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Benvenuti in PagineDiPoggio.com
Poggio Imperiale, la Porta della Puglia e del Gargano.

Un poggio, un'altura,
un dolce declivio.
Un luogo privilegiato di osservazione
sul passato, presente e futuro.
Sul mondo intero.
(l.b.)
21
Dic

Una dama misteriosa a Palazzo Marino

Dal 3 dicembre al 6 gennaio la prestigiosa Sala Alessi di Palazzo Marino ospita a Milano la “Donna allo specchio” di Tiziano.

Si tratta di un’esposizione straordinaria dell’opera di Tiziano Vecellio, proveniente dal Museo del Louvre di Parigi, nota in Francia come “Femme au miroir”.

Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, torna ad essere così un luogo d’arte: dopo la “Conversione di Saulo” di Caravaggio nel 2008 (1) e il “San Giovanni il Battista” di Leonardo nel 2009 (2), quest’anno è la volta di Tiziano Vecellio.

La mostra offre a tutti gli appassionati la possibilità di ammirare uno tra i più importanti dipinti del grande maestro veneto, allievo del Giorgione, nato a Pieve di Cadore tra il 1480 e 1490.

L’artista raggiunse la fama da giovane e morì vecchissimo; lavorò per dogi, papi e imperatori ma restò sempre fortemente legato alla “Laguna”: un inguaribile veneziano cercato dai potenti del mondo.

”Donna allo specchio”, una delle opere più seducenti di Tiziano, restituisce attraverso la percezione dell’intimità di un ambiente domestico, l’opportunità di approfondire aspetti anche meno noti della cultura del Rinascimento italiano, esaltando i valori estetici e morali della bellezza femminile del tempo, i codici del comportamento virtuoso delle dame, le loro abitudini, il loro vestiario, la cultura dell’amore cortese che dominava il mondo relazionale della Venezia a cavallo tra il millequattrocento e il millecinquecento.

Il Comune di Milano, rendendo nuovamente accessibile ai cittadini e al pubblico la splendida Sala Alessi di Palazzo Marino, consolida così i legami del Tiziano con la città, dove il pittore dipinse diverse opere tra cui la “Incoronazione di spine” a Santa Maria delle Grazie, che fu teatro del fortunato incontro con Filippo II, figlio dell’imperatore Carlo V. A seguito della loro conoscenza, il pittore produsse diversi quadri mitologici, sacri e ritratti per la corte, raggiungendo il massimo livello di prestigio internazionale per un pittore dell’epoca.

“Donna allo specchio”, l’opera realizzata da Tiziano ancora in età giovanile, intorno al 1515, appartenne ai Gonzaga, poi a Carlo I d’Inghilterra e a Luigi XIV.

Il dipinto raffigura una donna davanti un tavolo da toeletta, su cui è appoggiato un contenitore per unguenti e profumi; la ragazza vi intinge il dito indice della mano sinistra, mentre con il braccio destro si scioglie una ciocca di capelli e la unge con l’olio profumato. Sul fondo della scena si intravede una figura maschile in ombra (verosimilmente il suo acconciatore), che con una mano porge alla fanciulla uno specchio piano, mentre, con l’altra, ne inclina alle sue spalle uno più grande, convesso, con una cornice di legno.

Nello specchio convesso si nota come, con grande maestria, Tiziano abbia potuto raffigurare il riflesso della stanza con la figura della fanciulla di spalle. La caratteristica dello specchio convesso è quella di dare una più ampia visuale deformando però le immagini in corrispondenza dei bordi della cornice. Così Tiziano, in questo dipinto, gareggia con la scultura fornendo su un unico piano bidimensionale due diversi punti di vista, ponendo anche le basi per il virtuosismo ottico ripreso poi dal Parmigianino.

I due personaggi ritratti sono stati variamente identificati: alcuni hanno suggerito che potesse trattarsi di Alfonso d’Este e della sua amante, altri pensano che si tratti di un autoritratto giovanile di Tiziano con la sua amata, altri ancora di un dipinto che esalti la bellezza petrarchesca delle donne veneziane e le loro virtù, altri invece ritengono che si tratti più semplicemente di un ritratto ideale o una personificazione della Pittura.

La mostra del pittore rinascimentale, organizzata da Eni in collaborazione con il Louvre, dove il quadro, fra i piu’ importanti del maestro veneto viene generalmente conservato, è curata da Valeria Merlini e Daniela Storti.

(1) Per approfondimenti sulla mostra del 2008 a Milano della “Conversione di Saulo” di Caravaggio”, visitare questo stesso Sito Internet www.paginedipoggio.com /Blog “Come la penso io”, in Eventi – Dicembre 2008 – titolo: «A Milano “folgorati” dalla “Conversione di Saulo” di Caravaggio».

(2) Per approfondimenti sulla mostra del 2009 a Milano del “San Giovanni il Battista” di Leonardo, visitare questo stesso Sito Internet www.paginedipoggio.com /Blog “Come la penso io”, in Eventi – Dicembre 2009 – titolo: «Il “San Giovanni” di Leonardo torna a Milano dopo 70 anni».

Il presente articolo è pubblicato anche su:

http://www.gazzettaweb.net/it/journal/read/A-Milano-la-Donna-allo-specchio-di-Tiziano.html?id=124


12
Dic

La “notte magica” di santa Lucia nella Bergamasca

A Bergamo le letterine si scrivono a santa Lucia che porta i suoi doni ai bambini la notte tra il 12 e il 13 dicembre.

La ricorrenza della festività di santa Lucia è magica e coinvolge tutti, grandi e piccini.

Bergamo – bancarelle festa di santa Lucia 2010

Tanta gente affolla il centro di Bergamo per perdersi tra le bancarelle allestite tra il Sentierone e piazza Matteotti.

Alla fiera sono presenti provenienti in gran parte dalla Bergamasca ma anche da diverse altre province lombarde e non solo.

L’edizione di quest’anno si svolge da sabato 11 a lunedi 13 dicembre e rappresenta un appuntamento importantissimo per tutti i bergamaschi.

Le postazioni commerciali si congederanno dal pubblico lunedi sera, giorno della festività di santa Lucia.

I banchi sono in gran parte dedicati agli articoli di carattere natalizio: abeti, decorazioni, presepi e luminarie, ma non mancano proposte che spaziano dai dolci all’abbigliamento, dai manufatti in legno agli articoli per la casa, diversi sono i punti gastronomici rivolti a chi desidera fare uno spuntino veloce tra un acquisto e l’altro. Molti negozi restano aperti anche nella giornata di domenica, raccogliendo questa opportunità, facoltativa, concessa dal Comune di Bergamo per tutte le domeniche di dicembre.

E così questa antica tradizione che anticipa, per un verso, l’arrivo del “Bambinello” e di “Babbo Natale” in fatto di regali per i più piccoli, è finita nel tempo con il fondersi con le festività natalizie e di fine anno in un caleidoscopio di luci e colori, tra acquisti, regali, alberi di Natale addobbati, presepi e mercatini di Natale ormai presenti anche a Bergamo ed in altri comuni della Bergamasca già da diversi anni.

A Bergamo il culto di santa Lucia risale a molto lontano.

È una delle più belle tradizioni della Bergamasca: nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, la Santa si incarica di distribuire doni ai fanciulli.

Un secolo fa A. Tiraboschi (cfr. Manoscritto, Festività Bergamasche) cosi scriveva: “Chi di noi non ricorda con piacere quel tempo in cui alla sera della vigilia del giorno di santa Lucia eravamo condotti dai nostri parenti a vedere quelle due lunghe grandi fila di banchette ricoperte di dolci, di mille maniere, e fra sacchi ricolmi di noci e di castagne affumicate?… Mi reco a passeggiare tra quei banchetti che, coi loro vari paramenti e con i loro tendoni illuminati di sotto producono un bellissimo effetto: mi fermo davanti a quei sacchi di noci e dì castagne, in mezzo ai quali è conficcata una candela, e mi diverto a sentire i vari inviti che dai venditori si indirizzano ai presenti: “I e ché i bei biligòcc de la Alota” (Eccoli qui i saporiti “vecchioni” di Vallalta).

Ancora oggi i bambini si coricano presto la sera della vigilia sognando i doni che loro porterà santa Lucia e si addormentano canterellando:

“Santa Löséa Mama méa / Co’ la borsa del papà / Santa Löséa la rierà” (Santa Lucia mamma mia / con la borsa del papà / santa Lucia verrà).

O,  ancora,  quella meno smaliziata: “Santa Löséa, mama méa met ü regal in da scarpa méa, se la mama no ‘la met, al resta ot ol me scarpet”  (Santa Lucia, mamma mia metti un regalo nella mia scarpa, se la mamma non lo mette, restan vuote le mie scarpette).

Ai bimbi, la leggenda popolare ha colorito di poesia la notte di santa Lucia; la Santa scende con un asinello a distribuire i doni ai bimbi buoni.

Bisogna far trovare sotto la cappa del camino, da cui discende, della paglia per nutrire l’asinello, e poi chiudere presto gli occhi curiosi al sonno, perché la Santa non vuol farsi scorgere.

Alcuni dicono che ai bimbi disubbidienti, ancora svegli per cercare di vederla, santa Lucia getta cenere negli occhi e passa oltre senza lasciare doni.

La notte del 12 dicembre c’era l’usanza di appendere alle finestre, da parte dei bambini, dei mazzetti di carote per ingolosire l’asinello di santa Lucia, ed invogliare la santa a lasciare più doni.

Altro uso antico era quello di mettere fuori dalla finestra uno zoccolo di legno chiuso davanti con dentro un po’ di crusca per l’asinello ed un bicchiere di legno pieno d’acqua per dissetare santa Lucia.

Accanto a tutto ciò veniva posto un lumino acceso per illuminare la finestra per indicare la presenza di bambini.

La mattina, si apriva la finestra e si trovava ben poco: “pastefrolle, caldarroste, carrube, castagne bollite, noci, nocciole, arachidi, cachi, mandarini, fichi secchi e croccanti fatti in casa con nocciole, acqua e zucchero, sandaletti, scarpe”, oppure “maglioni e calze pesanti di lana” necessarie per l’inverno.

I regali per le bambine erano di solito “bambole in legno o in pezza” fatte dalla nonna; i bambini trovavano giocattoli di legno “cavallini, carriole, trenini, fucili”, od anche “biglie e fionde”.

Le letterine dei bambini ai piedi di santa Lucia

Vi è pure la tradizione che il 13 dicembre siano raccolte ai piedi della Santa le letterine scritte dai bambini.

Molti piccoli, con la crisi attuale, forse pensano bene di dare una mano … alla Santa, aggiungendo nella busta, insieme alla letterina, i loro risparmi …  per aiutare i bambini meno fortunati.

 

Foto: Lorenzo Bove

Le informazioni e le notizie sulla tradizione della festività di santa Lucia nella Bergamasca sono state attinte da vari siti Internet.

 


28
Nov

Pizza Sette Sfoglie di Cerignola

E’ un dolce natalizio straordinario.

Assaggiare per credere!

La “Pizza Sette Sfoglie di Cerignola” è sicuramente una “bomba calorica” ma, come dicevano gli antichi romani, “semel in anno licet insanire” e quindi, una volta all’anno è lecito permettersi qualche peccato di gola.

Come si è capito, la “Pizza Sette Sfoglie di Cerignola” non è una “pizza”, nel senso tradizionale del termine, ma un dolce tipico, che ha recentemente ottenuto il riconoscimento per l’inserimento nell’elenco dei “Prodotti Agroalimentari Tradizionali Pugliesi”.

Ciò è avvenuto con D.M. del 16 giugno 2010 – Decima revisione dell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, con cui è stata accolta la richiesta promossa dal GAL – “Piana del Tavoliere Scarl”.

Il “GAL” è il Gruppo di Azione Locale di Cerignola, Orta Nova, Ordona e Stornara.

La pizza a sette sfoglie, che nel territorio può assumere anche la denominazione di “Pizza a sette sfogghie” o “Pizza del giorno di tutti i Santi”, prende il nome dalla sua caratteristica stratificazione in “sette sfoglie”, ognuna delle quali condita con vari ingredienti quali: zucchero, uva passa, mandorle tostate e tritate, olio extravergine d’oliva, mostarda d’uva, cannella, buccia di arancia grattugiata, cannella in polvere, cioccolato fondente a scaglie e liquore, fino ad ottenere la forma di una pizza (dolce) farcita.

La mostarda di uva, indispensabile per la preparazione del dolce, viene approntata in occasione della vendemmia e conservata opportunamente in vasetti di vetro con coperchio a chiusura ermetica.

Anche altri possono essere gli ingredienti utilizzati nelle singole famiglie per la preparazione del dolce, tipo: fichi secchi, mosto cotto, pinoli, noci, canditi, vanillina, cacao, ecc.

Ognuno utilizza le varianti che ritiene più appropriate, in relazione alla proprie tradizioni familiari.

Questo prodotto dolciario tipico del periodo natalizio, in origine legato più alla festa di Ognissanti ed anche dei Morti ( 2 novembre), rappresenta un importante prodotto della tradizione di Cerignola.

Proprio per la sua caratteristica propensione alla conservazione durava fino alle feste di Natale e veniva consumato con gli altri dolci tipici natalizi (mostaccioli, cartellate, mennele atterrate, etc.).

Per il suo contenuto calorico è un dolce che va consumato con parsimonia.

La sua ricetta si è tramandata per molte generazioni e compare già in alcuni testi storici locali dell’autore Luciano Antonellis sin dal 1964.

Tutte queste ragioni, unite alla forte motivazione di alcuni operatori della pasticceria artigianale del territorio (Perrucci, Caterina, Demonte, Ladogana, Dasti ed altri) ed alla preziosa consulenza del Prof. Giulio Cappelletti Docente dell’Università degli Studi di Foggia, Facoltà di Economia, hanno stimolato il GAL “Piana del Tavoliere Scarl” e tutto il territorio della Capitanata a richiedere il riconoscimento del tradizionale dolce locale.

“Con questa iniziativa” dichiara il Prof. Giulio Cappelletti “si è voluto tutelare il prodotto, ma soprattutto la ricetta tradizionale che negli ultimi anni stava perdendo la sua originalità, per questo motivo è stata svolta una ricerca bibliografica su documenti storici”.

“Questo risultato” dichiara il Presidente, Valerio Caira “ha dato un giusto riconoscimento alla Pizza a Sette Sfoglie che racconta la storia e le tradizioni culinarie della Città di Cerignola. Alla luce di questo brillante risultato, ci impegneremo per far riconoscere altri prodotti tipici del territorio del GAL ”Piana del Tavoliere Scarl”.

 

Alcuni spunti sono stati attinti dai siti:

www.capitanata.it

www.pianatavoliere.it

Foto di repertorio tratta da:

www.Wikipedia.org

 


4
Nov

Sacro e Profano a Monza

“Sacro e Profano”, dipinti e sculture in mostra a Monza al “Serrone” della Villa Reale.

Dal 2 ottobre 2010 al 9 gennaio 2011 il “Serrone” della Villa Reale ospita la mostra “Sacro e Profano. Temi mitologici e religiosi dalle Raccolte Civiche Monzesi”, una selezione di capolavori delle collezioni civiche monzesi.

La mostra, che raccoglie opere tra pittura e scultura dal XVI al XX secolo, è articolata in due parti, rispettivamente dedicate alla mitologia e ai soggetti sacri, ciascuna organizzata in modo da offrire un approfondimento di temi, momenti e situazioni che li hanno caratterizzati.

Le rappresentazioni mitologiche sono narrate dalle opere di Ambrogio Borghi, Arturo Martini e Pina Sacconaghi; la seconda parte – dedicata all’Antico Testamento, al Vangelo e Storie dei Santi – presenta, tra gli altri, opere del Garofalo, Eugenio Bajoni e Antonio Bucci.

Il tema del sacro incontra dunque quello del profano.

Sculture, quadri, opere d’arte unite dal fatto di appartenere tutte alle collezioni civiche monzesi ed esposte al pubblico nel’ambito di una rassegna denominata “Gemme d’autunno”, finalizzata a valorizzare il patrimonio artistico della città di Monza.

Molte delle opere tornano alla luce per la prima volta dopo 50 anni di oblio, uscendo dai depositi del Comune di Monza, in vista dell’attesa apertura del Museo presso la Casa degli Umiliati.

Il percorso è composto da 86 opere riconducibili ai due ambiti stilistici, il sacro e il profano appunto, che rappresentano il tema dell’evento.

In particolare, se nel profano l’iconografia è quella riconducibile ai miti classici (mitologia), nel sacro essa è riferita ai soggetti religiosi nei seguenti tre ambiti di riferimento: l’Antico Testamento, i Vangeli e le Vite dei Santi.

Dal 9 ottobre l’esposizione “Sacro e Profano” è affiancata anche da una selezione di stampe esposte all’Arengario, denominata “In principio. Storie dal mito e dalla Bibbia nelle stampe dei Musei Civici di Monza”.

Qualcosa…su Monza….

Il Parco di Monza viene spesso menzionato per il suo Autodromo e per le gare di Formula 1 che vi si disputano.

Ma oltre al Parco c’è anche la famosa Villa Reale e i suoi Giardini.

Un monumento che è stato abbandonato per anni subendo occupazioni a vario titolo, spoliazioni e decadimento. Attualmente ospita mostre ed esposizioni.

La Villa Reale di Monza

E’ un grande complesso di stile neoclassico che fu residenza prima dai reali austriaci e poi da quelli italiani. Maria Teresa d’Austria decise la costruzione della “Villa Arciducale” quando stabilì di assegnare al figlio Ferdinando d’Asburgo-Este la carica di Governatore Generale della Lombardia austriaca. La scelta di Monza fu dovuta “alla salubrità dell’aria e all’amenità del paese”, ma esprimeva anche un forte simbolo di legame tra Vienna e Milano, trovandosi il luogo sulla strada per la capitale imperiale. L’incarico della costruzione, conferito nel 1777 all’architetto imperiale Giuseppe Piermarini, fu portato a termine in soli tre anni. Successivamente il giovane arciduca Ferdinando fece apportare aggiunte al complesso, sempre ad opera del Piermarini e usò la Villa come propria residenza di campagna fino all’arrivo delle armate napoleoniche nel 1796. Eugenio di Beauharnais, nel 1805 nominato viceré del nuovo Regno d’Italia, fissò la sua residenza principale nella Villa che quindi in questa occasione assunse il nome di “Villa Reale”. Tra il 1806 e il 1808 per suo volere al complesso della Villa e dei suoi Giardini fu affiancato il Parco, recintato e vasto 750 ettari, destinato a tenuta agricola e riserva di caccia. Dopo la caduta di Napoleone (1815) vi fu il ritorno degli austriaci fino alla seconda guerra di indipendenza (1859) quando la Villa Reale diventò patrimonio di Casa Savoia. La Villa fu specialmente cara al Re Umberto I che amava risiedervi e che la volle trasformata in molti ambienti dagli architetti Achille Majnoni d’Intignano e Luigi Tarantola. Nel 1900 Umberto fu assassinato proprio a Monza da Gaetano Bresci mentre assisteva ad una manifestazione sportiva; in seguito al luttuoso evento il nuovo Re Vittorio Emanuele III non volle più utilizzare la Villa Reale, facendola chiudere. Gran parte degli arredi furono fatti trasferire a Roma a Palazzo del Quirinale.. Nel 1934 con Regio Decreto Vittorio Emanuele III fece dono della Villa ai Comuni di Monza e di Milano. Le vicende dell’immediato dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale provocarono occupazioni, ulteriori spoliazioni e decadimento del monumento. Oggi la Villa Reale è amministrata congiuntamente dai comuni di Monza e Milano. Dopo un lungo periodo di degrado. Solo recentemente hanno avuto inizio i lavori di restauro e ristrutturazione.

Il Serrone (Orangerie)

L’edificio destinato alle serre per il servizio dei giardini della Villa, denominato Orangerie nel progetto originale piermariniano e oggi comunemente noto come il Serrone, fu costruito nel 1790. L’ambiente, imponente per le dimensioni, è esposto e riceve la luce da sud da una lunga serie di finestre. In esso, oltre al ricovero invernale delle piante più delicate ed in generale delle piante esotiche, in età asburgica si soleva tenervi anche spettacoli di vario genere per la Corte. Nella seconda metà del XX secolo, proprio davanti al Serrone, è stato impiantato un vasto roseto nel quale annualmente nel mese di maggio viene indetto un concorso floreale. Dopo i restauri intervenuti, l’edificio oggi è destinato a sede di mostre d’arte temporanee.

Monza ha anche un notevole centro storico pedonalizzato e ben strutturato con molti esercizi commerciali e tante bellezze storiche da visitare, come:

L’Arengario

Un imponente complesso architettonico costruito alla fine del Duecento, con i piloni del porticato in granito chiaro, mentre il cotto domina nel palazzo – con bifore chiare – e nella torre campanaria della fine del Trecento di stile romanico – gotico, con cuspide e merlatura ghibellina.

Il Duomo

La chiesa fu completamente ricostruita sull’antica chiesa altomedievale, fatta erigere dalla Regina longobarda Teodolinda, alla fine del sesto secolo. Importante è il tesoro che si è composto nei secoli, a partire dal lascito di Teodolinda e in seguito di altri re e religiosi, che è possibile ammirare nel Museo del Duomo, situato accanto alla chiesa in spazi ipogei, suggestivi e ben allestiti. Interessante la Cappella di Teodolinda e le pitture ivi presenti. La Corona Ferrea suscita davvero meraviglia, per la sua storia interessante, il suo valore come reliquia, ma anche come simbolo del potere civile. La Corona Ferrea o Corona del Ferro è un’antica e preziosa corona che venne usata dall’Alto Medioevo fino al XIX secolo per l’incoronazione dei Re d’Italia. Per lungo tempo, gli imperatori del Sacro Romano Impero ricevettero questa incoronazione.

Il Ponte dei Leoni

Un interessante ponte sul fiume Lambro in centro città.


24
Ott

A Sesto San Giovanni tornano alla luce i resti del Monastero di San Nicolao

Ruderi, vecchi ruderi degradati e abbandonati da anni nel centro storico di Sesto San Giovanni e nel tempo utilizzati per gli usi più svariati, mettono in luce una parte sconosciuta della storia della città.

Si tratta dell’ex Monastero di San Nicolao; uno degli edifici più antichi di Sesto San Giovanni.

La leggenda vuole che il Monastero sia stato fondato da suor Marcellina, sorella di sant’Ambrogio vescovo di Milano.

Sesto San Giovanni avrebbe origini romane e il suo nome deriverebbe dall’espressione latina: “ad sextum lapidem” (alla sesta pietra miliare).

Sul suo territorio esistono ancora i segni della centuriazione romana: le vie XXIV maggio e Fratelli di Dio seguono il tracciato parallelo alla centuriazione.

Un’antica strada romana proveniente da Milano (Porta Nuova) attraversava l’attuale via Del Riccio, proseguiva per via Cavallotti, via Verdi, fiancheggiava il Monastero di San Nicolao e si dirigeva verso l’incrocio di viale Rimembranze per raggiungere Como lungo il fiume Lambro e Bergamo passando per Crescenzago.

Ambrogio non era nato a Milano, ma a Treviri, nella Gallia, verso il 339 d.C.

Era figlio di un alto funzionario romano in servizio oltralpe quale Prefetto del Pretorio per le Gallie e, dopo la morte del padre,  con la madre e i fratelli Marcellina e Satiro, rientrò a Roma.

Marcellina si consacrò a Dio prendendo il velo delle vergini, mentre Satiro, che per un certo tempo ricoprì un’alta carica statale, morì nel 378.

Aurelio Ambrogio, meglio conosciuto come sant’Ambrogio vescovo, scrittore e uomo politico, fu una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo d.C.

È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che lo annovera tra i quattro massimi Dottori della Chiesa, insieme a san Girolamo, sant’Agostino e san Gregorio I papa.

Conosciuto anche come Ambrogio di Milano, è patrono della città di Milano, della quale fu vescovo dal 374 fino alla sua morte e nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.

La sorella Marcellina, che ricevette il velo verginale dalle mani del papa Liberio nella basilica di S. Pietro in Vaticano nel Natale di un anno che sembra essere il 353, aveva seguito a Milano i suoi fratelli per essere loro collaboratrice.

Sopravvisse a sant’Ambrogio e morì nel 397; a lei è intitolata la congregazione delle Suore di santa Marcellina.

Il ritorno alla luce dei resti dell’ex Monastero San Nicolao ha avuto inizio sabato 23 ottobre 2010 alle 17.00, nella Chiesa dell’Assunta di via Cavour di Sesto San Giovanni con il concerto di musica rinascimentale “I fantasmi del San Nicolao”, eseguito dall’Ensemble Le Spezie Musicali e con delle brevi letture a cura dell’attrice Ida Spalla.

Alle 18.00 è seguito, sul sito dei ruderi, il saluto inaugurale del Sindaco Giorgio Oldrini, secondo il quale “far rivivere il San Nicolao è una scelta di fondo per costruire il futuro di Sesto San Giovanni”, ed infine un momento di solenne Benedizione.

Ora, i vecchi ruderi degradati si presentano ripuliti dalla vegetazione spontanea e incontrollata, illuminati negli scorci più caratteristici e circondati da una recinzione in metallo e vetro su cui sono stati riportati i necessari riferimenti storici.

Le architetture sono trecentesche con 7 arcate ogivali in buono stato di conservazione; il chiostro, a forma rettangolare, originariamente era porticato su almeno tre lati.

L’annessa chiesetta romanica, larga 14 metri e lunga 20 metri, è stata demolita nel 1962. Si è così perso un antico trittico; in una teca, a lato dell’altare, erano conservate, fino alla fine del 1800, le reliquie di Sant’Ambrogio.

Nell’XI secolo la struttura ospitava le Suore Benedettine Cistercensi di sant’Ambrogio, monache coraggiose che avevano ingaggiato una dura battaglia contro la chiesa di san Giovanni Battista in Monza, l’attuale Duomo, per sottrarsi alle pesanti decime.

 

L’intervento del Sindaco di Sesto San Giovanni alla cerimonia di inaugurazione del 23 ottobre 2010:

“La riqualificazione dell’ex Monastero di san Nicolao, solo fino a pochi mesi fa, non era altro che un sogno. Per anni, anche su sollecitazione di tanti cittadini, abbiamo provato a trovare una strada che rendesse possibile il raggiungimento di due obiettivi: quello di un intervento teso a rimuovere una situazione oggettiva di degrado e quello di un’azione che valorizzasse questo edificio, forse il più antico di Sesto San Giovanni, quale bene collettivo dell’intera comunità. Oggi, con questa prima fase di lavori, il sogno comincia a divenire realtà. L’ex Monastero, ripulito dalla vegetazione spontanea e incontrollata, conservato nelle parti superiori, illuminato nei suoi scorci più caratteristici, circondato da una recinzione in metallo e vetro su cui sono riportati gli elementi principali della sua storia, torna in possesso dei cittadini attraverso la possibilità di vederlo. E’ un primo passo, ma vogliamo farne assieme altri due in futuro, quello che darà l’opportunità di entrare dentro al vecchio ex Monastero fruendone lo spazio e quello che permetterà di riqualificare l’intera area tra via Verdi e via Manzoni, migliorando il collegamento col giardino di Villa Puricelli Guerra; ancora due sogni che vogliamo realizzare”.

 

Il presente articolo è pubblicato anche su:

Gazzetta web. info


8
Ott

Il Bargnolino

Borgo Val di Taro è la capitale del  FUNGO PORCINO

Spesso chiamato Borgotaro, “Al Burgh” in dialetto locale, Borgo Val di Taro è un comune di 7.149 abitanti della provincia di Parma che si trova in una conca circondata da colline lungo il corso del fiume Taro.

La “Valtaro” è un angolo di terra emiliana tra Liguria e Toscana.

Fungo di “Borgotaro”

La zona di Borgo Val di Taro è rinomata per i suoi pregiati funghi porcini che si fregiano del marchio I.G.P. (indicazione geografica protetta) della Comunità Europea.

Fra le specialità gastronomiche locali, piatti a base di funghi, cinghiale e polenta.

Luoghi d’interesse

Visitando il Borgo si possono vedere: parte del castello (solo parte della torre), il monumento a Elisabetta Farnese, la chiesa parrocchiale di Sant’Antonino (1200 ca), la chiesa di San Domenico, la sede della Comunità Montana (nell’edificio che ospitava l’ospedale), l’arco di Porta Farnese, palazzo Boveri (che ospitò Elisabetta Farnese) ed il borgo medievale rimaneggiato in stile barocco.

Feste, fiere e sagre

• Carnevale di Borgotaro

• Fiera del Fungo Porcino

• Fiera della castagna

• Sagra della Madonna del Carmine

A Borgo Val di Taro abbiamo, nei giorni scorsi, scoperto (ed acquistato naturalmente) le “bacche” per preparare il “Bargnolino”.

Un piacevolissimo liquore locale, che ci hanno fatto assaggiare in un ristorante a fine pasto.

Sono le “bacche” del prunolo selvatico, arbusto tipico dell’appennino tosco-emiliano, detto anche pruno spino, in dialetto “bargnò”, che si raccolgono in ottobre.

Il “Bargnolino” è un liquore dall’alta gradazione alcolica, ottenuto dalla infusione delle bacche di prugnolo selvatico, un arbusto dalle foglie scure e dai frutti blu che maturano alla fine dell’estate.

 

 

Il “Bargnolino, che in dialetto prende il nome di “Bargnolein” è prodotto e commercializzato, in bottiglie di varie forme, da diverse aziende locali ed anche il suo consumo è molto diffuso.

Ma in tanti sono quelli che continuano a prepararlo ancora artigianalmente in casa, seguendo le vecchie tradizioni territoriali e le antiche ricette tramandate di generazione in generazione, dopo aver faticosamente raccolto i “bargnò” dai rovi spinosi nel periodo della loro giusta maturazione.

Anche noi siamo riusciti a strappare sul posto un’antica ricetta, segretamente conservata da vecchie famiglie del luogo, con la quale abbiamo già dato avvio alla preparazione di un infuso naturale e del tutto genuino.

Ma questo rappresenta solo la fase iniziale della preparazione del “Bargnolino”, essendo il procedimento molto più lungo; almeno tre mesi e mezzo per sorseggiare un buon “Bargnolein”.

Il Prugnolo (prunolo selvatico)

La pianta fa parte della famiglia delle rosacee, ed il suo arbusto può arrivare fino ad un’altezza di 3 metri. Della pianta, le parti che vengono utilizzate sono le foglie ed i frutti. Pur non essendo una pianta medicamentosa, alcune sue proprietà risultano interessanti I fiori esercitano un’azione depurativa e diuretica. Hanno un leggero ma efficace effetto lassativo seguito da un’azione rilassante. Sono molto indicati nella stitichezza I frutti, invece, hanno un’azione contraria ai fiori, ossia astringenti, e quindi utili in caso di diarrea . Contengono tannino, e vitamina C, stimolano il processo digestivo. Il consumo dei frutti provoca un aumento dell’appetito ed una sensazione rinfrescante. Si possono mangiare freschi, cotti, o sciroppati. Il suo liquido di cottura, è indicato per tamponi nasali in caso di emorragie, e può essere usato per fare degli sciacqui in caso di problemi gengivali. Và riposta la massima attenzione nei noccioli in quanto, contenendo acido cianitrico, sono altamente tossici; quindi và evitato lo schiacciamento ne tantomeno il mangiarli. Il suo uso è consigliato in caso di tamponi nasali, per gli infusi, i decotti, e lo sciroppo.

Solo nell’Appennino Tosco – Emiliano, grazie a un microclima particolare, all’azione dei venti e delle piogge abbondanti e all’opera nascosta e misteriosa degli umori vitali del suolo, germoglia il Prugnolo dal quale prende vita il Bargnolino.

 

 

RICETTA Bargnolino (“Bargnolein”, in dialetto)

Ingredienti  per 2 litri circa di liquore

1 Kg. di bacche

1 litro di alcool puro

1 litro di vino bianco secco

1 Kg. di zucchero

Procedimento

Si mettono in infusione le “bacche” con alcool puro in un vaso di vetro ben tappato, avendo cura di agitarlo un paio di volte a settimana. Il recipiente va tenuto alla luce per tutto il tempo.

Dopo quaranta giorni, si procede a filtrare l’infuso così ottenuto.

A parte, si porta ad ebollizione vino bianco e zucchero fino a farlo sciogliere completamente e, una volta raffreddato, quest’ultimo composto viene anch’esso filtrato ed aggiunto al precedente infuso.

Si amalgama ben bene il tutto con un cucchiaio di legno e si lascia riposare per qualche ora.

Il liquore può ora essere imbottigliato e fatto maturare per almeno due mesi.


1
Ott

Ancora …complicazioni … sul “dissesto idrogeologico” di Lesina Marina.

E’ notizia dell’ ultima ora:

Le spese per le verifiche tecniche sulla condizione statica dei fabbricati e quelle per ottemperare all’ordinanza prefettizia, dovranno essere sostenute esclusivamente dai proprietari degli immobili interessati.

 

 

E, ciò, in base alla sentenza della Sezione 4 del Consiglio di Stato relativa al ricorso presentato dalla Prefettura di Foggia avverso alla sentenza del Tar del Lazio, che aveva invece stabilito che le spese per la trivellazione e per le indagini sulla situazione di pericolo dei fabbricati di Lesina Marina soggetti ad Ordinanza di Sgombero emessa dal Prefetto un anno fa dovevano far carico alle risorse pubbliche.

Con quest’ultima sentenza la posizione dei proprietari delle case di Lesina Marina si fa davvero critica.

Essi avranno infatti solo sessanta giorni di tempo per provvedere all’esecuzione delle verifiche tecniche richieste e, in caso di inadempimento, le palazzine verranno immediatamente sgomberate e sigillate dalle Forze dell’ Ordine.

Medesima sorte subiranno gli immobili i cui esiti dovessero risultare negativi.

 

Da : Newsgargano.com Lesina Marina

Una lettera di Damone all’assessore Amati Scritto da Ufficio Stampa Francesco Damone

Lunedì 13 Settembre 2010 14:22 Marina di Lesina –

Il capogruppo consiliare de “La Puglia Prima di Tutto”, Francesco Damone, ha inviato una lettera all’assessore alle Opere pubbliche, Fabiano Amati, sulle problematiche dei proprietari di case a Lesina Marina. “La notizia delle decisioni contrastanti del Consiglio di Stato sulla condizione idrogeologica di Lesina Marina ha determinato nei proprietari interessati al fenomeno un allarme sociale che può non creare preoccupazioni e difficoltà agli utenti. D’altra parte il prefetto di Foggia, commissario per conto della Protezione civile, non può che adempiere alle sentenze degli organismi istituzionali. Di fronte alle difficoltà e ai danni gravissimi che ricadrebbero sulle spalle dei proprietari, non si può richiedere l’intervento della Prefettura perché incompetente nel caso di specie. L’Autorità di Bacino da diversi anni, su incarico dell’assessorato regionale ai Lavori pubblici, ha proceduto e sta procedendo a verifiche geomorfologiche del territorio ma, ad oggi, non si ha nessuna relazione ufficiale sulla situazione generale del territorio di Lesina Marina nonché sul consuntivo delle somme spese con relativa relazione tecnica dei lavori eseguiti, né si ha alcuna notizia sulla proposta di ripristino del canale ‘Acquarotta’ suggerito, da diverso tempo, dalla Protezione civile nazionale. L’assessorato regionale, quindi, è chiamato a fare chiarezza sia sull’utilizzo dei fondi preesistenti, circa tremilioni e mezzo di euro assegnati al Comune di Lesina, sia sui fondi che l’assessore del tempo, Onofrio Introna, con grande sensibilità, ha provveduto ad assegnare a quelle località marine. Essendo da poco terminata la stagione estiva, si presume che tali adempimenti e relazioni avrebbero avuto tutto il tempo per poter avere una prospettiva. Oggi, invece, i termini imposti dal Consiglio di Stato, richiedono una risposta immediata dell’assessore stabilendo un tavolo di incontro presso la Prefettura di Foggia tra la Regione Puglia, l’Autorità di Bacino, il prefetto di Foggia, il sindaco di Lesina e una rappresentanza dei proprietari. La invito assessore Amati a sposare, con la Sua nota sensibilità, la problematica evidenziata. In attesa di provvedimenti conseguenti, cordialmente La saluto”.

 

Foto di Lorenzo Bove – 2010


23
Set

“Il Viandante” il nuovo libro di Giacomo Fina

“Il Viandante – I Sogni Il Suono Le Parole”.

E’ questo il titolo della nuova raccolta di poesie di Giacomo Fina; un libro che fa seguito al “Viaggio d’autunno” dello scorso anno e al “Dialogo postumo” del 2007 dello stesso autore poggioimperialese.

La sera di sabato 7 agosto 2010, presso la Scuola Elementare “Edmondo De Amicis” di Poggio Imperiale, si è svolta la cerimonia di presentazione.

Folta la partecipazione di pubblico all’evento patrocinato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Poggio Imperiale.

Relatori:

Oriana Fidanza, scrittrice

Giucar Marcone, giornalista e scrittore

Giacomo Fina, autore del libro

Fabio Gemo, attore e regista teatrale, che ha deliziato i presenti con alcune “letture poetiche” tratte dal libro di Giacomo Fina “Il Viandante”

Dalla Prefazione di Giucar Marcone:

« Ho letto con particolare attenzione questa nuova raccolta di poesie di Giacomo Fina che, con scrittura piacevole, chiara e accattivante, ancora una volta, dopo “Dialogo postumo” e “Viaggio d’autunno”, riesce a coinvolgerci emotivamente portandoci in una realtà dove il suono e le parole addolciscono i sogni che ci accompagnano “dall’alba al tramonto” (E’ Settembre).

“Il viandante – I sogni il suono le parole” […] comprende quattro sezioni: poesie inedite, poesie in vernacolo, alcune composizioni tratte da “Dialogo postumo” (opera prima del nostro poeta), e un poemetto, “Dialogo in dispensa”, dedicato ai prodotti della terra, esaltazione della tradizione e condanna del consumismo imperante. In queste composizioni c’è tutto Fina che si commuobe, si emoziona, gioisce, sorride in uno “zibaldone” di versi, di pensieri, di sogni e realtà, che s’immerge in un caleidoscopio di sensazioni, di rimpianti nel gioco non smpre prevedibile della vita …».

In quarta di copertina:

E’ Settembre

Nuvole nere lontane.

L’estate forse è finita.

Nello spazio ogni cosa

ha il suo tempo.

Le stagioni s’inseguono

come le onde del mare.

Ma per noi una è l’estate,

una la primavera.

Così tutte le stagioni.

Noi siamo solo viandanti,

dall’alba al tramonto.

 

IL VIANDANTE

I SOGNI IL SUONO LE PAROLE

Edizioni del Poggio

Collana “Emozioni” diretta da Giucar Marcone

 

Foto di repertorio di Lorenzo Bove


14
Set

“Barivecchia”, lo straordinario borgo antico di Bari.

Un dedalo di viuzze bianche a ridosso del mare, fino a non troppo tempo fa difficilmente percorso dai turisti a causa della microcriminalità locale, rappresenta oggi il regno della “movida pugliese” anche grazie al boom di ristoranti e locali aperti proprio in questi suggestivi vicoli.

E’ lo straordinario centro storico di Bari, un tempo chiamato “barivecchia” e oggi denominato “borgo antico”.

Un quartiere con una sua storia antichissima e con una quotidianità attuale.

Un luogo che merita veramente di essere riscoperto e vissuto.

La città vecchia di Bari o meglio Bari Vecchia, come dicono i baresi, è la parte più antica della città di Bari, all’interno delle antiche mura, così denominata, a partire dal XIX secolo, in contrapposizione alla città nuova (la cui edificazione è iniziata a partire dal 1813 sotto il regno di Gioacchino Murat).

Bari Vecchia è situata nella penisola racchiusa tra i due porti di Bari (il porto vecchio e il porto nuovo), delimitata a sud da Corso Vittorio Emanuele, mentre la città nuova si estende tra la ferrovia e la costa, con strade a reticolo ortogonale. Insieme formano l’odierno centro urbano della città di Bari e sono riuniti nella IX circoscrizione denominata quartiere Murat, che è il centro pulsante della città capoluogo pugliese.

La città antica (la così detta “barivecchia”) fra i porti nuovo e vecchio è chiusa a est dalle mura che la separano dal lungomare ed è caratterizzata da un impianto urbanistico tipicamente medievale. Il centro storico, che sorge su di una piccola penisola laddove originariamente si sarebbero sviluppati i primi insediamenti preistorici, rappresenta quella porzione di Bari più folcloristica, ancora legata ad antiche tradizioni: essa appare infatti depositaria di memorie e costumi che nella città moderna sempre più si è propensi ad abbandonare. Si trovano nella Bari antica notevoli monumenti romanici, tra cui la Basilica di San Nicola (XII secolo), capolavoro dell’architettura romanico pugliese.

 

La Basilica di San Nicola nel cuore della città vecchia di Bari, è uno dei più fulgidi esempi di architettura del romanico pugliese. In stile romanica fu costruita tra il 1089 e il 1197, durante la dominazione normanna.  La tradizione vuole che la Basilica sia stata eretta a seguito dell’arrivo a Bari di un gruppo di marinai baresi (partiti alla volta di Myra in Turchia) in possesso delle spoglie di San Nicola. La realizzazione della Chiesa è legata alla volontà di ospitare e custodire le reliquie del Santo (depositate in una abbazia benedettina il 9 maggio 1087) la cui venerazione riguarda anche la dimensione ortodossa. Leggende narrano che in realtà la basilica fu costruita per celare il Sacro Graal, il calice dal quale Cristo bevve nel giorno dell’Ultima Cena con gli apostoli. A fondamento di questa leggenda Bari era il porto dal quale crociati e gente di ventura partiva per la terra santa, quindi era ritenuta una città ai margini dell’impero, ma nello stesso tempo pregna di sacralità. San Nicola di Myra è uno dei Santi a cui i cristiani ortodossi, in special modo russi, riservano una devozione particolare.

La Basilica ogni giovedì, giorno dedicato al culto del santo, rappresenta uno dei pochi punti frequentati contestualmente da appartenenti dalla Chiesa d’ Occidente e dalla Chiesa d’ Oriente.

Con la caduta del blocco sovietico e la conseguente apertura dei paesi dell’est Europa sul fronte occidentale, la Basilica ha rappresentato e rappresenta tuttora, vivamente, uno dei punti più importanti del turismo legato ai pellegrinaggi religiosi. Il suo essere meta privilegiata delle due Chiese segna l’incontro tra la cultura greco-ortodossa – che ha condizionato fortemente l’intera regione nel corso della sua storia – e quella cattolico-romana.

A suggello dell’amorevole e fruttuoso scambio ecumenico le celebrazioni in rito ortodosso che ogni giorno dell’anno si tengono nella cripta della Basilica, accanto al simulacro del santo. Il flusso secolare dei pellegrini ha permesso la costituzione di un “tesoro”, composto dai doni (spesso in materiali preziosi) che essi portavano in Basilica come segno di devozione per il santo che vi si venerava.

 

Altro edificio da ammirare insieme alla sua bellissima Cripta è la Cattedrale di San Sabino (1170-1178), nei cui archivi è conservato un celebre Exultet (codice miniato) databile attorno al 1025. Sorta tra il XII e il XIII secolo, probabilmente verso l’ultimo trentennio del 1100, su un più antico luogo di culto, ossia sulle rovine del Duomo bizantino distrutto da Gugliemo I detto il Malo (1156); a destra del transetto è possibile osservare tracce del pavimento originario che si estende sotto la navata centrale. La presenza della Diocesi nella Cattedrale di Bari, infatti, risale al Vescovo Concordio, che fu presente al Concilio Romano del 465. L’antica chiesa episcopale è databile perlomeno al VI secolo. Sotto la navata centrale si trovano i resti di una antica chiesa, risalente ad un periodo precedente al primo millennio. Questa è strutturata in un ambiente a tre navate, con pilastri quadrati, volte a crociera costruite con blocchi di pietra posti a spina di pesce. Inoltre sono state trovate fondazioni che indicano la presenza di un edificio absidato il cui asse doveva essere dispostato leggermente obliquo rispetto a quello dell’attuale cattedrale. Su uno dei mosaici pavimentali un’iscrizione in cui compare il nome del Vescovo Andrea (758 – 761), fa pensare che si trattasse della prima cattedrale distrutta nell’IX – X secolo. Al posto di questa chiesa sorge la cripta della cattedrale attuale, l’episcopio di Santa Maria, che probabilmente è l’edificio in questione. Nella prima metà dell’XI secolo l’arcivescovo di Bisanzio (1025 – 1035) fece costruire una nuova chiesa terminata poi da Nicola I (1035 – 1061) e Andrea II (1061 – 1068), suoi successori. Questa chiesa fu poi distrutta da Guglielmo il Malo, durante la distuzione dell’intera città (fu risparmiata solo la Basilica di San Nicola) che egli compì nel 1156. L’arcivescovo Rainaldo alla fine del XII secolo iniziò la ricostruzione dell’edificio. Nella cripta sono conservate le reliquie di San Sabino, vescovo di Canosa, nell’altare maggiore. Trasportato il busto argenteo di San Sabino nell’archivio capitolare, oggi è venerata l’icona della Madonna Odegitria secondo la tradizione giunta dall’Oriente nel VIII secolo, ma in realtà più tarda e dal culto molto antico. Nelle absidi minori vi sono due sarcofagi: uno contiene le reliquie di Santa Colomba, di recente restaurate, e l’altro reliquiari vari. Nella sagrestia di destra è collocato un altare con un dipinto raffigurante, probabilmente, San Mauro, ritenuto primo vescovo d Bari. L’attuale Cattedrale è quindi il risultato di lavori iniziati subito dopo la distruzione operata da Guglielmo il Malo. Per l’opera furono usati materiali provenienti dalla chiesa precedente e da altri edifici distrutti. Consacrata il 4 ottobre 1292, la chiesa si rifà allo stile della Basilica di San Nicola. L’edificio ha poi subito una serie di rifacimenti, demolizioni ed aggiunte a partire dal XVIII secolo. Durante il XVIII secolo la facciata, l’interno delle navate, l’interno della Trulla (l’antico battistero del XII secolo, oggi sacrestia) e la cripta furono rifatte in forme barocche su progetto di Domenico Antonio Vaccaro. L’arredo interno fu invece riportato alle antiche fattezze romaniche negli anni cinquanta del XX secolo.

 

Nel centro storico sono presenti altri monumenti come il celebre Castello Normanno-Svevo fatto edificare, perlomeno nel suo nucleo principale a noi pervenuto, da Federico II di Svevia sul sito di precedenti fortificazioni normanne e bizantine. Particolare nota merita il ritrovamento al suo interno, durante gli scavi condotti all’inizio degli anni ottanta, della pianta completa di una chiesetta protocristiana con l’abside canonicamente orientata ad est, cioè verso il punto in cui sorge il sole, il cui impianto, completo di fonte battesimale e recante nel piano fondale diverse sepolture, è visitabile seguendo il percorso attrezzato in uscita dal fondo della sala che ospita la Gipsoteca. Ampliato nel XVI secolo, quando divenne dimora di Isabella d’Aragona e in seguito dalla di lei figlia Regina Bona Sforza di Polonia, fu poi adibito nel XIX secolo dapprima a prigione e successivamente a caserma. Le principali modifiche riguardarono, in epoche diverse, le torri e successivamente i loro bastioni che si ergono imponenti dal fondo del fossato che circondava l’intero edificio.

Altro edificio celebre di Bari antica è il Fortino di Sant’Antonio Abate, eretto per scopi difensivi nel XIV secolo dal Principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, demolito dagli stessi baresi nel 1463 ed in seguito ricostruito nel XVI secolo. Da non trascurare i percorsi pedonali che da Piazza del Ferrarese portano, attraverso l’antica Piazza Mercantile all’intrigo di vicoli della città vecchia, con i suoi profumi e gli scorci di improvvisa bellezza, ed attraverso la rampa che conduce al Fortino su citato, alla suggestiva passeggiata lungo la Muraglia che termina in prossimità del complesso di Santa Scolastica, nei pressi dell’accesso principale all’area portuale.

 

 

Nota:

I dati sopra riportati sono tratti da guide turistiche, depliants, siti internet, ecc., mentre le foto sono di Lorenzo Bove.


6
Set

La “Notte delle Spighe”: le motivazioni dei Premi 2010.

L’Associazione Culturale Terra Nostra Onlus di Poggio Imperiale ha pubblicato sul proprio Sito: http://www.terranostraonlus.eu/  le motivazioni dei tre premi conferiti nella 3ª Edizione del Premio “Spiga d’oro 2010” del 26 giugno 2010, che vengono di seguito riportate.

 

“Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

 DELIO ROSSI

 Allenatore del Palermo Calcio

Con la seguente motivazione:

“Professionista competente e geniale. Sa organizzare ed amalgamare i giocatori delle squadre da lui gestite, inculcando in essi il rispetto delle regole ed il rigore sportivo. Lungimirante e rapido nelle decisioni, perspicace ed efficiente nell’attuare le tecniche ed i sistemi di gioco e nel salvaguardare le capacità professionali proprie e degli atleti sotto la sua tutela. Sa affrontare le varie problematiche e sa gestire con moderne tecniche le gare e i vari incontri sportivi, dimostrando di possedere senso del dovere e grande professionalità. Grazie alle scelte serie e rigorose, all’orgoglio equilibrato e fiero, rappresenta una solida realtà nello sport italiano”.

” Premio “Spiga d’Oro Capitanata”

SERGIO DE NICOLA

Giornalista RAI Regione (Puglia)

Con la seguente motivazione:

“Giornalista professionista, corrispondente della Rai per la Capitanata, ha dato voce ai problemi e alle notizie del nostro territorio. Informa nel rispetto della verità, mettendosi con piena lealtà al servizio del pubblico. Varie e significative le sue esperienze professionali, come conduttore, come coordinatore, come scrittore, come docente, a livello universitario, di Scienze della Comunicazione, Giornalismo e Comunicazione di massa. Si pone come tramite tra la notizia ed il pubblico, elargendo un’informazione corretta e persuasiva. Con eleganza e sobrietà, evita gli artifici che condizionano la genuinità della notizia e violano il requisito della civile esposizione dei fatti”.

” Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra”

LORENZO BOVE

Ex Dirigente RFI (Gruppo Ferrovie dello Stato)

Con la seguente motivazione:

 “Esperto ed autorevole funzionario dalla personalità poliedrica. Ha occupato posti dirigenziali di alto profilo progettuale ed intellettuale. Si è sempre distinto per le sue doti di negoziatore lungimirante ed esperto comunicatore. Terranovese verace. Pur avendo lasciato la sua terra nativa per attuare i suoi progetti di vita, ha sempre mantenuto uno stretto legame con essa, mostrandosi leale e disponibile con i suoi compaesani. Non ha mai dimenticato il dialetto terranovese e lo ha valorizzato, tramandando detti e proverbi, perché il tempo non li cancelli.”

Le foto sono tratte dalle immagini di repertorio della manifestazione tenutasi a Poggio Imperiale la sera del 26 giugno 2010 e pubblicate dall’Associazione Culturale Terra Nostra Onlus sul proprio Sito http://www.terranostraonlus.eu/ .


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