivescovo Arnaldo già abate dell’abbazia di Cluny fu costruita sotto la direzione di architetti francesi che si ispirarono al monastero benedettino francese. Nella cripta, realizzata sotto il presbitero nel 1524, uno degli esempi più interessanti del Rinascimento nel Mezzogiorno d’Italia, si conserva un pregevole sarcofago dei conti Ferillo, un’antica acquasantiera e gli affreschi cinquecenteschi attribuiti a Giovanni Todisco di Abriola.

Il borgo

Il caratteristico centro storico conserva quasi intatta la struttura medioevale fatta di viuzze che si intersecano tra loro. A fianco della Cattedrale si può ammirare il palazzo cinquecentesco, ex sede della Pretura e , lungo i vicoli del borgo, diversi palazzi gentilizi settecenteschi con portali in pietra che riportano spesso lo stemma delle antiche famiglie. Ne è un esempio il Palazzo Gaia, nei pressi di Porta San Canio. Nei locali restaurati del castello medioevale si può visitare il museo diocesano, con reperti archeologici di epoca greca e romana, tre cui il busto dell’imperatore romano Giuliano l’Apostata, e una ricca collezione di oggetti d’arte sacra. Altra tappa è il museo dei legni intagliati, una collezione di 3000 pezzi dell’artigianato contadino e pastorale, sito nel monastero del XV secolo. In via delle Cantine, la visita alle antiche grotte per la lavorazione e conservazione del vino Aglianico, tutte interamente scavate nella roccia.

Inoltre, nei paraggi di Acerenza, è ancora visibile un antico insediamento denominato “La città dei Palmenti”, ove sono presenti innumerevoli grotte che un tempo assolvevano alle identiche funzioni, in prossimità dei vigneti.

IL VALLO DI DIANO – PADULA – LA CERTOSA DI SAN LORENZO

Il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano preserva nei suoi 181.048 ettari di territorio protetto, un patrimonio di inestimabile valore, frutto dell’armonica integrazione tra ambienti naturali e opera dell’uomo, incessante ma per fortuna equilibrata.

Nel cuore del Vallo di Diano sorge la cittadina di Padula, che pur ricadendo nel territorio campano della provincia di Salerno, mostra molte affinità con la confinante terra di Basilicata.

La “Certosa di San Lorenzo”, conosciuta in tutta Europa per la sua magnificenza architettonica, spicca maestosa a valle dell’insediamento urbano di Padula, che si presenta abbarbicata su uno sperone roccioso, in un dedalo di viuzze lastricate di scale e scalini. In una di quelle case, su in cima nel vecchio borgo, è nato nel 1869 Joe Petrosino, il poliziotto americano che sfidò per primo la mafia italo – americana e che nel 1909 venne barbaramente ammazzato a Palermo, in Sicilia. La visita guidata della casa – museo di Joe Petrosino è davvero interessante.

La Certosa di San Lorenzo

Ubicata sotto la collina dove sorge il paese di Padula, è uno dei monasteri più grandi nel mondo e tra quelli di maggior interesse in Europa per magnificenza architettonica e copiosità di tesori artistici. L’edificio originario su cui sarà costruita la Certosa, la Grancia di San Lorenzo dell’Abbazia di Montevergine, già appartenuta ai monaci Basiliani, fu donata nel 1306 dal conte di Marsico e signore del Vallo di Diano, il normanno Tommaso Sanseverino, ai Certosini: ordine religioso fondato nel 1084 da San Brunone in Francia, a Chartreuse. Sulla decisione del conte Tommaso di fondare la Certosa pesò senz’altro la volontà di porre un sigillo al vincolo di fedeltà che lo legava alla dinastia francese degli angioini, i quali nutrivano una particolare benevolenza in favore dell’ordine dei certosini: in tal modo rafforzò l’appoggio angioino alla sua posizione di signore del Vallo di Diano che, naturalmente, egli svolgeva per contraccambio in funzione anti aragonese; il Vallo di Diano, infatti, era cruciale territorio di collegamento fra la Campania e la Calabria, quest’ultima sotto il controllo della dinastia aragonese. In secondo luogo, inoltre, Tommaso Sanseverino potè contare sulla preziosa opera di bonifica che i Certosini svolsero nella valle invasa dalle paludi, a causa delle piene del fiume Tanagro, non più adeguatamente governate per secoli dopo la caduta dell’impero romano. La Certosa di San Lorenzo fu progettata secondo la struttura tipica delle certose, che rispecchiava la vita religiosa e pratica dell’ordine. L’organizzazione degli spazi seguiva la distinzione tra una parte alta, dove alloggiavano i padri certosini, conducendovi una vita intimamente religiosa ed ascetica; e una parte bassa, cioè gli ambienti che, per la loro collocazione bassa, per l’appunto, erano adatti all’esercizio delle attività mondane. Qui stavano i conversi, che avevano il compito di curare i rapporti con le comunità residenti nel territorio circostante, di amministrare i beni delll’ordine, di sovrintendere alle attività agricole ed artigianali. Un muro molto esteso, pensato a scopo di difesa, circonda il monastero. Immediatamente dietro le mura vi erano gli orti. Dopo Avere varcato il portale d’ingresso si potevano osservare i depositi, le stalle ed il ricovero per i pellegrini. Anche la chiesa era divisa tra una parte alta, riservata ai padri, e una parte bassa, per i conversi. La Certosa, pur avendo subito profonde trasformazioni nel corso dei secoli, ha conservato la sua struttura delle origini. Per quanto riguarda i particolari, invece, rimangono soltanto le volte della chiesa ed elementi architettonici vari trasferiti dalla loro ubicazione originaria per essere riutilizzati in altri ambienti. La porta della chiesa è del ‘300. Al ‘400 risalgono il bassorilievo in pietra al lato delle scale che conducono alla foresteria e, probabilmente, la bella scala a chiocciola che porta alla biblioteca. Nel ‘500 furono costruiti, in particolare, i due cori della chiesa, una riservata ai padri e l’altra ai conversi, e il chiostro della foresteria. I lavori per la ristrutturazione e l’ampliamento del chiostro grande si protrassero oltre la metà del ‘600. In questo secolo la chiesa fu impreziosita con arredi sacri in argento. Nel corso del ‘700 fu edificato il refettorio attuale, mentre i vari ambienti furono abbelliti con decorazioni in stucco. Passato il Regno di Napoli sotto il dominio della Francia di Napoleone Bonaparte, gli ordini religiosi furono soppressi, e così la Certosa di Padula cadde in disgrazia: essa fu spogliata del suo patrimonio di libri, d’archivi e d’arte, dei suoi tesori in oro ed argento, del Tabernacolo in bronzo, oggi nuovamente collocato nella sagrestia del Convento. Cessata la dominazione francese, i certosini poterono tornare nel monastero. L’antica magnificenza rimase però soltanto un ricordo nostalgico d’altri tempi e, anzi, vi fu una progressiva decadenza che portò nel 1866 alla soppressione del monastero. Nel 1882 la Certosa fu dichiarata monumento nazionale e affidata alle cure del Ministero dell’Istruzione Pubblica. Ciò nonostante non seguirono interventi concreti di recupero, così il peggioramento del suo stato proseguì. Solo a partire dal 1982, quando il monastero fu affidato alla Soprintendenza dei Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno, furono avviati lavori importanti di restauro e promosse iniziative di valorizzazione.

Oggi la Certosa, divenuto centro vitale d’iniziative culturali d’ampio respiro, ospita il Museo Archeologico della Lucania Occidentale e laboratori di restauro altamente qualificati.

Dal 1998 il monumento è stato dichiarato dall’UNESCO “Patrimonio dell’Umanità”.

Nel surreale paesaggio dei giardini della monumentale Certosa di San Lorenzo, si è tenuta anche quest’anno, per la quarta volta, nei giorni 23, 24 e 25 luglio 2010, la trentesima edizione del Concorso Ippico Internazionale.

Nota:

Molte delle informazioni riportate sono tratte da depliant, brochure e materiale vario pubblicati dall’Agenzia di Promozione Territoriale di Basilicata.


9
Lug

“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” SECONDA EDIZIONE

“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche”, il libro di Lorenzo Bove sui “Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse”, è giunto alla sua “Seconda Edizione”.

Il volume è stato ristampato nel mese di luglio 2010 da Greco e Greco – Milano per conto di Edizioni del Poggio ed è ora nuovamente disponibile presso il medesimo Editore a Poggio Imperiale, via Marconi, 32/a – Tel. 0882/996033 – Fax 199449200 – Mail:info@edizionidelpoggio.com

PREFAZIONE alla SECONDA EDIZIONE

Nel corso delle vacanze estive 2009 trascorse a Poggio Imperiale, durante una delle tante chiacchierate mattutine scambiate all’atto dell’acquisto del mio consueto quotidiano, l’Editore mi informava che le copie del mio libro “Ddummànn’a l’acquarúle se l’acqu’è frésceke. Detti, motti, proverbi, e modi di dire Tarnuíse”, pubblicato nel mese di luglio dell’anno precedente, erano ormai agli sgoccioli e che bisognava pensare quindi ad una nuova tiratura.

A dire il vero, non sono rimasto sorpreso dal fatto che le copie del libro fossero così rapidamente volate via, e questo perché ero certo, sin dall’inizio, che i “Detti, motti, proverbi, e modi di dire Tarnuíse” avrebbero certamente suscitato l’interesse non solo dei tarnuíse residenti a Poggio Imperiale, ma anche di quelli che si sono trasferiti per motivi professionali, di lavoro, di studio o di famiglia in altre parti dell’Italia e del mondo, e che d’estate fanno solitamente ritorno in paese.

Forse proprio questi ultimi sentono più forte il legame alle radici; quel legame che la lontananza rinforza ed esalta …” in un quadro fantastico dal quale traspare la magia dei ricordi, degli odori e dei sapori della nostra terra”.

Attraverso i “Detti, motti, proverbi, e modi di dire Tarnuíse”, ho cercato di interpretare e dare corpo, per quanto possibile, a tali sensazioni, ricavandone una rappresentazione di ”saggezza della nostra terra che si alimenta alla fonte dei ricordi”.

E, dunque, con questa seconda edizione del libro “Ddummànn’a l’acquarúle se l’acqu’è frésceke. Detti, motti, proverbi, e modi di dire Tarnuíse”, è mio desiderio continuare a trasmettere quelle emozioni che ho personalmente provato nel raccogliere, conservare, ordinare e scrivere … “di un tempo che non c’è più ma che forte mantiene la propria presenza nell’intimo di ogni tarnuèse”, giovane o meno giovane che sia, e chissà se non anche di tante altre persone che tarnuèse non sono, ma che amano comunque apprezzare e valorizzare le tradizioni come patrimonio universale di conoscenza.

E tutto ciò, grazie anche all’Editore che mi ha offerto l’opportunità di poterlo fare. Un Editore, il Dott. Giuseppe Tozzi, che per passione e per amore della cultura promuove iniziative editoriali di tutto rilievo, visto il livello di affermazione conseguito in campo nazionale.

Ultima creatura delle Edizioni del Poggio:

“Pianeta Cultura”

Rivista bimestrale del Sapere diretta dallo scrittore e giornalista Giucar Marcone

Buona lettura!

Lorenzo Bove

Post scriptum

In questa seconda edizione sono stati eliminati gli inevitabili refusi della prima edizione, operando – laddove necessario – anche qualche integrazione per rendere più agevole la lettura del libro.

Per completezza di trattazione, si è ritenuto di dare rilievo, in apposita appendice, anche alla fase di presentazione del libro, avvenuta a Poggio Imperiale il 12 agosto 2008.


19
Giu

Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne!

“Poggio Imperiale, pane e pomodoro e aria buona”, questa è la traduzione alla lettera dell’antico detto dialettale.

Un’aria buona che è anche sinonimo di longevità … e i “risultati” sono garantiti al cento per cento.

Infatti una nostra compaesana, Maria Giuseppa Robucci, ha recentemente festeggiato il suo 107° compleanno, seguita a ruota da un altro compaesano, Giuseppe Nista, che ha compiuto 101 anni.

Alla lista dei centenari si è ora aggiunta anche Lucia Anzivino che ha compiuto proprio oggi, 19 giugno, i suoi 100 anni e tra pochi giorni, il 24 giugno prossimo per la precisione, Giovanna Galullo ne compirà 99.

Un secolo … cento anni ben portati; i nostri ultracentenari e gli aspiranti tali sono tutti lucidissimi, allegri e simpaticissimi: testimoni della qualità della vita che il contesto ambientale nel suo insieme offre.

Con ben quattro centenari su circa 2800 abitanti, Poggio Imperiale può vantare sicuramente un ambizioso primato in provincia di Foggia e forse anche a livello nazionale, nel rapporto longevità/popolazione residente.

 

 

I centenari di Poggio Imperiale festeggiano i cento anni di Lucia Anzivino (19 giugno 2010)

Da sinistra: Giuseppe Nista (anni 101), Lucia Anzivino (anni 100), Maria Giuseppa Robucci (anni 107) e Giovanna Galullo (anni 99)

Sullo sfondo: Il Vice Sindaco Alberto Caccavo (con fascia tricolore), l’Assessore ai servizi sociali Michela Fina e l’Assessore alla cultura Antonio Mazzarella.

Dal libro

“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche”

Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse

di Lorenzo Bove

Edizioni DEL POGGIO

 2008

“Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”

Traduzione (alla lettera): Poggio Imperiale, pane e pomodoro e aria buona.

Significato: Un invito a prendere le cose per il giusto verso e senza eccessivo affanno.

Origine: In effetti l’antico detto voleva proprio invitare alla distensione e alla serenità che solo un piccolo borgo sviluppatosi alla sommità di una collinetta (poggio) immersa in una vegetazione lussureggiante poteva offrire. Una collinetta dalla quale si riesce, da una parte, a scrutare il mare con le isole Tremiti in lontananza e il promontorio del Gargano e, dall’altra, il subappennino dauno fino alle montagne del vicino Molise. Aria buona, quindi, e cibi semplici e genuini rappresentati da una semplice fetta di pane pugliese, frutto del grano coltivato in queste floride campagne, accompagnata dai rossi e squisiti pomodori tarnuèse conditi con un olio extravergine di oliva paesano la cui fragranza non ha eguali.


19
Giu

Pena di morte: una storia infinita!

Negli Usa, un condannato a morte fucilato dal plotone di esecuzione.

Condannato a morte per aver ucciso due persone nel 1985, Ronnie Lee Gardner, 49 anni, ha preferito il plotone d’esecuzione all’iniezione letale.

L’esecuzione è avvenuta il 18 giugno scorso nella prigione statale di Draper, alle porte del capoluogo dello Utah, Salt Lake City

Lo Utah è l’unico stato Usa che mantiene questa possibilità: le esecuzioni con arma da fuoco sono state sì abolite nel 2004, ma i condannati a morte prima di tale data conservano il diritto di scegliere tra questo metodo e l’iniezione letale.

Ronnie Lee Gardner è stato dichiarato morto a mezzanotte e 20 ora locale (le ore 8.20 italiane).

Il plotone d’esecuzione ha fatto fuoco all’unisono con i fucili Winchester caricati con una cartuccia da caccia grossa ciascuno.

Un membro del plotone, scelto a caso e a sua insaputa tra i cinque uomini del plotone, aveva il fucile caricato a salve: una consuetudine fatta per lasciare a tutti i membri del plotone il dubbio di essere stati realmente responsabili dell’uccisione.

Lo Utah è uno degli stati degli Usa che offre la fucilazione come opzione alternativa all’iniezione letale, e Gardner l’aveva scelta lo scorso 23 aprile.

È stata la prima fucilazione negli Usa negli ultimi 14 anni e la terza negli ultimi 33.

Gardner uccise prima un barista durante un litigio e poi, dopo alcuni mesi, un magistrato, Michael Burdell, durante un tentativo di evasione dall’aula del processo. I familiari di quest’ultimo, che era contrario alla pena capitale, si sono opposti all’esecuzione di Gardner.

Sui giornali italiani

“Il Messaggero” di sabato 19 giugno 2010

Rubrica “Di Primavera”

di Maurizio Costanzo

“Più volte in questi anni abbiamo espresso la nostra assoluta avversità alla pena di morte. Ieri abbiamo letto in una agenzia questo titolo: “Pena di morte: Usa, torna la fucilazione”. Voi sapete che alcuni Stati americani al di là di qualunque pressione dell’opinione pubblica mondiale, hanno mantenuto la pena di morte, vuoi con la iniezione letale oppure con la sedia elettrica e adesso un’altra possibilità: la fucilazione. Uccidere è comunque un crimine, che lo faccia lo Stato o che lo faccia un delinquente”.

“La Stampa” di sabato 19 giugno 2010

“Ma l’ergastolo non è peggio della pena di morte?”

di Ferdinando Camon

“E’ stato ucciso mediante fucilazione un detenuto dello Utah condannato a morte nel 1985 per duplice omicidio. L’esecuzione solleva nel pubblico americano un’ondata di soddisfazione, riassumibile nel motto: “Meglio tardi che mai”. Tutti sentono la morte come una pena più grave dell’ergastolo. La morte è la vera pena, spietata e totale, l’ergastolo è una mezza grazia. Eppure gira in questi giorni per il mondo un film bellissimo, premio Oscar 2010 come miglior film straniero, imperniato proprio su questo problema: il protagonista vuol far condannare chi ha ucciso la sua donna, ci riesce, gli danno l’ergastolo, ma purtroppo, diventa un collaboratore della polizia (siamo in Argentina con i militari al potere), e ben presto esce, libero, protetto, armato. Che fare? Il protagonista ha una sola scappatoia: farsi giustizia da sé. E come? Ammazzandolo? Potrebbe: lo cattura, lo porta in campagna, passa un treno sferragliante, gli punta una pistola alla testa, spara”.

“Il Giornale” di sabato 19 giugno 2010

"Il ritorno del plotone di esecuzione negli Usa. La fucilazione? La barbarie più onesta"

di Giordano Bruno Guerri

“Sono contrario alla pena di morte per almeno tre buoni motivi. 1) I cittadini e lo Stato non possono e non debbono mettersi sullo stesso piano di un assassino, applicando la selvaggia e primitiva legge del taglione; non è con la violenza che si risolvono i problemi sociali. 2) L’ergastolo – ovvero passare il resto della vita chiusi in una cella – mi sembra una pena se possibile ancora peggiore della morte; ma questa è una sensazione personale. 3) Non è una sensazione personale, invece, che spesso si siano condannati degli innocenti: un errore che non si può correre, in nessun caso. Finita la premessa indispensabile, l’argomento da dibattere è la decisione di Ronnie Lee Gardner, pluriassassino di 49 anni (oltre 25 trascorsi in carcere), che all’iniezione letale ha preferito il plotone d’esecuzione, come consentivano le leggi dell’Utah. A molti è sembrata un’ulteriore barbarie. Io dico – ribadita la mia contrarietà alla condanna capitale – che è un segno di civiltà. Se è civile consentire a un condannato di scegliere l’ultima cena, è ultracivile consentirgli un’alternativa al modo in cui gli verrà somministrata la morte: pensare il contrario significa mettersi sullo stesso piano di chi, di fronte a un assassino efferato, sostiene «io gli farei questo e quest’altro», elencando le torture più tremende. In questo caso la scelta era fra l’iniezione letale e la fucilazione. «Iniezione letale», che passa per il metodo più civile, vuol dire iniettare nel sangue del condannato un misto di barbiturici, agenti chimici paralizzanti e rilassanti. In realtà vengono fatte tre iniezioni (a distanza, in modo completamente asettico), da tre persone diverse, in modo che nessuno possa sapere quale delle tre è quella mortale; e non sempre la faccenda è indolore, tutt’altro: e il cuore può continuare a battere fino a quindici minuti dopo. Fucilazione significa che cinque tiratori scelti ti sparano al cuore: anche in questo caso uno dei fucili è caricato a salve, ma la morte è istantanea, dunque la più indolore che si possa immaginare. Eppure, persino l’Utah, l’unico Stato americano che consentiva la scelta, nel 2004 è tornato all’iniezione letale obbligatoria. Ronnie Lee Gardner ha potuto scegliere in quanto condannato prima che la legge cambiasse. La fucilazione viene considerata barbara perché è un metodo antico e perché si versa il sangue, perché un uomo viene messo faccia a faccia con altri uomini che lo uccidono. Abbiamo cercato di cancellare la barbarie con strumenti tecnologici «puliti», come la sedia elettrica, e che comunque non implichino il rapporto frontale ucciso/uccisore. È un’ipocrisia. Anche io avrei scelto di venire fucilato. E non soltanto per essere sicuro di soffrire il meno possibile. Avrei scelto di essere fucilato perché avrei voluto morire come da sempre muoiono gli uomini ritenuti colpevoli: colpito al cuore, non avvelenato come una cavia da laboratorio o fritto su una sedia come uno sciame di zanzare. Vorrei che lo Stato, il quale si ritiene in diritto di uccidermi, lo faccia a viso aperto, mettendomi di fronte a un gruppo di suoi uomini, rappresentanti delle forze dell’ordine. Volontari, beninteso, e quindi fieri, o lieti, di spararmi al cuore. Proprio come loro, avrei voluto che – almeno in quel momento supremo – non ci si nascondesse dietro il dito modesto dell’ipocrisia. Per fortuna, in Italia non abbiamo di questi problemi. Ma ne stiamo per affrontare un altro, ancora più delicato, nel già delicato tema dei trapianti: la possibilità che i carcerati possano donare degli organi, per il momento un rene. C’è chi si oppone sostenendo che potrebbe essere una donazione non del tutto disinteressata, bensì con la speranza di ricavarne vantaggi di pena. E se anche fosse? Pure la «buona condotta» – non sempre spontanea – consente sconti di pena. Qui, semplicemente, correndo dietro la spaccatura dell’etica in quattro, si perde di vista il problema principale: che qualcuno ha disperato bisogno di un rene. Ed essere carcerati – cioè privati della libertà – non può privare di tutte le libertà, soprattutto di quelle che possono far del bene al prossimo”.

Moratoria universale della pena di morte

(Da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

"La campagna per una moratoria universale della pena di morte è una proposta di sospendere l’applicazione della pena di morte in tutti i paesi appartenenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite. Moratoria e abolizione La differenza fra moratoria ed abolizione è che nel primo caso gli stati sospendono l’applicazione della pena di morte, pur mantenendola nei propri istituti giuridici (potendo pertanto tornare ad applicarla in futuro senza modifiche legislative), mentre nel secondo caso tale pena verrebbe totalmente depennata dalle legislazioni nazionali. Nonostante i promotori della moratoria vogliano arrivare all’abolizione, la via della moratoria (meno limitante per la sovranità dei singoli stati) è stata scelta per convincere anche i paesi indecisi. Storia I principali promotori della moratoria sono l’associazione Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale Transnazionale e, in misura minore, Amnesty International, e la Comunità di Sant’Egidio. La prima proposta di risoluzione per una moratoria fu presentata, su iniziativa di Nessuno Tocchi Caino, all’Assemblea Generale dell’ONU dall’Italia, nel 1994, durante il primo governo Berlusconi. Perse per otto voti. Dal 1997 su iniziativa italiana la Commissione dell’ONU per i Diritti Umani ha approvato ogni anno una risoluzione che chiede "una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte". Tali decisioni della commissione non sono mai però state confermate dall’assemblea generale. Nel 1999 tutta l’Unione Europea si unì alla posizione italiana, e in quello stesso anno Amnesty International aggiunse gli Stati Uniti d’America alla propria lista di paesi in violazione dei diritti umani. Gli Stati Uniti rifiutarono le accuse, citando la Cina come un violatore ancora maggiore. Il 12 dicembre 1999, con l’inizio del Giubileo del 2000, anche Papa Giovanni Paolo II ribadì il proprio appoggio alla moratoria. Per tutto il periodo del giubileo le luci del Colosseo rimasero accese. Il 17 dicembre 2000 Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, ha presentato all’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan una petizione firmata da 3,2 milioni di persone. I firmatari, provenienti da 145 nazioni diverse, includevano personalità come Elie Wiesel, il Dalai Lama, il reverendo George Carey (all’epoca Arcivescovo di Canterbury), Vaclav Havel (allora presidente della Repubblica Ceca), Abdurrahman Wahid (all’epoca presidente dell’Indonesia), ed alti esponenti del Vaticano. Alla raccolta di firme aveva partecipato anche Amnesty International e la campagna "Moratorium 2000", guidata da suor Helen Prejean, l’autrice di Condannato a morte. Nel 2007 il Governo Prodi II ha riproposto la mozione, dopo che il Parlamento Europeo l’aveva nuovamente sostenuta. Il 15 novembre 2007 la Terza commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato con 99 voti favorevoli, 52 contrari e 33 astenuti la risoluzione per la moratoria universale sulla pena di morte, proposta dall’Italia dopo una lunga campagna di Nessuno Tocchi Caino. Il 18 dicembre 2007 l’Assemblea Generale delle Nazioni unite ha ratificato, 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti, la moratoria approvata dalla commissione".


11
Giu

Giuseppe Bosich … quell’uom di multiforme ingegno …!

Pittore, incisore e scultore di fama internazionale, ma anche poeta e scrittore.

Giuseppe Bosich nasce a Tempio Pausania (Sassari) in Sardegna nel 1945 e, giovanissimo, si trasferisce in “continente” dove matura e sviluppa le sue brillanti doti artistiche, raggiungendo livelli di straordinaria notorietà.

Le sue opere varcano i confini nazionali toccando le più importanti mete non solo europee ma anche mondiali.

 

Giuseppe Bosich

La via secca e la via umida

(Olio su tela) 150X120

“Sue opere sono nei Musei di Melbourne e di Sidney e in altre citta` in Italia e all’estero” (dall’Enciclopedia della Sardegna, pag. 70).

Fa poi ritorno nella sua amata isola ed attualmente vive e lavora a Ghilarza (Oristano).

Ho avuto il privilegio di conoscere questo geniale artista tanti anni fa; eravamo entrambi molto giovani quando le nostre strade si sono per qualche tempo incrociate in occasione della comune esperienza “a servizio della Patria” in quel di Trieste, Roma, Rimini e Bologna.

Roma, 16.5.1965

Quattro giovani amici in posa sulla terrazza del Pincio

Giuseppe Bosich (secondo da destra) e, a seguire, il sottoscritto (terzo da destra)

Giuseppe Bosich muoveva allora i suoi primi passi nel campo della pittura ed ogni occasione era buona per disegnare e dipingere, mettendo in luce da subito le sue qualità artistiche.

Lo ricordo come un giovanotto estroso, bizzarro, fantasioso, creativo, geniale, stravagante, originale, particolare, singolare.

Certamente non posso dire che fosse o si sentisse un conformista.

Ci siamo poi persi di vista e ognuno di noi ha rincorso, per quanto possibile, le proprie aspettative inseguendo i rispettivi sogni ed aspirazioni.

Ma internet consente oggi di mantenere un diffuso livello di informazione nei campi più disparati, ed è proprio navigando su internet che ho avuto l’opportunità di visitare tanti siti che parlano proprio di questo geniale “maestro”.

Ciò mi ha naturalmente consentito di poter apprezzare il prestigioso livello artistico e di notorietà internazionale raggiunto dal mio amico Giuseppe Bosich nei diversi campi in cui negli anni si è cimentato.

Tra le tantissime ed interessanti “scoperte”, ho ad esempio appreso che un’opera di Giuseppe Bosich era presente finanche a Pechino in occasione dei XXIX Giochi Olimpici Estivi 2008 all’Esposizione d’Arte “Spirito Olimpico italiano” presso Casa Italia CONI, all’Haidian Exibition Center di Pechino.

E così, a distanza di ben quarantacinque anni (quasi mezzo secolo), il 15 maggio scorso, giorno del suo 65° compleanno, l’ho rintracciato telefonicamente a Ghilarza, in Sardegna, per salutarlo e scambiare quattro chiacchiere con lui, da “vecchi” buoni amici.

E’ stato un piacevole tuffo nel passato e i bei ricordi giovanili sono ritornati subito alla mente in tutta la loro gaiezza e spensieratezza.

Ho espresso all’amico Giuseppe i miei rallegramenti, augurandogli ancora molti anni di successi e traguardi sempre più ambiziosi.

Ci siamo reciprocamente promessi di rivederci, quanto prima, in Sardegna o in “continente”.

 

Giuseppe BOSICH

 (informazioni tratte dai diversi siti internet)

La sua prima mostra personale, curata da Enzo Rossi – Ròiss è del 1967 alla “Galleria la Barcaccia” di Reggio Emilia cui hanno fatto seguito oltre 500 mostre, tra cui:

Personali:

1970: Maison de la Jeunesse. (Gouaches, a cura di S. Carta). Parigi. 1972 : Die Tangente Club. (Gouaches, a cura di S. Carta). Karlsruhe. 1979: Stadhuis, Grote Markt. (Tecniche miste, a cura di D. Piessen). Oudenaarde (Belgio). 1990: Fondazione Museo Alternativo “Remo Brindisi” (Tecniche miste e oli, a cura di E.Rossi – Ròiss): Lido di Spina (FE): 2002: Galleria Battifoglio. (Oli e sculture). Montecarlo. 2003. Galleria degli artisti contemporanei, Sa Corona Arrubia (CA). (Oli, sculture e grafica; a cura di P. Sirena). Villanovaforru (CA). 2003: Palazzo dei Congressi (Oli, a cura di J. Serra). Capri. 2005: Club La Meridiana, Casinalbo. (Oli, a cura di E. Rossi-Ròiss). Modena. 2005: Galleria Daugava, Riga. (Oli, a cura di E. Rossi-Ròiss). 2007: Galleria La Bacheca. (Oli e sculture). Cagliari.

Collettive:

1968: Mostra Mercato Viaggiante, Pro Loco. Tempio Pausania (SS). 1969: Galleria Comunale, “+ proposta – proposta =”, dada-surrrealista. Oristano. 1974: Mood Gallery, grafica internazionale (Dalì, Ernst, Man Ray, Masson ecc.). Milano. 1975: Studio Modern Art, grafica internazionale (Brindisi, Messina, ecc.). Milano. 1977: Redford House Gallery (Humor Graphic-Escatologic, a cura di L. Consigli). Londra. 1984: Hotel Parco dei Principi, “Pitagora 2000”, Roma. 1986: Galleria V. Emanuele (Humor Graphic-Movie, a cura di L. Consigli), Milano. 1993: EXMA, “Inciso Altrove”, Maestri del fantastico, a cura di R. Margonari. Cagliari. 1993: The Artist and the Book, Museum of Modern Art, Italy. New York. 1998: Foyer d’arte del Teatro Navile, L’eros degli artisti, a cura di E. Rossi-Ròiss. Bologna.

Negli anni 1965-67 frequenta a Fermignano (Ancona) lo studio dell’incisore Walter Piacesi, dell’Accademia Urbinate; a Bologna lo studio dell’incisore Carlo Leoni (allievo di Giorgio Morandi), apprendendo le tecniche d’incisione e stampa calcografica. Trasferitosi in Sardegna, frequenta nel 1967-68 l’Istituto d’arte di Oristano (corso di ceramica). Negli anni ’70 a Milano frequenta il pittore Luigi Dalla Vigna, con cui approfondisce le tecniche pittoriche; tramite lui conosce e frequenta Renzo Modesti, poeta e gallerista, Patrick Waldberg, teorico del surrealismo, Maurice Henry, artista e storico del surrealismo, Ibraim Kodra, pittore cubista, G. Spadaccini, editore di grafica internazionale e Antonio Agriesti, poeta e studioso di simbolismo; con quest’ultimo pubblicano “Il volo della Farfalla”, ”Comedia/Qometa”, “I Resti” e “Poesie Nere” con sue illustrazioni originali in lito o all’acquaforte. Nel 1976 inizia la sua collaborazione con il Gruppo coordinato da Luciano Consigli:“Humor Graphic”; illustra il libro di Giovanni Dore “Gli strumenti della musica popolare della Sardegna”,edizioni 3T, Cagliari. Nel 1981 esce, per le Edizioni Svolta, Bologna, a cura di Renzo Modesti il suo “Catalogo delle opere multiple della grafica e delle sculture”: Nel 1986 ritorna in Sardegna e nel 1988 illustra, di Peppetto Pau, il poemetto “Libellule Scarlatte” e la raccolta di poesie “Il galoppo delle Stagioni”; di Mele Agro (Antonio Agriesti), il libro “Micromitologie”: tutti editi dalla casa Editrice s’Alvure di Oristano. Per le Edizioni Tipografia Ghilarzese realizza con Antonio Agriesti la cartella “Il Corvo”, illustrando la poesia alchemica di E.A.Poe, con sei sue litografie. Ancora per le Edizioni S’Alvure, esce, lo stesso anno, a cura di Salvatore Naitza il catalogo monografico “Sculture”; nel 1990 cura la cartella d’arte “Vizi e Virtù” e nel 1991 “Lo Zodiaco”. Nel 1992 esce, a cura di Renzo Margonari, il catalogo monografico “Pitture” e illustra il libro di Mimmo Bua: “Storie, Fiabe, Miti, Riti del mondo contadino oristanese” corredato dall’omonima cartella contenente 12 litografie. Nel 1993 è presente, con Mimmo Bua e Pietro De Rosa nella raccolta di racconti “Frammenti di Memoria Trina”. Nel 1994 ha, inoltre, curato il volume “I Tarocchi” di AA.VV. e la omonima cartella d’arte. Sempre nel 1994 per il CDE – Nuoro esce a sua cura “Grillincubi”, e per le edizioni s’Alvure illustra il libro di Mimmo Bua “Il Bestiario di Sandaliotis”, realizzando l’omonima cartella con 12 incisioni. Nel 1995 il CDE – Nuoro pubblica “Il buco in gola”, una raccolta di sue poesie, racconti e disegni; nel 1997 per le Edizioni Grafica Mediterranea di Bolotana illustra , di Mimmo Bua, “Il Riso dell’Ornitorinco – bestiario surreale” corredato dall’omonima cartella con 24 incisioni. Nel 1999 per s’Alvure illustra, di Mimmo Bua: “Contos torrados dae attesu”, “lo specchio e la caverna”, “Chimbe Upanishad in sardu logudoresu”; nel 1999 illustra e cura per le Edizioni Tipografia Artigiana, Oristano, il libro “Poesie” di Peppetto Pau, corredato dell’omonima cartella contenente 12 serigrafie a colori. Nel 2003 viene pubblicato da s’Alvure il volume “Bosich – Letture simboliche e interpretazioni critiche a cura di Flaminia Fanari e Paolo Sirena con antologia critica,biografia e schede a cura di Antonio Agriesti. Nel 2006 è presente con due immagini a colori nel volume “L’Autonomia in cornice – le opere del Parlamento Sardo”, edizioni del Consiglio Regionale della Sardegna; nel volume “Il Segno nel Libro”, edizioni Ilisso, Nuoro, con tre immagini a colori e scheda critica. I suoi campi di ricerca spaziano dalla grafica (tutte le tecniche calcografiche, serigrafiche, xilografiche e litografiche) alla pittura (ad olio, su carta e su tela, gouaches e acquerelli) alla scultura (ceramica, bronzo, polimaterico, vetro-cristallo). A Milano ha prodotto una copiosa serie di piccole sculture polimateriche, specialmente in bronzo, nel laboratorio di Adriano Vallin mentre nella fonderia Battaglia ha realizzato una serie di grandi sculture in bronzo, esportate in Australia. Per Adriano Berengo, Fine Arts Glass Studio and Gallery, Murano, realizza sculture in vetro-cristallo. Progetta e coordina la realizzazione di cartelle d’arte (corredate di opere grafiche originali), edizione di poesie e prose per vari editori, e per l’Associazione Amici della Grafica, poi Associazione Amici dell’Arte (di cui è presidente). Nel 2000 ha prodotto una serie di sculture in terracotta nell’atelier di Lello Porru a Sanluri (CA). Più volte docente di tecniche calcografiche, grafiche e pittoriche.

Fra tanti, inoltre, hanno scritto o si sono occupati di lui:

E.Albuzzi, V.Accame, M.Adinolfi, U.Adinolfi, W.Aldrovandi, F.Amati, P.Amatiello, A.Amore, V.Angelini, M.Arca, R.Armenia, E.Arosio, G.Atzeni, S.Atzeni, S.Atzori, S.Autuori, B.Bandinu, G.Barosco, R.Boccaccini, C.Bonasi, E.Bonerandi, M.Brigaglia, R.Brindisi, A.Buatti, M.Bussagli, G.Bruzzone, E.Cadoni, A.Caggiano, F.Cajani, A.Campus, F.Carta, L.Cavallari, C.V.Cattaneo, D.Cara, M.Casalini, G.Caserza, M.Ceccarelli, F.Cerulla, F.Ciccatelli, G.Colomo, M.Conte, E. Contini, V.Coppa, S.Corrias, F.Cossu, M.A.Cossu, M.A.Cucca, G.Dainese, A.De Logu, G.De Santis, F. De Silva, G.Di Paolo, G.Dorfles, G.Ducceschi, G.Englaro, Lello Fadda, LivioFadda, E.Fanciulli, A.Felletti, R.Ferrara, S.Ferro, G.Filippini, L.Floris, R.Forni, N.Fourbil, T.Galante, A.Gallo, C.Gentile, G.Gentile, G.Ghion, S.Grasso, P.F.Greci, A.Klavina, A.M.Janin, V.Lamberti, L.Lazzari, F.Licchiello, F.Loverci, M.Lunetta, G.Maesano, E.Maglia, M.Magnani, P.Malaspina, G.Mameli, M.Manunza, F.Mariani, L.Marongiu, G.Masia, M.L.Mazzini, A.Menesini, M.Monaldi, D.Mori, A.Mundula, R.Mura, G.Murtas, M.Murzi, A.Natale, C.Nosari, E.Olmetto, J.Onnis, A.Orbana, G.Pagano, P.Pantoli, G.Pellegrini, M.Pepe, R.Perrotta, U.Piersanti, G.Pileri, G.Pisconti, J.Piessen, G.Pulina, A.Racioppi, D.B.Ranedda, R.Ripa, G.Rivellini, L.Rojch, A.Romagnino, L.Rosselli, G.Salvatore, R.Sanesi, E.Sanna, M.Santoro,J.H.Sattler, M.G.Scano, G.Schirru, D.Signora, T.Simula, M.Spignesi, N.Tancredi, P.G.Tiddia, S.Tola, G.Trevisan, A.Turnu, T.Ulleri, M.Vacca, R.Vanali, A.Vandenberg, Z.Vasino, M.Verzeletti, L.Villa, L.Vincenzi, R. Zucca, G.L.Zucchini.

E’ annualmente quotato in tutti i cataloghi nazionali d’Arte.

Sue opere sono state battute alla Brerarte e Finarte di Milano

 

 

 

 

 

 

 


30
Mag

Il 26 giugno a Poggio Imperiale la terza edizione del Premio “Spiga d’Oro” 2010

Delio Rossi, allenatore di successo del calcio italiano;

Sergio De Nicola, brillante giornalista di RAI Regione;

Lorenzo Bove, ex Dirigente di Rete Ferroviaria Italiana;

questi i personaggi rispettivamente designati quest’anno in ciascuna delle tre sezioni del Premio, scelti tra una rosa di nominativi che avevano ricevuto la “nomination”.

 

 

 

 

L’Associazione Culturale “Terra Nostra” Onlus di Poggio Imperiale, con il patrocinio del Comune di Poggio Imperiale, dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Foggia, dell’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, ripropone anche quest’anno il Premio “Spiga d’oro”, giunto alla sua terza edizione.

Il Premio “Spiga d’oro” consta di tre distinte sezioni:

Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

Premio “Spiga d’Oro Capitanata”

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra”

Il Premio Nazionale “SPIGA d’Oro” viene conferito ad un personaggio che, a livello nazionale, si è particolarmente distinto contribuendo a valorizzare e diffondere, in Italia e all’estero, il patrimonio e la cultura del cinema, del teatro, della musica e dello sport.

Il Premio “SPIGA d’ORO CAPITANATA” viene conferito ad un personaggio che, nel campo dello spettacolo in tutte le sue forme, dell’arte, della cultura, del sociale e dello sport si è particolarmente distinto contribuendo in modo significativo e determinante allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico della “Capitanata” (corrispondente alla Provincia di Foggia).

Il Premio “SPIGA d’ARGENTO TERRA NOSTRA” viene conferito ad un personaggio che, nel campo dello spettacolo in tutte le sue forme, dell’arte, della cultura, del sociale e dello sport si è particolarmente distinto contribuendo in modo significativo e determinante allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico di Poggio Imperiale.

Quest’anno:

– Il Premio Nazionale “SPIGA d’Oro” è stato assegnato a Delio Rossi, già calciatore del Foggia, allenatore di successo del calcio italiano, attualmente artefice delle fortune del Palermo in Italia e prossimamente anche nelle competizioni europee;

– Il Premio “SPIGA d’ORO CAPITANATA” è stato assegnato a Sergio De Nicola, brillante giornalista RAI Regione Puglia;

– Il Premio “SPIGA d’ARGENTO TERRA NOSTRA” è stato assegnato al concittadino Lorenzo Bove ex Dirigente di Rete Ferroviaria Italiana in servizio a Milano.

La cerimonia di conferimento dei premi si svolgerà la sera di sabato 26 giugno 2010 in piazza Principe Placido Imperiale  e la serata sarà allietata da importanti ospiti, cantanti, cabarettisti, personaggi del mondo della danza, del teatro ed altro.

La sera precedente di venerdi 25 giugno 2010 la piazza ospiterà una rassegna di prodotti tipici di Puglia con degustazione, con inizio alle ore 19,00 e, poi, a seguire, l’esibizione della Carosone-Band & Micky Sepalone; un omaggio alla canzone napoletana.

Il giorno successivo sarà la volta delle premiazioni a partire dalle 20,00. Saranno ospiti il noto cantante di musica leggera Marco Masini, Alexis Arts, Helga y Andrea e Very Strong Family.

L’evento rappresenterà il preludio delle manifestazioni che, come ogni anno, caratterizzano l’estate “terranovese” (poggioimperialese).

 

Le precedenti edizioni del Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

1ª EDIZIONE – 14 GIUGNO 2008

Premio Nazionale “Spiga d’Oro” – ANNA TATANGELO

Per essersi distinta, nell’ambito della musica leggera italiana, per le sue capacità canore e di comunicazione e per aver contribuito a valorizzare e a diffondere il patrimonio della musica italiana all’estero, conquistando positivi consensi di critica e di pubblico. Per essere, seppur giovanissima, una solida realtà nel vasto panorama musicale italiano, grazie anche alla personale, sentita ed originale interpretazione dei testi delle sue canzoni.

Premio “Spiga d’Oro Capitanata” – ANTONELLA BEVILACQUA

Perché come atleta si è distinta per la tenacia e lo spirito competitivo, la forza di volontà e la passione nell’affrontare le sfide sportive. Per aver superato con determinazione gli ostacoli dovuti agli infortuni, ottenendo prestigiosi risultati nel campo dell’atletica. Per le sue doti umane di sensibilità, lealtà e gentilezza, dimostrate nelle diverse occasioni mediatiche dovute alla sua fama di sportiva.

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra” – FEDERICA BIONDI

Per aver dimostrato, pur giovane, grande coraggio nel lasciare la propria terra d’origine ed inseguire i suoi sogni nel nuoto. Per aver partecipato con notevole entusiasmo e spirito competitivo alle numerose gare, classificandosi ai primi posti in diversi centri italiani. Di detenere con determinazione dei record regionali e nazionali. Per essersi distinta per le doti umane di modestia e tenacia.

2ª EDIZIONE – 27 GIUGNO 2008

Premio Nazionale “Spiga d’Oro” – GUIDO BERTOLASO Direttore del Dipartimento della Protezione Civile

“Coordinatore competente e geniale organizzatore di grandi eventi. Lungimirante e rapido nelle decisioni, perspicace ed efficiente nell’attuare progetti volti alla tutela dell’ambiente ed allo sviluppo del nostro Paese. Sa affrontare le varie problematiche e sa gestire con moderne tecniche ogni tipo di intervento operativo, dimostrando di possedere senso del dovere e grande professionalità. Grazie all’impegno umanitario, alla salvaguardia dei valori di solidarietà e di altruismo, rappresenta una solida realtà nelle emergenze ed un sicuro punto di riferimento della nostra Nazione”.

Premio “Spiga d’Oro Capitanata” – GAETANO GIFUNI Segretario Onorario della Presidenza della Repubblica

“Prestigiosa personalità: autorevole ed integerrimo, ligio al dovere ed al rispetto delle Istituzioni, funzionario vigile ed attento alla salvaguardia dei valori civici del nostro popolo. Segretario prudente e consigliere accorto delle alte cariche dello Stato, ha svolto questo compito con professionalità ed onestà intellettuale. Ha sempre dimostrato di possedere un legame profondo con la sua terra d’origine. Verace sostenitore e tenace promotore dei valori e delle tradizioni culturali della Capitanata.”

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra” – ALFONSO D’ALOISO Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri

“Distintosi per le doti umane di determinazione e tenacia, di altruismo, di dedizione alla legalità ed alla salvaguardia dei valori del nostro popolo. Ha dimostrato, da giovane, grande coraggio nel lasciare la propria terra d’origine ed attuare i suoi progetti di vita nella Benemerita. Pur espletando i propri incarichi in diverse città italiane, ha sempre manifestato un profondo legame con la sua Terra nativa, cementando quel rapporto filiale di dedizione alle sue radici.”

 

Dal sito: www.terranostraonlus.eu

Associazione Culturale Terra Nostra Onlus Poggio Imperiale

Lo spirito di gruppo e la valorizzazione della cultura e delle tradizioni popolari, sono stati i motivi fondamentali che hanno spinto un gruppo di amici a costituire l’Associazione Culturale Terra Nostra Onlus, un’associazione apolitica e senza scopi di lucro che pone tra i suoi obiettivi primari quello di svolgere interventi di solidarietà ed assistenza a favore di bambini e famiglie meno abbienti. Inoltre intento dell’Associazione è quello di adoperarsi per la promozione di attività culturali, sportive e ricreative e di tutelare e valorizzare i beni culturali e artistici di Poggio Imperiale e del suo territorio. Terra Nostra Onlus nasce come associazione culturale indipendente e non è legata a nessun gruppo ideologico, politico o religioso. Vediamo perché il premio è denominato “Spiga d’Oro”; facciamo un passo nella storia. La coltivazione del frumento risale ad un’età molto remota. Da alcuni ritrovamenti fossili sembra che qualche tribù dell’Europa preneolitica abbia cominciato la coltivazione del frumento ed è accertato che la cerealicoltura preistorica nelle regioni dell’Europa occidentale si sviluppò nella fase avanzata di transizione fra l’età paleolitica e quella neolitica. Furono gli antichi abitatori della Siria e della Palestina ad iniziare per primi la coltivazione del grano e da qui passò poi in Egitto, dove già si produceva l’orzo. Ben presto però, gli fu preferito il grano perché consentiva una migliore panificazione, la quale assurse a dignità d’arte, al punto di produrre diverse qualità di pane di farina bianca per le classi superiori e di orzo per i più poveri. Si deve agli egiziani il merito di scoprire che, lasciando fermentare l’impasto di farina, si sviluppava gas capace di far lievitare il pane. Anche gli antichi Greci e Romani furono grandi consumatori di pane. Durante il periodo di Roma capitale del mondo il pane è stato l’alimento base per la popolazione. Il primo negozio di pane fu aperto a Roma nel 150 a.C. e ben presto il pane sostituì una polenta fatta con farina di cereali, chiamata “plus”, che era usata in tutta Italia. Dopo la caduta dell’Impero Romano si tornò a fare la fabbricazione casalinga del pane. Un grande interesse per questo alimento si ritrova anche nel Medioevo; infatti i signori feudali imponevano ai propri sudditi di utilizzare, per macinare il grano e per far cuocere il pane, solo i propri mulini ed i propri forni. La nostra regione, la Capitanata, da secoli è considerata per eccellenza il granaio d’Italia; molti ettari del suo territorio, infatti, sono preposti dagli agricoltori alla semina del biondo prodotto. Pertanto, per celebrare i pregi e le qualità del grano, l’Associazione Culturale “TERRA NOSTRA ONLUS” di Poggio Imperiale (FG) ha voluto concedere significativi riconoscimenti denominati:

Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

Premio “Spiga d’Oro Capitanata”

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra”

 

“Le spighe d’oro”

Spighe d’oro ondeggiano nel campo.

S’apre in un solco una scia luminosa,

e costruisce ponti d’amicizia

allontanando i muri dei contrasti.

Si cammina felici tra le spighe,

che turgide riportano l’estate.

Tempo d’amore e di baci ardenti,

sorrisi furtivi e battiti di cuore.

Ogni anno si rinnova in questa terra,

un rito sacro, una magia eterna.

La favola del grano si racconta e tutti i bimbi stanno ad ascoltare.

Mentre ci parli della felicità,

nero diventa il cielo e s’incupisce.

Nella vita non puoi scacciar le nubi,

esse fan parte del nostro cammino.

Ma se le affronti e non ti fai intimidire,

il vento le riporta via lontano.

Protagoniste dell’estate sono loro,

le bionde spighe che ondeggiano nel campo.

Felicità completa ed abbondanza piena,

scacciano il sudore e la fatica.

Sui ponti costruiti per l’unione,

s’abbattono i muri della divisione

e intravediamo un nuovo arcobaleno.

da “Sottovoce, Pensieri e versi in libertà” di Antonietta Zangardi


28
Mag

Curiosità … in giro per Torino!

Ho frequentato con maggiore assiduità Torino negli ultimi dieci anni per motivi di lavoro e devo dire che è veramente una gran bella città.

Si tratta di una città romana e medievale … da “Augusta Taurinorum” a “Taurinus”.

Attraverso le vie del “quadrilatero”, è possibile rinvenire ancora numerose e spesso sconosciute tracce della Torino romana e medievale, come la Porta Palatina, la chiesa di San Domenico, il Castello di Palazzo Madama, la Casa del Senato, la Casa del Pingone, gli scavi archeologici sotto il Duomo, i resti di mura e torri romane, case e finestre medievali.

Ma Torino è fatta anche di “portici”.

A spasso, in giro per Torino, scopri di trovarti in una grande città di portici; più di dodici (alcuni dicono anche quindici) chilometri di portici, la più ampia zona pedonale d’Europa, un caso urbanistico, architettonico, estetico e socio-economico unico nel mondo.

L’insieme dei portici di Torino è un sistema articolato di spazi di raccordo tra vita pubblica e privata, in cui il fluire dei pedoni, la sosta nei bar, gli accessi agli edifici, i capannelli dei passanti davanti alle vetrine di negozi e gallerie, sono avvolti dalla scansione geometrica di volte e soffitti decorati, da pareti scandite dai richiami delle insegne commerciali e dai portali dei palazzi, dalla fuga di colonne e arcate filtrate dalla luce mutevole del giorno e della notte.

In paragone, i famosi portici di Bologna – che ho pure frequentato per qualche anno tanti anni fa – risultano diversi, più antichi forse, ma disseminati qua e là, a differenza di quelli di Torino che sono invece ampi, luminosi, eleganti, continui e connessi.

Torino conosce il “portico” sin dal medioevo e il suo primo insediamento è collocabile nei pressi della piazza delle Erbe, ora piazza Palazzo di Città, ove ha attualmente sede il Comune.

La vecchia piazza delle Erbe era praticamente la piazza del mercato e qui la gente si radunava numerosa per trattare affari, compravendite e contrattazioni di ogni genere.

Il luogo era soprannominato dai torinesi “la borsa dij busiard” (la borsa dei bugiardi) e i gli adiacenti portici erano luogo di commercio riparato dalle intemperie.

E, proprio in una delle vetrine di esposizione che fanno oggi da contorno alle colonne dei portici di via Palazzo di città, la via che conduce a Piazza Palazzo di città, che l’occhio mi è caduto non molto tempo fa su alcuni vecchi “tariffari”, probabilmente scovati da qualche buontempone chissà dove, ed ora messi in vendita come “reperti storici”.

Si tratta di “cartelli/tariffari” probabilmente un tempo posti all’esterno delle “case”, all’epoca regolarmente autorizzate, cosiddette di “ tolleranza”.

 

 

Ne riporto integralmente il testo:

1° Cartello

Prezziario della rinomata casa del piacere

(Lo sconto si fa solo ai giovanotti militari)

Appuntamento normale Lire 1,30

Doppio £ 2,50

15 minuti £ 3,05

Mezz’ora £ 4,50

1 ora £ 7

Due ore £ 10

(La casa offre saponetta e asciugamano)

 

 

2° Cartello

Spettanze della stimata casa

Svelta £ 1,10

Doppia £ 2

Minuti 20 £ 3,60

Mezz’ora £ 4,80

Ora piena £ 7,50

Due ore £ 12

Per la toilette non si deve più uscire fuori.

Acqua, sapone e asciugamano si pagano altri 20 centesimi.

 

Storia

La “professione” più vecchia del mondo, se da un lato è stata spesso giudicata riprovevole all’interno dei contesti politici e religiosi, dall’altro tale pratica veniva tollerata nella consapevolezza del ruolo che rivestiva nell’ambito sociale.

In Italia il “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione” risale al 15 febbraio 1860: una data che segna ufficialmente la nascita delle “case di tolleranza”, così chiamate perché la loro esistenza era “tollerata” dallo Stato.

Esse venivano suddivise dal Regolamento in 3 categorie, per ognuna delle quali era lo Stato a fissare le tariffe: 5 lire per le “case” di lusso, da 2 a 5 lire per quelle di medio livello e 2 lire per quelle “popolari”.

Inoltre veniva stabilito che i tenutari fossero obbligati a pagare le tasse sugli introiti e che per poter aprire una “casa” fosse necessario ottenere apposita licenza.

Nel 1888, poi, al fine di meglio regolamentare la materia, intervenne la “legge Crispi” con la quale si vietò di vendere cibi e bevande, di tenere feste, di cantare e di ballare.

Divenne inoltre obbligatorio (e da qui il nome di “case chiuse”) tenere sempre chiuse le imposte delle finestre, in modo che i passanti non fossero turbati dallo spettacolo dell’interno.

La legge del 1888 fissò altresì modi e tempi dei controlli medici da effettuare sulle “signorine” per evitare la diffusione delle malattie veneree.

Una cinquantina di anni fa, il 20 settembre 1958 per l’esattezza, entrò in vigore la legge Merlin che, approvata sette mesi prima dal Parlamento, decretava l’abolizione delle “case”.

La loro chiusura segnò non solo la fine di un’epoca, ma anche quella di una storia millenaria.


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