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Poggio Imperiale, la Porta della Puglia e del Gargano.

Un poggio, un'altura,
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sul passato, presente e futuro.
Sul mondo intero.
(l.b.)
19
Giu

A Sesto San Giovanni ritornano a suonare a distesa le campane della Basilica di Santo Stefano.

A causa dell’inceppamento dell’impianto meccanico e degli ulteriori problemi di sicurezza insorti, negli ultimi anni l’utilizzo delle stupende campane della Basilica di Santo Stefano di Sesto San Giovanni era ridotto allo stremo, fino al loro recente blocco totale che è durato diversi mesi.

Finalmente, lo scorso sabato 11 giugno, dopo la messa delle ore 18,30 le campane sono ritornate nuovamente a suonare a distesa, grazie alla generosità dei parrocchiani che ne hanno consentito il completo restauro, ma soprattutto grazie all’iniziativa assunta al riguardo dal Prevosto Don Giovanni Brigatti.

Dalla relazione tecnica del lavoro fatto:

La Basilica di Santo Stefano dispone di un concerto di campane composto da otto bronzi, intonati in scala diatonica maggiore in la bemolle 2, fusi dalla Fonderia vescovile Cavadini di Verona , nel 1937: si tratta di un concerto ambrosiano tra i più grandi a livello europeo. Le campane hanno ciascuna una dedica; tra le più significative: la campana n. 1, la più grande, è dedicata a Cristo; la campana n. 2, media-grande, è dedicata a San Clemente; la n. 3, la media, è dedicata a San Giovanni Battista; la n. 4, media-piccola alla Madonna Addolorata, ecc. L’opera di ristrutturazione, iniziata a metà marzo 2011, è terminata nelle seconda settimana di maggio 2011. Tale opera si è resa necessaria perché erano stati evidenziati molti problemi di carattere strutturale e meccanico, che hanno compromesso gravemente la sicurezza. Il lavoro di ristrutturazione ha richiesto lo smontaggio delle campane, la loro rotazione sull’asse verticale centrale al fine di avere un nuovo punto di battuta, perché il precedente risultava deformato e infossato, con il rischio di una grave incrinatura delle campane stesse. I battagli sono stati completamente sostituiti con altri, utilizzando una lega ferrosa più morbida in modo da ridurre il consumo e la conseguente infossatura del punto di battuta; i battagli sono stati muniti di un sistema di sicurezza composto da corde in acciaio antiruggine, passati in opportuni anelli di sicurezza , che non ne permettono la caduta in caso di rottura del battaglio. I ceppi e i contrappesi di ogni campana sono stati completamente revisionati, puliti al loro interno dalla zavorra; al posto della zavorra sono state inserite delle piastre di acciaio inox. I cuscinetti sono stati tutti sostituiti; sono stati applicati i sistemi di paracadute, prima mancanti, ai supporti dei cuscinetti, che in caso di rottura dei perni, impediscono la caduta della campana. I perni di rotazione delle campane sono stati revisionati e trattati opportunamente: le ruote che comandano la rotazione delle campane, con un sistema a motore, sono state sostituite. Un altro grosso intervento ha interessato i telai di sostegno: parecchie parti logore sono state sostituite. Sono stati applicati particolari sistemi antivibranti, che mancavano, posizionati alla base del telaio di ogni campana, allo scopo di ridurre le vibrazioni prodotte dal movimento durante il suono: questa soluzione risulta importante per evitare pericolose sollecitazioni alla struttura del campanile.

Il giudizio di un esperto:

Il concerto di otto campane della Basilica di Santo Stefano di Sesto San Giovanni risulta tra i più interessanti della Lombardia. Le campane sono caratterizzate da una quantità di suono particolarmente raffinato, armonioso, pulito e interessante sia dal punto di vista tecnico che acustico. Le caratteristiche delle singole campane e l’estetica musicale dell’insieme consentono di classificare, senza alcun dubbio, il concerto della Basilica di Santo Stefano come uno dei più interessanti della Lombardia.

 

Le informazioni sopra riportate sono tratte dal periodico “NOTIZIE” della Parrocchia di Santo Stefano di Sesto San Giovanni (Milano) – Giugno 2011- n. 63.


17
Giu

Modellismo: a Trento dei bellisimi ed unici trenini elettrici!

Di trenini elettrici ce ne sono sicuramente tanti, in giro in Italia e per il mondo, ma quelli realizzati dal Gruppo Fermodellistico Pocher di Trento hanno forse qualcosa di speciale.

Sarà per la particolarità del materiale rotabile miniaturizzato di fattura singolare, o sarà per la unicità del plastico nel cui contesto i trenini si muovono, fermandosi e ripartendo, in un panorama tipico della valle dell’Adige fedelmente ricostruito; certo è che si tratta di qualcosa di veramente avvincente.

E ciò nella Sala Mazzoni della Stazione FS di Trento ove il grande plastico è operativo dal 1996.

Il tutto è da farsi risalire ad uno sparuto gruppo di amici che il 28 febbraio 1992 hanno dato vita al Gruppo Fermodellistico Feramatoriale, quale sezione del Dopolavoro Ferroviario FS di Trento, la cui denominazione è poi stata modificata, in data 16 marzo 1997, in Autonoma Associazione Culturale, allo scopo di « … unire gli appassionati di ferrovie e di modellismo ferroviario per favorire lo sviluppo della comune passione, lo scambio di esperienze con l’amicizia fra i soci e le rispettive famiglie ed avvicinare al mondo della rotaia gli appassionati non ferrovieri…». Il Gruppo ha aderito successivamente alla F.I.M.F. (Federazione Italiana Modellisti Ferroviari) che riunisce circa 30 gruppi su tutto il territorio nazionale, con circa 1.000 aderenti. Il 4 marzo 1994 il Gruppo, per decisione unanime dell’Assemblea, è stato intitolato alla memoria del maestro modellista Arnaldo Pocher di origine trentina, pioniere del fermodellismo in Italia.

L’Associazione porta dunque il nome di Arnaldo Pocher, figura di primo piano del panorama modellistico nazionale ed internazionale nato il 22 settembre 1911 a Trento, in cui vive l’infanzia e la prima giovinezza, frequenta l’istituto tecnico ed alcuni laboratori di oreficeria.

Nel 1932 si trasferisce a Torino per svolgere l’attività di incisore. Nei primi anni del dopoguerra si avvicina al modellismo ferroviario e nel 1949 inizia la sua produzione modellistica: alcuni accessori per un negozio torinese.

Nel 1951 in società con il Sig. Muratore (che si occuperà della parte amministrativa e commerciale) fonda la “Pocher Micromeccanica S.N.C.”: binari, scambi e segnali, prodotti secondo tecniche costruttive innovative, costituiscono le prime rilevanti produzioni. Nel 1953 escono le prime riproduzioni di carrozze e carri ferroviari.

Fra il 1955 ed il 1963 si assiste al periodo d’oro della produzione Pocher: sempre nuovi e più numerosi modelli arricchiscono il catalogo. Dalla produzione familiare del 1951 (la moglie Maria Pia è la prima collaboratrice del maestro) si passa ad una produzione che coinvolgerà oltre 30 dipendenti. La produzione manterrà sempre caratteristiche di artigianato industriale: nelle sue realizzazioni Arnaldo Pocher opererà con spirito d’artista e artigiano sempre alla ricerca di nuove soluzioni, materiali innovativi e criteri di realizzazione per ricreare nei suoi modelli la magia ed il fascino del treno e della ferrovia.

I coloratissimi carri privati svedesi e danesi, le mitiche vetture CIWL (Compagnia Internazionale Vagoni Letto), la storica carrozza ristorante “dell’Armistizio” Franco-Tedesco, la carrozza del presidente Lincoln, la coloratissima carrozza del circo Barnum sono alcuni dei modelli riprodotti dal Maestro. Alcuni fregi sono vere e proprie opere di finissima arte incisoria, altre decorazioni rivelano un’altra grande passione e dote di Arnaldo Pocher: la pittura.

Nel 1963 produce due capolavori di arte e tecnica: la riproduzione del locomotore francese CC 7107 che nel 1955 raggiunse i 331 Km/h e il modello dorato della locomotiva “Bayard” della prima ferrovia italiana (1839), la Napoli – Portici. Sempre nel 1963 la Pocher si trasforma in S.p.A. e vede l’ingresso nel capitale sociale della RIVAROSSI. La produzione in pochi anni si adeguerà agli standard industriali e commerciali di quest’ultima. Dopo la realizzazione dei bellissimi modelli delle locomotive che fecero l’epopea del West (Genoa – Reno – Bowker) Arnaldo Pocher nel 1968 lascia definitivamente la Società (“Pocher” è attualmente un marchio della Rivarossi).

Il Maestro intraprende altre attività nel campo del giocattolo ma non dimentica i treni: collabora alla realizzazione dei modelli in scala N (1/160) della torinese TIBIDABO. Nel 1972 con il marchio ARPO (ARnaldo POcher) produce accessori sempre in scala N. Nel 1975 il grande rientro. Sempre con il marchio ARPO, Arnaldo Pocher realizza, per la casa svizzera METROPOLITAN stupendi modelli in scala H0.

Nel 1976 viene nominato “maestro modellista” dalla FIMF, (Federazione Italiana Modellisti Ferroviari) a riconoscimento della sua attività. Pocher nel 1952 fu tra i fondatori della FIMF ed opera sua è il distintivo che ancor oggi contraddistingue questa Federazione. Cessata nei primi anni 80 la collaborazione con la ditta elvetica, riprende l’attività nel 1985, coinvolgendo il genero signor Adelmo Canali: accessori in H0 e piccole serie di carri merce FS, di squisita fattura, in lega di metallo nobile e legno. I carichi di questi carri sono piccole opere d’arte: stupenda è la testa di cavallo in metallo realizzata dal Maestro, che riproduce in scala una parte di un monumento equestre in bronzo. Nel 1987/88, sempre come ARPO, per la svizzera MCA di Lugano, realizza in fusione di peltro altri tre capolavori: il diesel “Truman” utilizzato dagli americani in Europa nel secondo conflitto mondiale, l’autoblindo ferroviaria (Panzer Triebwagen) dell’esercito tedesco ed il tram di Zurigo tipo 1930.

Nel 1989 in occasione del 150° anniversario delle Ferrovie Italiane, annuncia la riproduzione in ottone della locomotiva FS E454, ma un tragico incidente stradale nel dicembre dello stesso anno ferma per sempre la mano ed il cuore di Arnaldo Pocher.

Ora, Socio onorario del Gruppo è la vedova del maestro Signora Maria Pia e numerosi appassionati di ogni età formano il corpo sociale.

Il 4 marzo 1995 l’Assemblea ordinaria annuale ha ufficializzato il “gemellaggio” con l’attivissimo Gruppo Modellismo Ferroviario Val Fiemme di Predazzo “G. M. F. V. F.”, con il quale sono state concordate iniziative comuni, nell’intento di far nascere la passione per il fermodellismo e far crescere l’interesse per la ferrovia soprattutto da parte dei giovani. L’attività sociale, completamente autofinanziata, punta soprattutto ad offrire ai soci la possibilità di sviluppare assieme, con spirito di collaborazione, la propria passione. Ogni ultimo venerdì del mese si tiene una riunione per discutere ed approfondire, anche con proiezioni di video e diapositive, varie tematiche ferroviarie e fermodellistiche. Le gite sociali offrono l’occasione di scoprire, sia in Italia che all’estero, realtà ferroviarie particolari, musei ferroviari e di incontrare altri Gruppi di appassionati. I soci hanno a disposizione una fornita biblioteca, dove sono raccolti libri e riviste, italiane ed estere, a tema ferroviario (alcuni anche rari e non più reperibili sul mercato). Una circolare “Comunicazione semplice” informa regolarmente tutti gli iscritti delle novità che riguardano l’attività del Gruppo. Si sono costituiti “gruppi di lavoro” tra soci accomunati da particolari interessi, come i plastici, i video, la storia, l’attività espositiva. Alcuni di loro collaborarono al restauro della locomotiva monumento Gr 625.011, visibile a Trento nel lato nord (marciapiede 2), della stazione F.S. Altri soci si dedicano alla realizzazione di video sulla realtà ferroviaria della  provincia di Trento, specie in relazione a particolari occasioni (treni speciali a vapore, manifestazioni e importanti ricorrenze ferroviarie, ecc.).

Oggi la mostra fermodellistica permanente allestita dal Gruppo “Arnaldo Pocher” presso la Sala Mazzoni della stazione FS di Trento è finalizzata ad offrire, ai giovani in particolare, l’occasione di avvicinarsi ad un hobby affascinante, distensivo ed istruttivo al tempo stesso, e permettere così di scoprire un pezzo della storia dei nostri trasporti, con una visione sul futuro in un’ottica di sostenibilità ambientale. Questa iniziativa espositiva è stata a suo tempo inserita nella “Guida ai Musei ed Esposizioni del Trentino” edita dall’A.P.T. con il patrocinio della P.A.T. (Provincia Autonoma di Trento). La mostra viene periodicamente rinnovata dedicandola ogni volta a “temi” specifici, specie in occasione della manifestazione “Natale in Stazione” che vede la regolare apertura al pubblico durante tutto il periodo natalizio. Nel corso dell’anno, inoltre, sono programmate aperture mensili, pubblicizzate di volta in volta dalla stampa locale, mentre è sempre possibile visitare la mostra, su appuntamento, da parte di scuole e gruppi associativi.

 


13
Giu

Il “Musée d’Orsay” al “Mart” di Rovereto

I capolavori del Musée d’Orsay di Parigi esposti in Italia al Mart di Rovereto.

“La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsay”: questo è il titolo della eccezionale mostra che si tiene a Rovereto (TN), dal 19 marzo 2011 e fino a tutto il 24 luglio prossimo, al Mart (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto).

I capolavori del Musée d’Orsay, icone della storia dell’arte tra ‘800 e ‘900; una selezione mirata, appositamente scelta per il Mart, con opere mai viste in Italia di Monet, Cézanne, Van Gogh, Renoir, Gauguin, Courbet, ecc..

Si possono ammirare oltre settanta dipinti provenienti dalla più importante collezione del XIX Secolo del mondo.

E’ proprio il parigino Musée d’Orsay, infatti, che conserva le opere maggiormente significative, per numero e qualità, di quegli artisti che hanno cambiato alla fine dell’800 il corso della storia dell’arte moderna: se si parla di Impressionismo e Post-impressionismo non c’è infatti raccolta più prestigiosa di quella conservata oggi nel Museo francese, un luogo fondamentale per gli studi su Monet, Cézanne, Pissarro, Sisley, Renoir, Degas, Toulouse-Lautrec, Van Gogh, Gauguin, Morisot, Vuillard, Bonnard, Denis, Courbet.

I capolavori di questi ed altri artisti sono presenti nella mostra del Mart: un’occasione unica per conoscere da vicino, attraverso opere esemplari, il più entusiasmante periodo della ricerca pittorica tra Ottocento e Novecento.

“La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsay”, è stata possibile grazie all’accordo di collaborazione tra il Mart e il museo francese, che in fase di restauro (riapertura prevista per l’autunno 2011) ha concesso per la prima volta un nucleo così rilevante di opere in prestito per una itineranza di sole tre tappe, che ha toccato Australia, America e ora, unica sede il Mart, l’Italia.

Il progetto presenta un’eccezionale selezione di dipinti, dalla grande stagione dell’Impressionismo alla vigilia delle avanguardie: lo scandaloso realismo di Gustave Courbet nella celeberrima tela “L’origine du monde” (1866), esposta per la prima volta nel nostro Paese; la nuova visione temporale che Claude Monet introduce nella serie di dipinti dedicati alla “Cattedrale di Rouen” (1892), della quale il Mart ospita una tra le più intense versioni; la straziante solitudine di Van Gogh e della sua “Chambre ad Arles” (1889); lo sguardo introspettivo, declinato al femminile, di Berthe Morisot, il cui dipinto “Le Berceau” (1873) fu presentato con scandalo alla prima mostra del’Impressionismo nel 1874 a Parigi; l’esotismo di Paul Gauguin con le “Donne di Tahiti” (1891); e poi, lo sguardo di Degas sulla danza e l’”Omaggio a Cézanne” (1900) di Maurice Denis, testimonianza di una fedeltà all’artista da molti considerato il più importante di quell’epoca.

Questi sono solo alcuni degli straordinari capolavori presenti nella mostra, che segue un percorso tematico, attraverso appunto quella “rivoluzione dello sguardo”, che gli artisti impressionisti e post-impressionisti tra Ottocento e Novecento hanno aperto alla visione della modernità.

L’esposizione “La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsay,” ideata e curata da Guy Cogeval, presidente del Musée d’Orsay, e Isabelle Cahn, con la direzione scientifica di Gabriella Belli, direttore del Mart, propone dunque una rilettura di quel cruciale passaggio che ha preparato il terreno alle avanguardie artistiche europee del primo Novecento.

Il Mart di Rovereto

Il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, è nato nel 1987 come ente autonomo della Provincia Autonoma di Trento e oggi riunisce in sé tre sedi espositive: la sede principale del Museo a Rovereto, la Casa d’Arte Futurista Depero riaperta al pubblico nel gennaio 2009 sempre a Rovereto, e il rinascimentale Palazzo delle Albere a Trento.

La sede del Mart a Rovereto è stata inaugurata nel dicembre 2002 su progetto dall’architetto ticinese Mario Botta, e dell’ingegnere roveretano Giulio Andreolli. Il Mart è uno dei maggiori musei di arte moderna e contemporanea d’Italia. E’ visitato ogni anno da oltre 200.000 persone, ha una collezione permanente di oltre 12.000 opere, esposta a rotazione per nuclei tematici e collezionistici, e ha prodotto 130 esposizioni in 6 anni e mezzo di apertura. Ma soprattutto il museo ha prodotto esposizioni su temi originali e innovativi, coinvolgendo in ogni occasione comitati scientifici di alto profilo: tra le esposizioni maggiori “La Danza delle Avanguardie”, sull’intreccio tra arti visive e teatro di danza, e mostre come “Montagna arte scienza mito”, “Mitomacchina”, “La Parola nell’arte”, “Il Secolo del Jazz”. Il Mart è molto attivo sul piano internazionale, con scambi e progetti congiunti realizzati insieme ai maggiori musei del mondo. Accanto agli appuntamenti espositivi il Mart organizza una serie di occasioni di approfondimento pensate per coinvolgere gli appassionati, i turisti, i residenti, e gli studiosi: rassegne cinematografiche, concerti, cicli di conferenze, incontri con gli artisti e con la critica, dibattiti. Ma anche convegni di studio e pubblicazioni specialistiche, curate dai propri centri di studio: l’Archivio del ‘900 e la Biblioteca del Mart, che conservano rispettivamente 80.000 documenti fra carteggi, scritti, disegni, fotografie e ritagli stampa, e 60.000 volumi. Ogni anno ben 70.000 persone partecipano alle attività della Sezione Didattica del Mart, diversificate per fasce d’età. La sezione didattica organizza inoltre laboratori per il pubblico e le famiglie, corsi di aggiornamento per insegnanti, mostre didattiche, visite guidate alle esposizioni temporanee, al museo ed all’architettura delle sedi museali, incontri a tema ed eventi speciali.


3
Giu

“Le Meraviglie del Tesoro di San Gennaro, le Pietre della Devozione”

Il Tesoro di San Gennaro in mostra a Napoli.

E’ il più prezioso del mondo.

Ho visitato con mia moglie nei giorni scorsi a Napoli una mostra davvero speciale; le opere più prestigiose del leggendario Tesoro di San Gennaro esposte al pubblico per la prima volta nella storia.

Si tratta dei gioielli più preziosi donati al Patrono di Napoli nell’arco di ben sette secoli.

Il Tesoro di San Gennaro è tra i più importanti al mondo per valore artistico ed economico e di gran lunga superiore al Tesoro della Corona d’Inghilterra e a quello dello Zar di Russia.

Questa è la clamorosa “certificazione” di un’équipe di gemmologi e storici che hanno indagato per quasi tre anni sulle opere e le singole pietre (diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri, perle).

La Mostra “Le Meraviglie del Tesoro di San Gennaro, le Pietre della Devozione”, organizzata dal Museo del Tesoro di San Gennaro con la collaborazione della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli e con l’alto Patronato del Presidente della Repubblica e della Presidenza del Senato, è in corso a Napoli, nella splendida cornice di sei differenti strutture museali nel centro storico della città, da via Toledo al Duomo (il “miglio d’oro”), dal 9 aprile al 12 giugno.

E’ possibile ammirare 150 opere (tra cui i dieci favolosi gioielli, esposti nelle sale del Museo del Tesoro di San Gennaro), le preziose tele di Luca Giordano (Museo Diocesano) e luoghi dall’immenso valore artistico riaperti per l’occasione, come il Complesso Monumentale dei Girolamini e l’antica Porta del Duomo.

– 21.620 opere, tra capolavori in argento, legno, oro, madreperla tessuti preziosi e quadri;

– la collana del seicento più ricca e preziosa del mondo: 13 maglie in oro massiccio, 700 diamanti, 276 rubini, 92 smeraldi;

– l’oggetto più prezioso: la Mitra del settecento con 3964 pietre preziose (diamanti, rubini e smeraldi);

– la più importante e intatta collezione d’argento al mondo dal 1305 ad oggi con 54 statue d’argento massiccio;

Questo è il leggendario Tesoro di San Gennaro, una parte del quale si conserva nella Cappella di San Gennaro e nell’attiguo Museo, mentre i pezzi più importanti e preziosi vengono custoditi nel caveau del Banco di Napoli in via Toledo, al sicuro ma non visibili al pubblico.

Ecco dunque la grande novità di questo eccezionale evento: 150 pezzi del tesoro – compresi i «pezzi forti», quelli sempre chiusi nel caveau – sono stati messi in mostra in diverse sedi della città, dalla Cappella al Museo di San Gennaro, dal Museo Diocesano all’Archivio Storico del Banco di Napoli, passando per i Girolamini.

Sette secoli di donazioni di papi, imperatori, re, sovrani, uomini illustri e persone comuni, che hanno costituito nel tempo uno dei più importanti e ricchi tesori universali dell’arte al mondo.

Per merito dell’antichissima istituzione della Deputazione della Real Cappella di San Gennaro, nata per un voto della città nel 1527, il tesoro è intatto non avendo mai subito spoliazioni, né finanziato guerre, né subito furti e quindi le collezioni sono uniche al mondo.

Lo stesso Napoleone, che ha sempre fatto “man bassa” di capolavori, quando arrivò a Napoli non solo non prelevò nulla, ma regalò a San Gennaro, tramite il cognato Gioacchino Murat, un ostensorio in oro, argento e pietre preziose di superba bellezza e raffinatezza.

Tutte le opere donate, per avere il privilegio di essere considerate meritevoli di far parte del Tesoro di San Gennaro dovevano, però, corrispondere a elevatissime qualità di valore artistico e culturale e dunque essere realizzate dai grandi artigiani del tempo.

E si è così costituito un tesoro composto da straordinari e autentici capolavori firmati dai più noti e importanti artisti della storia universale dell’arte.

Per San Gennaro si contano venticinquemilioni di devoti sparsi in tutto il mondo, una lunghissima storia punteggiata di avvenimenti e vicende spesso in bilico tra devozione e pregiudizio, fede e incredulità, passione e scetticismo. In ogni momento, però, legata a filo doppio alla storia di Napoli fino a una fortissima identificazione tra il Santo protettore e le pulsioni psicologiche di un popolo periodicamente minacciato da catastrofi naturali ed eventi storici. Oggi, San Gennaro è il santo della Chiesa cattolica più famoso e conosciuto nel mondo e non solo per il miracolo della liquefazione del sangue, ma anche e soprattutto perché milioni e milioni di persone dalla fine dell’800 sino agli anni ’60, si sono imbarcate nel porto di Napoli in cerca di fortuna nella tragedia della grande emigrazione italiana. E l’ultima immagine, che questa povera gente aveva negli occhi prima di affrontare il mare aperto, era la statua di San Gennaro alla punta del molo che con la mano si rivolge al Vesuvio per fermare la lava e che invece sembrava benedicesse quella moltitudine di disperati. La stragrande maggioranza di loro non è mai più tornata in patria, tanti hanno sognato da lontano la propria terra, ma ovunque questa gente si sia stabilita nel mondo ha invocato la protezione di quella benedizione, consolidando il culto del Santo protettore di Napoli e trasferendo quella devozione anche ai propri figli, di generazione in generazione. Ancora oggi come allora a New York, Toronto, Rosario, Melbourne, San Paolo, e in altre città del mondo dove si sia stabilita e consolidata una comunità di origine italiana meridionale, ogni anno il 19 settembre, giorno di San Gennaro, si celebra e si festeggia il miracolo che avviene nel Duomo di Napoli con l’antica processione e le strade illuminate a festa. Resta ancora oggi una tenace scia di religiosità popolare a tener vivo il discorso sull’antico patrono, tra fede e religione.

“Per avere una grazia da San Gennaro bisogna parlargli da uomo a uomo”. Così parlò Armandino Girasole, alias Dudù ovvero Nino Manfredi, in quella commedia capolavoro di Dino Risi del 1966, il famoso film “Operazione San Gennaro”. E Dudù, che non aveva alcuna intenzione di mettere le mani sul tesoro del santo come invece avevano in programma i suoi “soci” americani, sapeva bene come trattare col Patrono.

Ma se il santo napoletano dalla gente comune accetta ben volentieri ceri, suppliche e parole – purchè in un rapporto “da uomo a uomo” – re, nobili e principi in sette secoli hanno pensato bene d’ingraziarsi il miracoloso protettore con doni straordinari: ori, gemme, opere d’arte di qualità eccezionale.

E il martire decapitato a Pozzuoli nel IV secolo è finito per diventare, un po’ per fede e tanto per “regale convenienza”, il santo più ricco del mondo, depositario di un patrimonio immane. Una lunga serie di capolavori d’oreficeria grazie ai quali i potenti ritenevano di entrare nelle grazie del santo, o forse, solo come pretesto, per conquistare la benevolenza dei suoi devoti, di quel popolo napoletano a cui San Gennaro “non dice mai no”, come bisbigliava Dudù il simpatico personaggio del film citato. E così doveva pensarla persino il laicissimo Gioacchino Murat, che al patrono donò nel 1808 un ostensorio ornato da putti e festoni con, in alto, un globo stellato con una fascia zodiacale e testine di putti, sormontato da due angeli che reggono un cuore spinato e ancora più su, la custodia per l’ostia circondata da una gloria di angeli tra tralci di vite e nuvole e da una raggiera. Il tutto sormontato da una croce. Il sovrano lo donò come atto di devozione al santo su suggerimento di Napoleone ed è uno dei rari casi in cui Bonaparte, come si è già detto, non abbia saccheggiato, ma donato. L’ostensorio è una delle dieci meraviglie in mostra, ovvero i dieci gioielli più significativi che compongono il tesoro. Come la pisside gemmata in oro, rubini, zaffiri, smeraldi e brillanti donata da Ferdinando II di Borbone nel 1831, o l’ostensorio in oro, pietre preziose, perline e smalti portato qualche anno dopo da Maria Teresa d’Austria in occasione delle sue nozze proprio con Ferdinando II. E ancora, il calice in oro zecchino donato da Papa Pio IX nel 1849 per ringraziare i napoletani dopo essere stato da loro ospitato a causa dei moti mazziniani di Roma. E qualche decennio dopo, nuova dinastia ma rito eguale, ecco la croce episcopale in oro, smeraldi e brillanti che Umberto I e Margherita di Savoia donarono il 23 novembre del 1878 in occasione della prima visita a Napoli dopo la loro assunzione al trono d’Italia. E, su tutte, la collana secentesca commissionata dalla Deputazione della cappella del Tesoro di San Gennaro. Secondo gli esperti è la collana più preziosa al mondo (13 maglie di oro massiccio, 700 settecento diamanti, 276 rubini, 92 smeraldi). Infine la Mitra di argento dorato del 1713, con oltre 3700 rubini, smeraldi e brillanti commissionata dalla Deputazione del Tesoro di San Gennaro e destinata ad ornare il busto (reliquario) del Santo , eseguita in epoca angioina. Il valore dell’opera fu valutato in ventimila ducati raccolti attraverso sottoscrizioni e donativi che coinvolsero il popolo, il clero, gli artigiani, i nobili.

Restaurato e restituito al suo originale splendore anche l’altare maggiore della Cappella di San Gennaro, così come torna e viene messo in esposizione, completamente restaurato, il tronetto del 1305 in oro e argento donato da re Carlo d’Angio’, autentico gioiello gotico, che da sette secoli è portato in processione con le teche del sangue (reliquiario del sangue di San Gennaro) e alla cui cima splende uno degli smeraldi più grandi al mondo.

Si aggiungono all’esposizione anche sei antichissime e preziosissime opere (1400-1700) provenienti dall’Archivio storico del Banco di Napoli che documentano la storia dei rapporti tra la Deputazione di San Gennaro e gli artisti che hanno realizzato i capolavori appartenenti al Tesoro di San Gennaro.

Completamente restaurato pure lo storico busto d’ oro e d’argento di San Gennaro (reliquario del cranio del Santo) tempestato di pietre preziose di manifattura provenzale e donato nel 1305 da re Carlo d’Angiò insieme al “reliquario del sangue”.


30
Mag

Premio Spiga d’oro 2011

Il 25 giugno 2011 la quarta Edizione del Premio Nazionale “Spiga d’oro” organizzata dall’Associazione Culturale “Terra Nostra Onlus” di Poggio Imperiale, dedicata quest’anno ai 150 anni dell’Unità d’Italia.

La manifestazione si terrà come sempre in Piazza Imperiale a cominciare dalle ore 20,00.

Una serata scintillante e di grande spettacolo che assieme ai premiati, vincitori dei tre ambiti premi:

> Premio Spiga d’oro Nazionale conferito ad un personaggio di spicco nazionale

> Premio Spiga d’oro Capitanata conferito ad un personaggio di spicco nel territorio della Capitanata

> Premio Spiga d’argento conferito ad un personaggio di Poggio Imperiale che si è particolarmente distinto

vedrà salire sul palco ed esibirsi artisti come

• il noto cantante-attore pugliese Adriano Pappalardo

• il comico cabarettista pugliese Giuseppe Guida dai “Mudù” (Telenorba)

• il cantante Mario Salvatore, uno degli interpreti più autentici della canzone classica napoletana.

La serata precedente del 24 giugno sarà invece animata dalle canzoni degli “Abba Mania”, a partire dalle ore 18,00 sempre in Piazza Imperiale, con tradizionale degustazione di prodotti tipici pugliesi.


29
Mag

A Montecarlo la Ferrari sul podio (Alonso arriva secondo!)

La Ferrari sembra aver avuto uno scatto d’orgoglio oggi a Montecarlo nel Principato di Monaco.

*

Sebastian Vettel su Red Bull ha vinto il Gran Premio di Formula 1 di Monaco al termine di una gara costellata di incidenti e di un arrivo in volata. Il tedesco ha preceduto Fernando Alonso su Ferrari, distanziato di poco piu’ di un secondo, e al terzo posto Jenson Button su McLaren-Mercedes.

Nella classifica piloti Vettel e’ nettamente in testa, con 143 punti, al secondo posto c’e’ Lewis Hamilton con 85, con quasi sessanta punti di distacco, ed Alonso al quinto posto con 69 punti.

Per il campione del mondo in carica e’ il quinto successo stagionale, il quindicesimo in carriera. Per la Ferrari oggi e’ stato il secondo podio stagionale.

L’incidente piu’ serio e’ quello capitato a Vitaly Petrov su Renault Lotus, a sette giri dal termine. La gara a quel punto e’ stata fermata, le vetture sono tornate sulla griglia di partenza e poi, a pista ripulita, nuovo via con la safety car che ha fatto da battistrada per il primo dei cinque giri rimanenti. Petrov e’ stato trasportato in ospedale ma le sue condizioni non destano preoccupazioni, stando alle prime informazioni.

Per l’altro ferrarista, Felipe Massa, costretto ad abbandonare la corsa per un incidente, ancora zero punti.

Questa la situazione al 6° GP del 2011:

Classifica Piloti

1 Sebastian Vettel (Red Bull) 143

2 Lewis Hamilton (McLaren) 85

3 Mark Webber (Red Bull) 79

4 Jenson Button (McLaren) 76

5 Fernando Alonso (Ferrari) 69

Classifica Costruttori

1 Red Bull 222

2 McLaren 161

3 Ferrari 93

4 Renault 50

5 Mercedes 40

Ad un terzo del Campionato 2011 (mancano ancora 19 GP alla fine), la Ferrari non è messa benissimo, anche se tutti gli scenari sono da considerare ancora aperti.

Lo scatto di orgoglio di oggi della Ferrari, con Alonso al secondo posto, fa comunque ben sperare!

Un po’ di storia sulla Ferrari

Ferrari S.p.A. è una casa automobilistica italiana, fondata da Enzo Ferrari, che produce autovetture sportive d’alta fascia e da gara. Essa gestisce, tra l’altro, una delle più celebri e titolate squadre sportive impegnate nelle competizioni automobilistiche del mondo: la Scuderia Ferrari. La sede dell’azienda è situata a Maranello, in provincia di Modena ed è guidata, dal 1991, da Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente di Confindustria e del Gruppo Fiat.

Il simbolo ufficiale, storicamente rappresentato da un cavallino rampante, è attribuibile a quello dell’aviatore romagnolo ed asso della prima guerra mondiale Francesco Baracca (1888-1918) ceduto personalmente dalla madre nel 1923 come portafortuna ad Enzo Ferrari e da allora diventato emblema del marchio Ferrari e dello stesso reparto corse.

La Ferrari è, ad oggi, l’unico team ad aver partecipato a tutte le edizioni del Campionato del Mondo di Formula 1 e, soprattutto, quello con il maggior numero di successi: vanta il record di 15 titoli di Campione del mondo piloti (conseguiti nel 1952, 1953, 1956, 1958, 1961, 1964, 1975, 1977, 1979, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, e nel 2007), il record di 16 titoli di Campione del mondo costruttori (1961, 1964, 1975, 1976, 1977, 1979, 1982, 1983, 1999, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2007, e nel 2008) ed il record di 204 vittorie in un Gran Premio .

Tra i piloti famosi che hanno corso per la “Rossa”: Tazio Nuvolari, Juan Manuel Fangio, Alberto Ascari, Phil Hill, Mike Hawthorn, John Surtees, Clay Regazzoni, Niki Lauda, Jody Scheckter, Gilles Villeneuve, Didier Pironi, Alain Prost, Nigel Mansell, Michael Schumacher, Gerhard Berger, Jean Alesi, Felipe Massa, Kimi Raikkonen e Fernando Alonso.

Campioni del mondo

In 60 anni della Formula 1, la classifica – per titoli vinti – è guidata dal ferrarista Michael Schumacher con ben 7 titoli, segue il mitico Juan Manuel Fangio con 5 titoli. Seguono Alain Prost con 4, Jack Brabham, Jackie Stwart, Niki Lauda, Nelson Piquet, Ayrton Senna con 3 titoli. Solo due gli italiani: Nino Farina con un titolo e Alberto Ascari con due.

Anno/ Pilota/ Campione/ Nazione /Vettura/

1950 Nino Farina Italia Alfa Romeo

1951 Juan Manuael Fangio Argentina Alfa Romeo

1952 Alberto Ascari Italia Ferrari

1953 Alberto Ascari Italia Ferrari

1954 Juan Manuael Fangio Argentina Mercedes/Maserati

1955 Juan Manuael Fangio Argentina Mercedes

1956 Juan Manuael Fangio Argentina Ferrari

1957 Juan Manuael Fangio Argentina Maserati

1958 Mike Hawthorn Gran Bretagna Ferrari

1959 Jack Brabham Australia Cooper-Climax

1960 Jack Brabham Australia Cooper-Climax

1961 Phil Hill Stati Uniti Ferrari

1962 Graham Hill Gran Bretagna BRM

1963 Jim Clark Gran Bretagna Lotus-Climax

1964 John Surtees Gran Bretagna Ferrari

1965 Jim Clark Gran Bretagna Lotus-Climax

1966 Jack Brabham Australia Brabham-Repco

1967 Denis Hulme Nuova Zelanda Brabham-Repco

1968 Graham Hill Gran Bretagna Lotus-Ford

1969 Jackie Stewart Gran Bretagna Matra-Ford

1970 Jochen Rindt Austria Lotus-Ford

1971 Jackie Stewart Gran Bretagna Tyrrel-Ford

1972 Emerson Fittipaldi Brasile Lotus-Ford

1973 Jackie Stewart Gran Bretagna Tyrrel-Ford

1974 Emerson Fittipaldi Brasile McLaren-Ford

1975 Niki Lauda Austria Ferrari

1976 James Hunt Gran Bretagna McLaren-Ford

1977 Niki Lauda Austria Ferrari 1

1978 Mario Andretti Stati Uniti Lotus-Ford

1979 Jody Scheckter Sudafrica Ferrari

1980 Alan Jones Australia Williams-Ford 1

1981 Nelson Piquet Brasile Brabham-Ford

1982 Keke Rosberg Finlandia Williams-Ford

1983 Nelson Piquet Brasile Brabham-Ford

1984 Niki Lauda Austria McLaren-Tag Porsche

1985 Alain Prost Francia McLaren-Tag Porsche

1986 Alain Prost Francia McLaren-Tag Porsche

1987 Nelson Piquet Brasile Williams-Honda

1988 Ayrton Senna Brasile McLaren-Honda

1989 Alain Prost Francia McLaren-Honda

1990 Ayrton Senna Brasile McLaren-Honda

1991 Ayrton Senna Brasile McLaren-Honda

1992 Nigel Mansell Gran Bretagna Williams-Renault

1993 Alain Prost Francia Williams-Renault

1994 Michael Schumacher Germania Benetton-Ford

1995 Michael Schumacher Germania Benetton-Renault

1996 Damon Hill Gran Bretagna Williams-Renault

1997 Jacques Villeneuve Canada Williams-Renault

1998 Mika Hakkinen Finlandia McLaren-Mercedes

1999 Mika Hakkinen Finlandia McLaren-Mercedes

2000 Michael Schumacher Germania Ferrari

2001 Michael Schumacher Germania Ferrari

2002 Michael Schumacher Germania Ferrari

2003 Michael Schumacher Germania Ferrari

2004 Michael Schumacher Germania Ferrari

2005 Fernando Alonso Spagna Renault

2006 Fernando Alonso Spagna Renault

2007 Kimi Raikkonen Finlandia Ferrari

2008 Lewis Hamilton Gran Bretagna McLaren

2009 Jenson Button Gran Bretagna Brawn Gp 2

2010 Sebastian Vettel Germania Red Bull

 

* Logo Ferrari (dal Sito Internet della Ferrari)

 


15
Mag

Le bellezze di Como

E’ sempre bello e piacevole fare un salto da Milano a Como.

In inverno il clima è mite, le estati ventilate, alberi fioriti in primavera, ed altre fantastiche caratteristiche rendono Como una meta ideale in tutte le stagioni.

Città lombarda fiera e stupenda, industriale e turistica ad un tempo, capoluogo di provincia con circa 85.000 abitanti, Como sorge vicino al confine con la Svizzera e si stende sul ramo occidentale del lago omonimo, uno dei principali laghi italiani.

La città vive in simbiosi con il suo lago e con i monti che lo circondano, incastonata come un gioiello in una verde conca all’estremità meridionale, parte di un paesaggio unico, romantico per eccellenza, prediletto dai poeti e dagli innamorati, modellato dalla natura e dall’uomo.

Anche se oggi è completamente urbanizzato, il territorio continua ad essere il luogo incantevole scoperto e conquistato dai Romani quasi due secoli prima di Cristo. Da allora i turisti hanno continuato, attraverso i secoli, ad affluirvi, richiamati dal fascino esercitato dalla zona, dal clima dolce, dalle suggestioni dei luoghi rievocati da Alessandro Manzoni nel suo celebre romanzo i “Promessi Sposi”.

Interessante è percorrere il lago col battello da una riva all’altra, e farsi condurre alla magica scoperta dei dintorni: boschi che s’arrampicano sui verdi pendii, cascatelle che scendono come fili argentati, caratteristiche chiesette, villini seminascosti dalla vegetazione, belle ville cinquecentesche e antichi incantevoli borghi che racchiudono testimonianze storiche d’inestimabile valore: Cernobbio, Blevio, Torno, Moltrasio, Tremezzo, Griante, Urio, Bellagio, spesso scenari di storie d’amore romantiche e drammatiche.

Altra attrattiva è la funicolare Como – Brunate e ampi sono i panorami sulla pianura e su tutta la regione dei Laghi che si possono ammirare dall’alto.

A Como, numerosi sono i monumenti che si possono visitare, a partire da Piazza Duomo, con la Cattedrale la cui straordinaria bellezza si deve alla bravura dei Maestri Comacini.

Notevole è l’adiacente Palazzo del Broletto, antica sede comunale. E, ancora, Piazza Verdi, con i monumenti che ricordano varie epoche storiche (le mura medioevali, il teatro neoclassico e la Casa del Fascio), la Basilica di San Fedele e Porta Torre.

Da Piazza Duomo si prosegue per Corso Vittorio Emanuele, via piena di negozi, bar e ristoranti, fino a giungere a Palazzo Giovio, sede del Museo Civico Archeologico dedicato a diversi periodi storici che vanno dalla Preistoria fino al Medioevo.

Il Tempio Voltiano, inaugurato nel 1928 per celebrare l’opera di Alessandro Volta, celebre scienziato comasco; il Tempio ospita più di 200 reperti di cui circa la metà originali.

Altra grande attrazione turistica della città è il Museo della Seta, che conserva antichi macchinari e tessuti, che mostra 150 anni di tradizione delle tecniche relative alla lavorazione della seta.

La storia del filo d’oro inizia lontano. Per secoli esclusivo segreto della corte imperiale cinese, la lavorazione della seta venne importata in Italia solo dopo l’anno mille e si diffuse nelle regioni del Sud, soprattutto in Sicilia. A Como arrivò attorno al 1400 e subito ebbe grande sviluppo grazie anche alla lungimiranza del duca Ludovico Sforza, il quale obbligò i contadini a piantare nei loro campi gli alberi di gelso. Una decisione che gli valse il titolo di Ludovico il Moro, dal nome della pianta di gelso, in latino “bombix mori” e in dialetto comasco “murun”. Le foglie di gelso sono infatti ancora oggi l’unico cibo del baco da seta, che da migliaia di anni compie il suo ciclo vitale dalle minuscole uova al prezioso bozzolo. Fino agli inizi del ‘900 i contadini si trasformavano in bachicoltori nel periodo primaverile, per riuscire ad arricchire le loro magre entrate economiche. Le donne della famiglia e i bambini avevano il compito di raccogliere le foglie di gelso e tagliarle affinché i minuscoli bruchi potessero cibarsene. Una volta cresciuti, i bachi cominciano a produrre un sottilissimo filo col quale si avvolgono creando il bozzolo che servirà loro a trasformarsi in farfalla. Quest’ultima fase deve però essere interrotta per poter riuscire a “svolgere” il bozzolo ed ottenere un unico lungo filo lungo circa 1500 metri che verrà unito ad altri fili per ottenere la giusta resistenza. Da questo momento in poi inizia la trasformazione del filo in tessuto, e soprattutto, ciò per cui la città di Como è famosa nel mondo: la creazione del design che rende unico ogni prodotto di seta. Ancora oggi Como, con il suo distretto serico, è considerata la capitale mondiale della seta. Il filo grezzo viene però importato dalla Cina e dal Brasile e nelle numerose tessiture, stamperie e seterie lariane si trasforma in foulard, cravatte, abiti e accessori firmati dai nomi più importanti della moda mondiale, che vengono a Como per scegliere i disegni esclusivi per le loro “maisons”. L’importanza sociale ed economica che la seta ha avuto nel comasco è testimoniata da alcuni interessanti musei che permettono di conoscere questo pregiato prodotto e le sue varie fasi di lavorazione.


18
Apr

La croce di San Carlo e la reliquia del Santo Chiodo

Puntualmente, alle ore 20,45 dello scorso venerdi 15 aprile, ha avuto solennemente inizio nelle vie del centro di Sesto San Giovanni la “Via Crucis” con la croce di San Carlo contenente la reliquia del Santo Chiodo, guidata dal Cardinale Dionigi Tettamanzi Arcivescovo di Milano.

Numerosi i partecipanti che, in composta preghiera, hanno seguito la processione partita dalla Chiesa di San Giovanni in via Tino Savi e conclusasi nella piazza Petazzi antistante la Basilica di Santo Stefano, percorrendo via Fogagnolo, piazza della Repubblica, via Cesare da Sesto e via Dante.

Sulle finestre e sui balconi degli appartamenti lungo il tragitto della “Via Crucis”, tanti lumini accesi nella notte hanno contribuito a donare all’evento un’atmosfera spirituale di raccoglimento e di devozione.

Il Cardinale, accolto da tutto il clero della VII Zona Pastorale e dalle autorità civili e militari, è stato calorosamente salutato dalla folla esultante e dal sindaco della città di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini, prima dell’inizio delle celebrazioni.

Alle sette soste della processione, corrispondenti alle “Sette Stazioni della Via Crucis”, ognuna delle quali caratterizzata dalla presenza di una croce e da una raffigurazione sacra, si sono svolti i riti della proclamazione della parola, della meditazione, dell’invocazione e dell’acclamazione, con canti processionali durante tutto il percorso.

La conclusione sulla piazza antistante la Basilica di Santo Stefano con l’omelia solenne dell’Arcivescovo e la Preghiera di San Carlo davanti al Crocifisso.

Infine i saluti finali e i ringraziamenti di rito da parte del Decano di Sesto San Giovanni, Don Giovanni Brigatti, Prevosto della Basilica di Santo Stefano.

Quest’anno, in occasione del quarto Centenario della Canonizzazione di San Carlo Borromeo, compatrono della Chiesa Ambrosiana, il Cardinale Tettamanzi ha inteso guidare la “Via Crucis” in ogni Zona Pastorale della Diocesi con la solenne “peregrinatio” della croce di San Carlo con la reliquia del Santo Chiodo, riproponendo così il gesto che il Santo Arcivescovo milanese volle compiere portando la croce per le vie della città e dei paesi della Diocesi, all’epoca flagellati dalla peste, per “mostrare” al popolo l’amore di Dio al quale affidarsi e nel quale riporre speranza in un tempo difficile, come anche quello che stiamo attraversando, spesso segnato dal dolore.

La prima “Via Crucis” si è svolta a Milano il giorno successivo all’inizio della Quaresima che secondo il rito Ambrosiano è iniziata Domenica 13 marzo scorso.

A Milano, dunque, alle ore 20,45 di lunedì 14 marzo, giorno del suo settantasettesimo compleanno, il Cardinale Dionigi Tettamanzi ha presieduto la solenne “Via Crucis” con la croce di San Carlo e la reliquia del Santo Chiodo.

E’ partita dalla Chiesa di San Fedele, nell’omonima piazza, percorrendo Piazza della Scala, Via Case Rotte, Largo Mattioli, Via Mons. Catena, Piazza Meda, Via S. Paolo e Corso Vittorio Emanuele, toccando alcuni luoghi simbolici della città, e si è conclusa in Duomo, dove, per iniziare con spirito di penitenza il cammino quaresimale, è stato compiuto l’antico e suggestivo rito dell’imposizione delle ceneri.

La “Via Crucis” nelle altre sei Zone Pastorali della Diocesi si è svolta poi, sempre alle ore 20,45, secondo il seguente calendario:

•Varese (zona II) venerdì 18 marzo presso la Basilica di San Vittore

•Monza (zona V) venerdì 25 marzo a Seveso presso la Parrocchia S. Pietro Martire

•Rho (zona IV) venerdì 1 aprile a Magenta presso la Parrocchia S. Martino

•Lecco (zona III) venerdì 8 aprile presso la Basilica di S. Nicolò

•Melegnano (zona VI) mercoledì 13 aprile a Busnago presso la Parrocchia S. Giovanni Evangelista

ed infine, in conclusione, a

•Sesto San Giovanni (Zona VII) venerdì 15 aprile presso la Basilica S. Stefano

Per seguire la “Via Crucis” a tutti partecipanti è stato offerto il sussidio “Quel chiodo grida che veramente Dio, in Cristo, riconcilia il mondo a sé”, un volumetto curato dal Centro Ambrosiano.

La croce di San Carlo contenente la reliquia del Santo Chiodo è arrivata in Basilica di S. Stefano a Sesto San Giovanni alle 11 del mattino di venerdi 15 aprile ed è rimasta esposta all’adorazione dei fedeli anche sabato 16 e domenica 17.

La reliquia, custodita in una teca trasparente incastonata nella croce, si presenta a forma di ganascia ad anello, tipico del “morso di cavallo”, con un chiodo ad esso congiunto.

Qualche notizia sul Santo Chiodo e la croce di San Carlo

Ogni anno nel Duomo di Milano una cerimonia dalle origini antichissime (oltre quattrocento anni) ricorda quando Sant’Ambrogio trovò uno dei chiodi della Croce.

Il 13 settembre di ogni anno, uno strano marchingegno con a bordo cinque canonici e l’Arcivescovo di Milano, sale fino a 45 metri d’altezza, grazie a un complesso sistema di argani elettrici e, giunto nella volta dell’abside del Duomo, permette di prelevare una custodia che contiene uno dei Chiodi della Crocifissione e un frammento della Croce.

Lo strano mezzo, che si chiama “Nivola”, sembra sia stato progettato da Leonardo (in origine era azionato da una ventina di uomini che si trovavano sul tetto della cattedrale) per permettere al Vescovo di raggiungere la Santa Reliquia e portarla in processione all’interno del Duomo. Nella sua forma attuale la “Nivola”, così come l’artistica croce che accoglie la teca del Santo Chiodo, risale all’epoca del Cardinal Carlo Borromeo: costituita da un ampio cesto in lamiera, avvolto da un rivestimento di tela e ornata di pitture che raffigurano angeli e cherubini avvolti in vaporose nubi (da qui “nivola” … da “nuvole”), fu dipinta dal Landriani nel 1612, e da allora fu più volte restaurata. Lungo tre metri e largo poco meno, il bizzaro «ascensore» pesa circa otto quintali. Eppure allo stupìto fedele par sempre di vedere innalzarsi una tenue voluta d’incenso.

La leggenda narra che il Santo Chiodo si trovi a Milano da molto tempo e sia stato ritrovato da Sant’Ambrogio.

In un caldo pomeriggio del quarto secolo, Ambrogio, già vescovo di Milano, girava per la città e, passando davanti alla bottega di un fabbro, fu attratto dal frastuono delle martellate. Entrato nell’umile bottega dell’artigiano, lo vide impegnato a cercare di piegare un piccolo pezzo di ferro. Il martello si abbatteva ripetutamente sul metallo incandescente, provocando una pioggia di scintille che rischiarava l’interno del negozio, ma i colpi non deformavano il piccolo oggetto.

Ambrogio stette ad osservare il lavoro affannoso del povero fabbro per diverso tempo. Il ferro veniva riposizionato nel braciere per l’ennesima volta, si scaldava fino a diventare incandescente e, tornato sull’incudine, veniva battuto dal maniscalco con tutta la forza che aveva; niente, il metallo non si sformava e il fabbro, sudato e imprecante, gettò a terra il martello.

Ambrogio si avvicinò all’uomo e chiese il permesso di esaminare l’oggetto: era un grosso chiodo ritorto, lungo poco più di una spanna.

Ambrogio impallidì: si trattava di uno dei quattro chiodi usati per crocifiggere Gesù. Da anni si erano perse le tracce di questo sacro oggetto e ora, senza che nessuno fosse in grado di spiegare come, ricompariva nella bottega di un umile fabbro.

Il Chiodo era stato smarrito dall’imperatore Costantino che lo aveva ricevuto in dono dalla madre Elena che aveva ritrovato tutti e quattro i Chiodi della Crocifissione, nel 326, a Gerusalemme (nello stesso anno, la madre di Costantino, aveva ritrovato le spoglie dei Re Magi).

Uno dei Chiodi era stato gettato in mare dalla stessa Elena per placare una tempesta che aveva colto la sua imbarcazione mentre attraversava l’Adriatico. I tre Chiodi rimanenti, entrati in possesso di Costantino, erano stati posizionati nel suo elmo, in una briglia e nel morso del cavallo, per scongiurare eventuali disgrazie. Inspiegabilmente, due reliquie scomparvero e, nonostante affannose ricerche e incredibili ricompense, non furono mai ritrovati, almeno fino al giorno in cui, il chiodo adattato a morso del cavallo, non ricomparve in una bottega di Milano.

Ambrogio fece immediatamente portare il Chiodo in Santa Tecla, la basilica estiva, dove rimase fino a quando la chiesa non venne abbattuta per fare posto alla costruzione del Duomo.

La prima processione del Santo Chiodo che si ricordi risale al 1576, quando, durante la peste, San Carlo portò la reliquia in processione dal Duomo alla chiesa di San Celso per implorare la fine dell’epidemia.

San Carlo aveva fatto appositamente costruire una croce di legno per portare il Santo Chiodo in processione, croce che oggi viene solitamente custodita nella chiesa parrocchiale di Trezzo d’Adda.


11
Apr

Un giro per Vigevano…

Vigevano e’ conosciuta per avere una delle piazze piu’ belle d’Italia, con un magnifico porticato, il Duomo dalla caratteristica facciata ricurva ed un bellissimo castello rinascimentale.

La città di Vigevano si trova sulla riva destra del Ticino a circa 35 chilometri sia da Milano che da Pavia, della cui provincia fa parte.

Il centro storico della città è caratterizzato dalla celebratissima Piazza Ducale, considerata fra le più belle piazze d’Italia.

Voluta nel 1492 da Ludovico Maria Sforza detto il Moro, come anticamera nobile al castello, è un vero gioiello dell’architettura rinascimentale, ancora oggi cuore e salotto di Vigevano. Sulla piazza, nel punto più alto della città, si erge la Torre, costruita a più riprese a partire dal 1198 e ultimata dal Bramante alla fine del quattrocento. Si accede poi al cortile del Castello Sforzesco, costruito a partire dalla prima metà del sec. XIV e modificato in epoche diverse. Il castello si compone di più parti che si affacciano sul cortile maggiore. Il Mastio, su tre lati, con quattro torri agli angoli, fu voluto da Luchino Visconti, Podestà di Vigevano, come dimora degna di ospitare la corte milanese ed in grado di difenderla. A lato del corpo principale, sul fianco della bramantesca Loggia delle Dame, gli agili colonnati della Falconiera lo collegano alle tre scuderie del tardo quattrocento, che chiudono il cortile sino alla torre. Dal Mastio parte anche la Strada Coperta, la più lunga del mondo (ben 164 metri), destinata a scavalcare il borgo per collegare rapidamente il castello con una fortificazione indipendente, la Rocca Vecchia, porta d’accesso verso le campagne. Attualmente sul sito dell’originaria rocca vecchia, sorge un amplissimo maneggio coperto chiamato Cavallerizza grande.

Sempre in Piazza Ducale sorge il Duomo rinascimentale che si presenta con una facciata ellittica costruita nel 1680 dal Vescovo spagnolo Juan Caramuel per mascherare la difformità della disposizione della chiesa, non perfettamente allineata rispetto alla piazza. All’interno è conservato un prezioso Museo del Tesoro con oreficerie cinquecentesche ed arazzi fiamminghi.

Interessante è anche il giro delle vie che circondano le antiche mura da cui si notano interessanti scorci del castello e di edifici coevi.

Ma Vigevano vuol dire anche “scarpe”.

Almeno fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso, la fama di “capitale mondiale della calzatura” di Vigevano era determinata e pienamente giustificata dalla forza dei numeri: nel 1960 la produzione annua sfiorava i 21 milioni di paia, di cui poco meno della metà prendeva la via delle principali capitali estere. Un primato che Vigevano si era conquistata grazie alla capacità dei suoi imprenditori e alla abilità dei lavoratori impiegati. A riprova di tale capacità è l’invenzione della scarpa femminile con “tacco a spillo”, presentata in anteprima mondiale a Vigevano in occasione della XVI Mostra Mercato Internazionale delle Calzature nel gennaio 1953. L’arte “di conzare le scarpe” é un’attività che a Vigevano troviamo attestata a partire dal XIV secolo, allorché in un capitolo degli Statuti Comunali emanati nel 1392 si proibiva la concia e la lavorazione delle pelli sulla pubblica piazza. Nel 1866 due fratelli, Luigi e Pietro Bocca, diedero vita al primo calzaturificio modernamente inteso nel senso della divisione e specializzazione della fasi lavorative, affidate per la prima volta anche alla manodopera femminile. Nel 1901 Antonio Ferrari aprì la prima fabbrica italiana di macchine per calzature e nel 1929 Vigevano fu la prima città italiana a iniziare la produzione di calzature in gomma: le scarpe da tennis videro la luce proprio nella città ducale. Una tradizione e un primato che troviamo ancora oggi affermati e documentati nel Museo Internazionale della Calzatura, la prima ed unica istituzione pubblica in Italia dedicata alla storia e alla evoluzione della scarpa intesa come indumento e come oggetto di design e moda. Nato per volontà dello storico locale Luigi Barni e dell’imprenditore Pietro Bertolini cui é dedicato, il Museo della Calzatura a partire dal 2003 ha una nuova e definitiva collocazione all’interno del Castello. Gli ampi e suggestivi spazi e gli allestimenti ricavati nei piani superiori delle scuderie ducali, valorizzano al meglio la peculiarità ed unicità di tale collezione. E di esemplari unici e curiosi il Museo ne possiede davvero tanti.

Il Museo è’ costituito dalla sezione storica in cui si possono ammirare scarpe dal XV secolo ai nostri giorni. Nella seconda sezione vi sono le calzature appartenute a celebri personaggi tra cui la pianella (pantofola) della Duchessa Beatrice d’Este, le calzature di Papa Pio XI e di Benito Mussolini e la ricostruzione del polacchino medioevale di Carlo Magno e delle scarpe del Re sole.

Vigevano è famosa anche per aver dato i natali ad Eleonora Duse il 3 ottobre 1858 ….”per segno divino una delle più grandi attrici del mondo” (…dalla lapide affissa all’esterno del palazzo natìo).

 


27
Mar

Danza macabra e Trionfo della Morte a Clusone

L’Oratorio dei Disciplini di Clusone, in Val Seriana in provincia di Bergamo, è un edificio di origine medievale, posto di fronte alla Basilica di Santa Maria Assunta, voluto dalla Confraternita dei Disciplini come sede del proprio Ordine.

L’edificio, dalla struttura semplice, possiede un ciclo di affreschi di grande valore, del 1485, dipinti dal pittore clusonese Giacomo Borlone de Buschis: all’esterno, sulla parete di facciata, sono dipinti i seguenti soggetti, su vari registri.

Il Trionfo della Morte

In alto il Trionfo della morte: la Morte viene vista come una grande regina che sottomette tutti a sé; è rappresentata come uno scheletro trionfante avvolta in un mantello e con una corona sul capo. Essa sventola dei cartigli; sotto il cartiglio a destra vi è un gruppo di persone che la implorano offrendole ricchezza; sul drappo però, la Morte afferma che nessun uomo è così forte da poterle scappare. Nel cartiglio a sinistra invece, ella dice di essere regina e di non volere le ricchezze che le vengono offerte, perché vuole solo la vita di coloro che la implorano, essendo Signora di ogni persona. Sotto i suoi piedi, in un sepolcro di marmo, giacciono i corpi del Papa e dell’ Imperatore, circondati da serpenti, rospi e scorpioni, emblemi di superbia e morte improvvisa. Questo sta a simboleggiare la potenza della morte, che non risparmia nessuno. Infatti, accanto al sepolcro, vi sono persone ricche e potenti che le offrono oro in cambio della loro salvezza; tra questi soggetti si possono riconoscere un cardinale, un vescovo, un re ed un filosofo. La grande Regina, in ogni caso, colpisce in modo spietato, aiutata da altri scheletri. Questi aiutanti che stanno al suo fianco hanno il compito di uccidere. Quello che si trova a destra della Morte tiene in mano una specie di archibugio e colpisce senza pietà un gruppo di persone imploranti; sopra di esse vi è un altro cartiglio che dice che la morte colpisce in modo doloroso soltanto chi offende Dio mentre porta ad una vita migliore chi pratica la giustizia. L’incontro dei tre morti e i tre vivi A sinistra, nello stesso registro, inserito nella rappresentazione del Trionfo della Morte, l’incontro dei tre morti e dei tre vivi.

La danza macabra

Nel registro mediano la danza macabra. Gli scheletri, allegoria della morte, danzano con diversi personaggi di rango inferiore rispetto alle vittime della Morte nel trionfo del registro superiore: vi sono rappresentati una donna con uno specchio, simbolo della vanità; un membro della confraternita dei Disciplini, con l’abito della regola e il flagello; un contadino; un oste; un soldato; un mercante, con la sacca dei soldi; un uomo di lettere; un magistrato. questi, ciascuno in coppia con uno scheletro, si avviano verso un macabro ballo.

Il giudizio universale

Nel registro inferiore ora molto danneggiati erano anche una rappresentazione dei novissimi e del Giudizio universale.

I cartigli e le iscrizioni

Diverse iscrizioni e cartigli ornano l’affresco:

“Ognia omo more e questo mondo lassa – chi ofende a Dio amaramente passa” cartiglio a sinistra nel Trionfo della Morte.

“O ti serve a Dio del bon core non avire pagura a questo ballo venire. Ma alegremente vene e non temire”

• “… Amamus crucem omnes diligamus Deo devote serviamus cum omne reverentia “ (divide la danza macabra dal registro inferiore)

Danneggiamenti e restauri

Nel 1673 con il sopraelevamento dell’Oratorio (1350) sulla cui facciata è affrescato il tema della Morte (1485), la Confraternita dei Disciplini addossò all’affresco una scala come accesso al piano superiore, spostando la porta antica in basso e aprendone un’altra in alto sulla destra. Questa scala e l’apertura delle porte danneggiò irrimediabilmente il grande affresco che probabilmente non interessava più. Solo alla metà dell’Ottocento la scala venne rimossa e si costruì un accesso laterale al piano superiore. Nel 1902-1905 si procedette ad un primo restauro dell’affresco, ripetuto poi nel 1970 e nel 1999-2000.

L’interno

All’interno un ciclo con la vita di Gesù.

L’Ordine dei Disciplini

I Disciplinati o Disciplini di Bergamo erano, nel medioevo, dei laici riuniti in congregazioni e confraternite che, preoccupati per la salvezza della propria anima, si sottoponevano a una vita di preghiera e di penitenza tra le quali privilegiavano l’autoflagellazione. Con quest’ultima pratica cercavano, anche, di ripetere e provare sul proprio corpo le stesse sofferenze patite da Cristo nella sua passione. Fu un fenomeno socioreligioso che ebbe tra il XIII secolo e gli inizi del XV secolo una notevole diffusione, visto con sospetto e in molte occasioni avversato dalla Curia Romana che condannò alcuni suoi esponenti come eretici. I disciplinati, chiamati anche battuti per le loro manifestazioni penitenziali, trovarono un terreno fertile tra il popolo minuto in un periodo storico particolarmente difficile, caratterizzato dalle lotte fratricide che opponevano Guelfi e Ghibellini. Dietro queste fazioni, o per meglio dire sigle, stavano poteri feudali che, prescindendo da qualsiasi ideologia che non fosse la conquista o il mantenimento del potere, cercavano di imporre la propria supremazia. A tutto ciò si aggiungevano le ricorrenti pestilenze con il loro bagaglio di morte, intese dalla gente come manifestazioni della collera divina per le malefatte degli uomini, e lo stato endemico di miseria in cui si dibatteva la maggior parte del popolo soggetto. Una nuova religiosità nasceva spontaneamente e si diffondeva ove maggiore era il disagio materiale e spirituale, dando luogo a movimenti religiosi spesso ai limiti dell’eresia.

Clusone: una città dipinta sospesa tra arte, tempo e natura

Clusone sorge in una posizione dominante un ampio altopiano soleggiato collocato ad una altitudine ideale di 648 m. s.l.m., circondato dalle montagne delle Prealpi Orobiche e dalla pineta della Selva. Si tratta di una vera e propria città d’arte e di artisti che racchiude numerose testimonianze della sua storia e del suo notevole patrimonio artistico.

Il visitatore che percorre il suo suggestivo centro storico, costruito su quattro livelli successivi, si trova di fronte a continue sorprese: accanto ai monumenti più importanti e famosi, quali il palazzo comunale, con il celebre orologio planetario Fanzago e il complesso monumentale della Basilica di Santa Maria Assunta, nel cui ambito spicca un affresco di fama internazionale sul tema della “Danza macabra”, si susseguono piccoli palazzi con affreschi quattrocenteschi, portali in pietra, loggiati, facciate decorate del XV sec., chiostri di monasteri, pittoresche piazzette, androni, cortili e fontane. Sulle facciate e all’interno di palazzi ed edifici religiosi si possono ammirare numerosi affreschi che hanno reso celebre Clusone come “città dipinta”. L’accenno rivolto al celeberrimo Orologio planetario Fanzago introduce ad un’altra dimensione che caratterizza la città di Clusone: quella del tempo. Da questo punto di vista, da non perdere è la visita al palazzo Marinoni Barca che ospita la sede del Museo Arte e Tempo il quale, per l’importante collezione di meccanismi di orologi da torre, databili dal XIV al XX sec., rappresenta un punto di riferimento di livello europeo nel suo genere; da non trascurare anche l’esposizione di notevoli opere di pittori e scultori di origine clusonese, poi divenuti celebri, come Carpinoni, Cifrondi, Nazzari, Querena, Trussardi Volpi, ecc. Clusone significa anche natura alpina incontaminata: infatti, attraverso sentieri attrezzati, è possibile immergersi tra boschi, pinete e pascoli, praticando escursionismo, equitazione o mountain bike. I percorsi sono molteplici: da Clusone si può salire a S. Lucio ove, da una quota di circa 1000 metri, si può godere di una vista impareggiabile dell’intera alta valle Seriana e del massiccio dolomitico della Presolana, visuale che viene ulteriormente amplificata salendo fino al Pizzo Formico a quota 1650 s.l.m., oppure si possono scegliere percorsi più impegnativi sfruttando il vicino sentiero delle Orobie che attraversa tutte le omonime Alpi, dal rifugio Laghi Gemelli al rifugio Albani. Inoltre Clusone rappresenta un punto di partenza privilegiato per raggiungere, in pochi minuti, le piste di sci alpino del Monte Pora, del Passo della Presolana, di Colere, e di diverse altre stazioni sciistiche, mentre ospita un importante anello di sci nordico, già sede di gare di Coppa del mondo; altrettanto facilmente raggiungibile è il lago d’Iseo, che dista solo una quindicina di km.

 

Foto di Lorenzo Bove


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