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Benvenuti in PagineDiPoggio.com
Poggio Imperiale, la Porta della Puglia e del Gargano.

Un poggio, un'altura,
un dolce declivio.
Un luogo privilegiato di osservazione
sul passato, presente e futuro.
Sul mondo intero.
(l.b.)
8
Ott

E’ vero che l’anguria protegge il nostro cuore?

In questi giorni sta circolando, a livello mondiale, una notizia a dir poco strabiliante: l’anguria o cocomero che dir si voglia possiede proprietà protettive per il nostro cuore.

Pare che l’umile “cucurbitaceo” sia da considerare il nuovo salva-vita in quanto benefico per cuore, colesterolo e sovrappeso.

Che sia poi vero o meno, o che si tratti invece della solita bufala, non fa differenza, certo però che le argomentazioni addotte dagli esperti sembrerebbero davvero convincenti.

La rivista “Journal of Nutritional Biochemistry” ha recentemente pubblicato uno studio condotto da un team della Purdue University, nello stato americano dell’Indiana e della University del Kentucky, dal quale si apprende che i ricercatori hanno alimentato due gruppi di topi con una dieta ricca di acidi grassi e di colesterolo, dando al primo dei due gruppi acqua contenente il due per cento di succo di anguria, con i seguenti sorprendenti risultati: le cavie del primo gruppo hanno visto lievitare il loro peso del 30 per cento in meno rispetto agli altri topi, per effetto di una sostanza detta “citrullina” presente nel succo dell’anguria.

E .. pensare che solitamente in tono scherzoso (o a volte anche offensivo) il termine “citrullo” viene utilizzato  per identificare una persona stupida, sciocca, facilmente raggirabile e  poco furba!

Invece no, questa volta è proprio la “citrullina” a farla da padrona, come sostengono gli esperti delle due  citate Università americane, i quali sostengono che essa potrebbe svolgere un ruolo importante anche nel sistema cardiovascolare dell’individuo.

Va detto, infatti, che, ad oggi, lo studio risulta essere stato eseguito solamente sui ratti, con la conseguenza che quelli nutriti con una dieta a base di succo di anguria presentavano un peso inferiore, meno colesterolo (il 50 per cento in meno di colesterolo LDL – il cosiddetto colesterolo cattivo) e meno placche aterosclerotiche (una riduzione del 50 per cento di placche nelle arterie) rispetto al relativo gruppo di controllo.

Ma, al di là di questo aspetto, è risaputo sin dall’antichità (pare che già gli antichi Egizi ne facessero grande uso) che l’anguria può essere consumata con assoluta tranquillità perché ricca di proprietà benefiche per il nostro organismo, ma soprattutto perchè è il frutto che contiene in assoluto la maggiore quantità di acqua: circa il 95%; e si tratta, peraltro, di acqua biologica, purissima.

Sappiamo che, in passato, l’anguria ha anche rappresentato una sorta di protezione per la salute dei contadini del Sud i quali, durante le torridi stagioni estive nei campi, potevano dissetarsi, evitando così di bere l’acqua dei pozzi o cisterne, uniche fonti idriche nei periodi di siccità. Ma si trattava spesso di acque inquinate e dunque poco salubri. L’anguria, con i suoi dieci litri circa di acqua contenuti in un frutto rappresentava  un vero e proprio salva-vita.

Si tratta di un frutto ricco di carotenoidi, vitamina A, antiossidanti che aiutano a proteggere la pelle esposta al sole.

Inoltre è ricchissimo di fibre e di steroli vegetali, sostanze che vengono assorbite dall’intestino invece del colesterolo alimentare, abbassando così la colesterolemia.

 

Alcune delle informazioni contenute nell’articolo sono desunte da siti internet,

tra cui  www.Italiasalute.it/ e http://gaianews.it/salute/

 

 

 


4
Ott

Presentato a Poggio Imperiale il libro di don Luca De Rosa

 

Ho il piacere di ospitare sul mio Sito/Blog www.paginedipoggio.com  un nuovo articolo che l’amica Antonietta Zangardi ha scritto in occasione della presentazione del libro di don Luca De Rosa, parroco di Poggio Imperiale.

Questo, il titolo del libro:

 

De Rosa Luca

DALLA TEOLOGIA DELLA CREAZIONE

ALL’ANTROPOLOGIA DELLA BELLEZZA

Il linguaggio simbolico chiave interpretativa

 del pensiero di san Bonaventura da Bagnoregio

 Cittadella

Data di pubblicazione: marzo 2011

EAN: 9788830811272

 

E colgo l’occasione per formulare a don Luca le più vive congratulazioni per la pubblicazione di questa sua opera letteraria.

Buona lettura!

 

   

« Il 2 ottobre 2012 nella palestra comunale di Poggio Imperiale è stato presentato il libro del parroco don Luca De Rosa, “Dalla teologia della creazione all’antropologia della bellezza” il linguaggio simbolico chiave interpretativa del  pensiero d San Bonaventura da Bagnoregio.

Un pubblico attento ed interessato ha seguito le esposizioni dei relatori, la prof.ssa Concetta Pacentra , docente di Filosofia, coordinatrice della serata, il prof. Michele Illiceto, docente di Filosofia e don Francesco Armenti, scrittore e giornalista.

San Bonaventura ed il suo umanesimo cristiano sono attualissimi.

Si hanno troppi preconcetti sul Medioevo e ci sono tanti luoghi comuni da sfatare, ma leggendo il libro di don Luca ed addentrandoci nel pensiero di San Bonaventura scopriamo come possa essere inserito a pieno titolo nel contesto storico in cui viviamo.

Ciascuno di noi è uscito dall’amore eterno e creativo di Dio e a Lui si dovrà tornare aderendo al Suo Mistero, un exitus ed un reditus , un’origine ed ritorno che dovrebbe farci pensare di essere imago Dei , pertanto attraverso Cristo dovremmo ritrovare la forza di ricercare la nostra origine, il senso della nostra esistenza e il nostro fine che è in Dio.

L’uomo, aperto all’infinito, sperimenta nella vita terrena un tendere continuo che nasce con la creazione a immagine di Dio. L’Assoluto è il fine, perché è l’origine.

Il concetto di “grazia” è ben presentato dall’autore perché in esso si compie la similitudine dell’uomo in Dio, che riunifica l’atto creativo e quello redentivo nello stesso Suo progetto salvifico.

In San Bonaventura non v’è dualismo e divisione in due mondi separati, corpo e anima, mondo materiale naturale e quello spirituale intellettuale, ma ogni uomo, pur vivendo nella natura, non si limita né si chiude in quest’unica dimensione. Emerge, quindi in sé con forza un desiderio di andare oltre il mondo, un bisogno, cioè di trascendersi e, con la grazia divina, di raggiungere lo status termini  dell’eternità di Dio. La sete d’infinito che è in noi si placa solo in Dio.

Continui sono nella pubblicazione i riferimenti e le comparazioni con Sant’Agostino; anch’egli affermava che cercava Dio fuori di sé mentre Egli era dentro di lui.

Siamo nel mondo, ma non apparteniamo ad esso, viviamo nel tempo ma siamo protesi verso l’eterno, perché come immagine di Dio, portiamo in noi il sigillo di Dio. In questo si manifesta la nostra libertà: tendere a vivere la spiritualità senza farci condizionare dalla materia.

Chi è l’uomo libero? In che cosa consiste la libertà? Sono domande che sempre attanagliano l’uomo. Questi ricerca Dio come un pellegrino, un povero che cammina nel deserto, ma che sceglie la libertà, la vera libertà, che  per San Bonaventura  è rispondere alla chiamata di Dio, che è in noi sin dall’origine. La libertà dell’uomo è autentica quando risponde al progetto divino.

Tutti i beni del mondo sono per loro natura buoni, ma è l’uomo che deve decidere per quei beni che devono permettergli di raggiungere il fine supremo che è Dio. Finché l’uomo vive nel mondo, la sua libertà è sempre tentata dal peccato.

Le due facoltà, intellettiva ed affettiva, ragione e volontà costituiscono per l’uomo la partecipazione al mondo spirituale e a quello materiale che hanno in lui la loro unificazione. Questo concetto è stato ben attualizzato dal prof. Illiceto perché l’anima si mostra a immagine di Dio costituendo la base della dignità della persona. Per San Bonaventura il libero arbitrio è il fondamento della fede.

Altro tema di riflessione sulla pubblicazione è la conoscenza.

Scientia e sapientia sono le due possibilità di conoscenza dell’uomo. L’una riferita alla conoscenza umana e l’altra si colloca oltre la dimensione terrena, perché l’oggetto è Dio. Il vero sapere non può limitarsi solo alla scienza, perché risulterebbe limitante ed insufficiente, rispetto “all’anelito del cuore umano nella tensione verso l’infinito e l’assoluto”.

Ricercare la verità che è in noi, significa mettersi in ascolto e capire che solo Dio è l’unico che può dare risposte a quella sete di infinito che abbiamo dentro di noi. L’uomo centro dell’universo si distingue dagli altri esseri che abitano il nostro mondo per il sapere, che è conoscenza ed amore.

Il mondo soprannaturale è in continuità con quello naturale e San Bonaventura riconosce nell’uomo la capacità di vivere secondo un suo libero progetto in risposta all’iniziativa gratuita di Dio, che non contrasta con la libertà umana, ma aiuta a realizzare le più alte ispirazioni dello spirito umano.

Il peccato rompe quel rapporto di equilibrio che l’uomo aveva con il suo corpo e con il mondo, ma la redenzione operata da Cristo restituisce all’uomo la funzione di guida e di responsabilità nei confronti del mondo, affidatagli da Dio all’atto della creazione.

Punto centrale del libro è: l’idea della bellezza, nella quale confluiscono filosofia, teologia e mistica.

Possiamo notare come il simbolismo di San Bonaventura si riferisca a tre temi fondamentali: il sole è la Trinità, la luna è la chiesa e la stella è l’anima. Quando il credente vive in una unione profonda con Dio è necessaria la contemplazione.

Ecco la parte più attuale del pensiero bonaventuriano quando parla dell’uomo contemplativo che vive la mira pulchritudo.

L’uomo contemplativo

-stabilisce un rapporto di gioia con Dio, con sé stesso e con il prossimo;

-coglie la bellezza del creato nel suo ordine e nella sua armonia;

-sperimenta un senso di pace e di serenità interiore;

-sopporta le avversità;

-perdona le offese ricevute;

-vive nella pace con tutti;

-gioisce nella sobrietà e nella castità;

-vive una vera maturità umana;

-possiede un profondo senso dell’equilibrio;

-prende decisioni in maniera ponderata;

-giudica con giustizia ed animo retto;

-nel conversare con gli altri mostra gentilezza, discrezione e carità;

-possiede grande umiltà dovuta all’armonia raggiunta con Dio e con sé stesso.

Difficilissimo per l’uomo di oggi aspirare al possesso di tutte queste qualità, perché la possibilità di peccare è sempre in agguato.

Ecco perché l’uomo riconosce con umiltà il bisogno costante dell’aiuto divino. Abbiamo bisogno di fermarci e riflettere per evitare l’abuso della libertà, recuperando il valore della trascendenza. In un mondo secolarizzato non riusciamo più a capire che tutto è guidato dal Signore della storia che è Dio.

Il vero cristiano deve sapersi identificare con l’uomo contemplativo e tutta la comunità cristiana deve farsi guidare dalla carità, per la quale, secondo San Bonaventura, “ … gli altri non sono mai ridotti e considerati come ostacoli e come rivali, ma sempre come persone umane, che, aprendosi al Tu assoluto, formano comunità umane autentiche, caratterizzate dall’amore per l’altro e la solidarietà fraterna”.

Occorre, quindi superare a tutti i costi la categoria dell’antagonismo, perché il vero cristiano è l’uomo dell’incontro, della concordia, della pace e dell’armonia.

La teologia bonaventuriana ci propone un umanesimo integrale ed interpersonale sul quale riflettere per cambiare rotta alla nostra esistenza. Credo che tali riflessioni possono senz’altro servirci, per riacquistare una visione positiva del mondo, come dono dell’amore di Dio per noi, per allontanarci  dai peccati tutti moderni e sempre in agguato, dal desiderio di sopraffazione dell’altro, dall’arrivismo, dal presenzialismo vano e dannoso, dal latrocinio, dalla cupidigia, dall’avidità, dalla pirateria informatica, dalla falsa testimonianza. In fondo basterebbe ogni tanto andare a rivederci i Comandamenti della Legge di Dio e fare vera penitenza, divenendo uomini religiosi mossi dal rispetto per le cose del creato e per i nostri fratelli ».

 

di Antonietta Zangardi

 

 

 

Il presente articolo è pubblicato anche su www.gazzettaweb.net

 


18
Set

Per districarci tra i tanti termini economici!

Si fa oggi molta fatica, tra la gente, soprattutto tra la gente comune, a raccapezzarsi tra una miriade di termini di natura economica, che sistematicamente vengono “sparati a raffica” dagli schermi televisivi e sulla carta stampata. Termini che imbarazzano e al tempo stesso disorientano il cittadino, specialmente in questo periodo di grave crisi che sta attraversando il nostro Paese insieme ai nostri confratelli europei.

Proviamo quindi a stilare un elenco dei termini più ricorrenti, cercando di attribuire a ciascuno di essi il significato più appropriato.

L’esercitazione non servirà certamente a risolvere i problemi relativi alla crisi in atto ma, se non altro, ci aiuterà almeno a capire meglio di cosa i nostri economisti e politici stanno parlando!

ACCISA – Imposta indiretta sulla fabbricazione o vendita di alcuni beni, ad esempio la benzina.

ASSET – Termine inglese che si può tradurre con beni materiali o immateriali di un’impresa.

AVANZO PRIMARIO – Può essere definito come la differenza tra le spese pubbliche, escluse le spese per interessi, e il totale delle entrate.

AZIONI – Sono titoli che rappresentano una quota della proprietà di una società.

BENI RIFUGIO – Si intende un bene che ha un valore intrinseco, reale, e che tende a non perdere valore a seguito di un incremento del livello generale dei prezzi. L’esempio per eccellenza è l’oro, ma in generale costituiscono un bene rifugio tutte le materie prime preziose.

BOLLA IMMOBILIARE – E’ una bolla speculativa che si presenta periodicamente nei mercati immobiliari. E’ caratterizzata da un rapido aumento dei prezzi degli immobili che raggiungono livelli insostenibili in rapporto ai redditi medi o ad altri parametri economici.

BOND – Detti anche obbligazioni sono prestiti concessi dall’investitore a un emittente che può essere lo Stato, un ente pubblico o una società privata. L’obbligazione garantisce un rendimento a chi lo acquista e la restituzione della somma alla scadenza.

BTP – I Buoni del Tesoro Pluriennali sono titoli a medio-lungo termine emessi dal Tesoro con una scadenza che va fino ai 30 anni.

BUND – Sono i titoli di stato a medio-lungo termine emessi dal governo tedesco.

CLASS ACTION – E’ un’azione legale condotta da più soggetti che chiedono che la soluzione di una questione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti ultra partes per tutti i componenti presenti e futuri della classe.

DEBITO PUBBLICO – Per debito pubblico si intende il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti, individui, imprese, banche o stati esteri, che hanno sottoscritto un credito allo Stato sotto forma di obbligazioni o titoli di stato (in Italia: BOT, BTP, CCT) destinati a coprire il disavanzo del fabbisogno finanziario statale oppure coprire l’eventuale deficit pubblico nel bilancio dello Stato.

DEFAULT – Il termine indica l’insolvenza, l’incapacità di rispettare le clausole contrattuali previste dal regolamento del finanziamento. Di default si parla anche nel caso di Paesi che non riescono a far fronte ai propri debiti.

DEFICIT – E’ la differenza negativa tra le entrate e le uscite del settore della pubblica amministrazione.

DEFLAZIONE – Opposto dell’inflazione, è la situazione economica in cui si registra una diminuzione del livello generale dei prezzi.

DIVIDENDO – La parte di utile che viene distribuito da una società ai suoi azionisti.

DOWNGRADE – Cambiamento negativo nel rating. Avviene quando un’agenzia detta appunto di rating abbassa il giudizio su un emittente.

EURIBOR – E’ il tasso medio con cui avvengono le transazioni finanziarie in euro tra le grandi banche europee. È stato creato contestualmente all’euro il primo gennaio 1999.

EUROBOND – Il termine indica obbligazioni del debito pubblico dei Paesi facenti parte dell’eurozona, emesse da un’apposita agenzia dell’Unione Europea e garantite congiuntamente dagli stessi Paesi dell’eurozona.

FISCAL COMPACT – Si tratta del patto fiscale europeo derivante dal “Trattato sulla stabilita’, sul coordinamento e sulla governance nell’Ue” nonché dal “Meccanismo Europeo di Stabilità – Mes” – al secolo “fondo salva stati”, finalizzato a vincolare i governi della cosiddetta “zona euro”.

FUTURE – I futures sono contratti a termine standardizzati con i quali una parte acquista o vende a un prezzo prestabilito una determinata quantità di beni o attività finanziarie, con consegna a una data futura.

HOLDING – Società finanziaria che ha quote di partecipazione in altre società in misura tale da poterne controllare la gestione.

OUTLOOK – Termine inglese con cui si indicano le prospettive dell’andamento di un titolo o di un Paese nel medio periodo.

PIL – Il prodotto interno lordo esprime il valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti all’interno di un Paese in un certo intervallo di tempo (di solito un anno) e destinati ad usi finali.

PRESSIONE FISCALE – Indica il rapporto tra l’ammontare delle imposte e Pil.

PROFIT WARNING – Letteralmente ‘allarme sugli utili’, indica l’annuncio di una società quotata con il quale la stessa comunica che i suoi risultati saranno inferiori alle attese.

RATING – Operazione di valutazione, espressa tramite un voto in lettere, che sintetizza la situazione finanziaria di un’impresa o un Paese e ne misura il grado di solvibilità. Le più conosciute agenzie di rating sono S&P, Moody’s e Fitch. La tripla A è il massimo livello di affidabilità di un soggetto, con elevata capacità di ripagare il debito.

ROBIN TAX – E’ una maggiorazione dell’aliquota Ires introdotta da Giulio Tremonti con l’intento di tassare gli extra profitti delle società petrolifere quando i prezzi di petrolio e carburanti sembravano inarrestabili; una tassa che porta il nome dell’eroe leggendario Robin Hood che … “rubava ai ricchi per dare ai poveri”.

SPENDING REVIEW – La revisione (riduzione) della spesa pubblica da parte del Governo (decreto “Salva Italia”) per stimolare la crescita e la competitività, attraverso provvedimenti legislativi finalizzati ad eliminare sprechi e inefficienze, garantire il controllo dei conti pubblici, liberare risorse da utilizzare per interventi di sviluppo, ridare efficienza al settore pubblico allo scopo di concentrare l’azione su chi ne ha bisogno.

SPREAD – Nel caso dei titoli di Stato rappresenta la differenza tra il tasso di rendimento di un’obbligazione governativa italiana, come il Btp, e il corrispettivo tedesco, il cosiddetto Bund.

STAGFLAZIONE – Indica la situazione nella quale sono contemporaneamente presenti un generale aumento dei prezzi (inflazione) e assenza di crescita dell’economia in termini reali (stagnazione).

STRESS TEST – Sono esami che consentono di verificare la tenuta del sistema bancario e la sua capacità di reggere l’impatto di uno scenario negativo.

SUBPRIME – I mutui subprime sono i prestiti concessi a soggetti meno facoltosi che non possono avere accesso ai tassi di interesse di mercato, in quanto hanno una storia pregressa di cattivi pagatori. I tassi più elevati rappresentano una condizione di rischio sia per i creditori sia per i debitori.

TOBIN TAX – La Tobin tax, dal nome del premio Nobel per l’economia James Tobin, che la propose nel 1972, è una tassa sulle transazioni finanziarie per stabilizzare i mercati valutari.

TRACCIABILITA’ – Sistema che consente di risalire alle somme pagate o incassate attraverso l’identificazione di ordinanti, beneficiari, date e importi.

VENDITE ALLO SCOPERTO – Chiamata anche short shelling, è un’operazione finanziaria che consiste nella vendita di titoli non direttamente posseduti dal venditore allo scopo di riacquistarli in seguito ad un prezzo inferiore. La vendita allo scoperto viene perciò considerata un’operazione finanziaria di tipo prettamente speculativo.

VOLATILITA’ – Misura il grado di variabilità dei prezzi dei titoli azionari ed esprime l’ampiezza delle variazioni subite.

ZONA EURO – Viene informalmente detta zona euro o, altrettanto frequentemente, eurozona o eurolandia, l’insieme degli stati membri dell’Unione europea che adotta l’euro come valuta ufficiale. Attualmente (2012) la zona euro è composta da diciassette stati, tra cui l’Italia.

 

 

 


7
Set

A Ripalta (di Lesina) un piccolo gioiello gotico, tutto da scoprire!

Una Chiesa-Abbazia di stile gotico, di cui ancora ben conservato l’elegante rosone e le monofore sulla facciata absidale.

Santa Maria di Ripalta è un complesso “cistercense” di origine medievale (XIII sec) di indubbio interesse che merita veramente di essere visitato, anche se risulta poco noto ai più, forse  perché scarsamente pubblicizzato o fors’anche perché gli attuali eredi degli antichi proprietari del sito desiderano mantenere segretamente intatto  il luogo, nella sua particolare autenticità.

E’ infatti accessibile solo la domenica mattina in occasione della celebrazione della Santa Messa, alle ore 9, a meno che non si riesca ad avere la fortuna di incontrare gli attuali proprietari di questo significativo monumento, gli eredi della famiglia Galante di Napoli, che saltuariamente dimorano in loco, nei loro possedimenti di Ripalta. Ed è proprio quello che è capitato a me e mia moglie nel corso delle recenti vacanze estive trascorse a Poggio Imperiale.

Un caloroso ringraziamento, dunque, non solo per la visita che ci è stata consentita di effettuare ma anche per la dovizia di particolari che ci sono stati forniti, nell’occasione, dai cortesi discendenti.

L’Abbazia è situata, come si è detto, in località Ripalta, una frazione di Lesina, in provincia di Foggia.

Si narra che qui si insediò ai primi del 1200 una comunità di Monaci Cistercensi provenienti dall’Abruzzo e, nel 1255, la favorevole situazione economica permise la costruzione di una “grangia”, in linea con le consuetudini dei complessi abbaziali cistercensi, come voluti da Bernardo, abate di Clairvaux, il quale, aspramente in disaccordo con il lusso delle chiese, si fece fautore di una sorta di Abbazia-Città, ove i monaci potevano lavorare i campi, pregare, scrivere manoscritti e produrre musica. Bernardo di Chiaravalle, in francese Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153), fu un monaco e abate francese, fondatore della celebre Abbazia di Clairvaux e di altri monasteri.

Nell’architettura cistercense, con il termine “grangia” si intendeva una costruzione chiusa, un capannone in cui si conservava il raccolto ma nello stesso tempo indicava pure un’azienda agricola comprendente oltre alla grangia propriamente detta, case, terreni e pascoli. Il termine grangia deriva dal francese e designa una fattoria, un ambiente più o meno grande con annesso un podere. L’ubicazione delle grangie era variabile, ciascuna abbazia ne aveva almeno una nelle vicinanze.

Le grangie cistercensi erano poste sotto la direzione di un converso detto “magister granciae”, assistito da alcuni altri conversi, e si componevano di braccianti agricoli salariati, mentre i mercenari in genere abitavano nelle immediate vicinanze della stessa grangia. È vero che le grangie non erano monasteri in senso stretto ma, come nei monasteri si praticava molto l’ospitalità, tanto che spesso nei documenti ad esse relativi si parla di un “frater hospitalarius”.

Santa Maria di Ripalta sorge a pochi chilometri dal lago di Lesina, sulla sponda del fiume Fortore, alla sommità di una rupe (e, da ciò, forse, “ Ripa alta”), in una località dove presumibilmente esisteva già un monastero benedettino dedicato alla Madonna. Fu per l’appunto una comunità di cistercensi provenienti da Casanova d’Abruzzo che nel 1201 vi si insediò, costruendovi una nuova chiesa o riadattando quella già presente, che venne ricompresa nella piccola Diocesi di Civitate (corrispondente all’attuale vicino comune di San Paolo Civitate) ed in seguito incorporata a quella di San Severo, presumibilmente nel 1580. Caduta in commenda e abbandonata in data imprecisata, probabilmente all’inizio del XVIII secolo fu affidata ai Celestini, dato che nel 1719 risultava aggregata ad una chiesa di San Severo, convento di questi ultimi. In commenda, “in commendam”, alla lettera significa “in affidamento”, che sta ad indicare essenzialmente un “beneficio” derivante da una rendita annessa ad un grado ecclesiastico o cavalleresco. Il cavaliere che ne era principale beneficiario veniva denotato con il termine di “commendatore”. Egli amministrava i beni costituenti la commenda che erano di proprietà dell’Ordine, trattenendo una parte delle rendite quale compenso del suo servizio.

Del complesso abbaziale rimane, seppure incompleta, soltanto la chiesa di Santa Maria, la cui pianta originaria era probabilmente a croce latina. Il corpo centrale sarebbe stato costituito da tre navate di cinque campate mentre ancora riconoscibili sono transetto e abside. Quest’ultima è a forma quadrata, affiancata a destra e a sinistra da due coppie di cappelle rettangolari che si aprono sul transetto, costituito da cinque campate.

Il villaggio di Ripalta costituisce uno dei pochi villaggi agricoli antichi del Tavoliere delle Puglie ancora esistente, nato a ridosso delle sponde del fiume Fortore, probabilmente anche in funzione dello scalo fluviale di Teanum Apulum (l’attuale vicino e già citato comune di San Paolo Civitate), qui esistente sin dall’ epoca romana.

Intorno alla Chiesa si svolgevano attività agricole e di allevamento, senza dimenticare il ruolo importante che il borgo ha assunto durante i secoli per l’attività della transumanza (la mena delle pecore attraverso cui le greggi venivano portate a svernare  dall’Abruzzo alla Puglia), poichè Ripalta è situata proprio sul “Tratturo Magno”, che un tempo collegava la città di  L’Aquila con quella di Foggia. Per tale motivo la Chiesa di Santa Maria viene altresì definita una “Masseria-Abbazia”.

Il disastroso terremoto del 1627 fece crollare una parte della Chiesa, che fu poi  ricostruita per mano dei Celestini agli inizi del XVIII secolo. Nel 1806, quando l’Ordine dei Celestini fu soppresso, Gioacchino Murat donò Ripalta al suo Ministro di Polizia, che a sua volta la passò in dote alle sue figlie.

Gianfranco Piemontese, Docente di Storia dell’Arte, in “Segni lapicidi nell’Abbazia di Càlena (Peschici – Fg)”, www.reciproca.it, rinviene delle similitudini architettoniche e costruttive tra il complesso di Santa Maria di Ripalta e l’Abbazia di Càlena di Peschici, costruita presumibilmente intorno all’anno 872 e, quindi, tra le più antiche abbazie d’Italia, all’interno della quale era peraltro conservata un’antichissima statuetta lignea di Madonna con il Bambino di origine  incerta. Per lungo tempo fu sede di un convento di monaci, mentre oggi è stata trasformata in una villa privata. Similitudini vengono altresì riscontrate con l’Abazia della Santissima Trinità di Venosa (Pz), la cosiddetta “Incompiunta”, che io e mia moglie abbiamo avuto il piacere di visitare due anni orsono, oltre che con l’Abbazia di Santa Maria delle Tremiti (Isola di San Domino, Tremiti, Fg), che abbiamo visitato lo scorso anno, e con ulteriori complessi monumentali pugliesi. E, questo, soprattutto in relazione all’opera di maestri scalpellini provenienti dal Nord Europa.

Il Piemontese sostiene, tra l’altro, che “Il complesso benedettino di Santa Maria di Càlena di Peschici (Foggia) contiene nelle sue strutture murarie la testimonianza di presenza e attività di maestranze lapicide [scalpellini, tagliapietre]. Una presenza dovuta sia alle dominazioni provenienti dal Nord Europa che alla circolazione degli stessi maestri scalpellini. Questi giunsero nel Meridione d’Italia sia come artigiani specializzati che nelle vesti di componenti gli ordini monastici. E’ noto a tutti quanto la regola benedettina recitasse in materia di lavoro. Attività pratiche che coinvolgevano il campo strettamente produttivo, dall’agricolo a quello dell’acquacoltura. Attività quest’ultima fortemente legata a una dieta alimentare priva di carni ma ricca di pesce, che vedeva la presenza, in quasi tutti i maggiori complessi monastici, di impianti adatti all’allevamento ittico in terraferma, le cosiddette peschiere. Tra le attività prettamente manuali vi era quella legata all’arte del costruire, e quindi ecco fiorire negli insediamenti monastici gruppi di monaci esperti scalpellini e muratori. Maestranze non prive di conoscenze legate alle tecniche e tecnologie costruttive. Un modo di costruire che si riscontra anche in un altro complesso monastico qual è l’ex abbazia di Santa Maria di Ripalta, nei pressi di Lesina (Foggia). La possibilità che le maestranze operanti a Càlena abbiano direttamente partecipato alla costruzione o abbiano influenzato quelle operanti in Santa Maria di Ripalta, si evince sia dal modo in cui i conci lapidei sono squadrati e posti in opera, che dalle soluzioni formali e tecnologiche impiegate nelle finestre e nelle arcate. Vi sono similitudini non solo nell’apparecchiatura muraria, ma anche negli elementi floreali scolpiti e posti a coronamento di capitelli o di semplici elementi di decoro della facciata, che rimandano a quegli stilemi dell’architettura cistercense di cui Santa Maria di Ripalta e la stessa Chiesa Nuova di Càlena sono testimonianza. Una struttura architettonica, quella di Càlena, passata dalla floridezza derivatagli dai numerosi e sparsi possedimenti (terreni ed immobili accumulatisi tra l’XI e il XIV secolo), all’abbandono ed alla sua attuale riduzione quasi a rudere. L’insediamento religioso benedettino, il cui impianto rimanda ad un’epoca precedente l’XI secolo, presenta una chiesa più antica ad impianto basilicale a tre navate, suddivisa da pilastri compositi a sezione rettangolare con presenza di cupole in asse nella nave centrale. La cosiddetta “chiesa nuova”, invece, presenta anch’essa tre navate, di cui due sono oggi praticabili mentre la terza, quella centrale, risulta scoperchiata. L’interno della navata presenta i pilastri delle campate con i tipici segni della predisposizione della copertura con volte a crociera: ovvero conci predisposti per i pennacchi d’imposta della volta di partenza. Allo stato dei fatti, la chiesa sembrerebbe avere avuto sempre una copertura a falde, sostenuta da capriate lignee e copertura con manto di tegole. Questa tesi troverebbe supporto nel fatto che, nonostante l’abbandono in cui versa attualmente la chiesa, all’interno, in situ, non si ha presenza dei conci e dei relativi pezzi di costoloni che una copertura a crociera per due campate di quelle dimensioni avrebbe sicuramente lasciato a terra in forma abbondante, né vi sono tracce di reimpieghi di conci sagomati provenienti da volte a crociera nelle opere murarie circostanti. Una possibile crisi economica dell’Abbazia avrebbe causato un fermo dei lavori che si è protratto nel tempo, sino a far optare, successivamente, per una copertura degli ambienti centrali con strutture lignee. Tesi, questa, che si avvale del confronto con due altre importanti chiese: quella della Santissima Trinità di Venosa (Pz) e quella di Santa Maria di Ripalta, entrambe rimaste incompiute, e che, seppur di dimensioni maggiori di quella di Càlena, presentano forti similitudini negli elementi architettonici strutturali e negli stessi segni lapidei. Come accennavamo sopra, le strutture murarie sono a paramento liscio, con le eccezioni dei capitelli su cui s’impostano gli archi ogivali che presentano lavorazioni simili agli ornamenti di tipo cistercense presenti anche nell’Abbazia di Santa Maria delle Tremiti, da cui peraltro Càlena dipendeva. Sono numerosi gli studiosi che hanno collegato la “chiesa nuova” di Càlena all’arte francese borgognona. Noi qui rileviamo che la similitudine di lavorazione della pietra e del disegno delle due finestre trilobate, presente sul lato sud, ricorda fabbriche presenti in Puglia, non solo di tipo religioso come Santa Maria di Ripalta o la cappella della Maddalena in San Domenico a Manfredonia, ma anche civili come testimoniano i capitelli presenti in Castel del Monte (Andria, Ba). L’attenzione di chi ha potuto visitare e studiare gli spazi di questa architettura, fra l’incompiuta e l’abbandonata, è rapita da una serie di segni incisi sui conci di archi e pilastri della struttura. Tipici segni, appunto, dei maestri muratori lapicidi, ovvero di coloro che del cantiere medievale erano i veri artefici. Si va da semplici monogrammi a composizioni geometriche dove al cerchio si unisce la retta o un archetto. Si riscontrano forti similitudini tra questi segni lapidei e quelli che si trovano sui conci di pietra della fabbrica delle mura angioine della fortezza di Lucera (Fg). Nell’ambito delle architetture religiose, ricordiamo anche Sant’Antuono, in territorio di Sant’Agata di Puglia (Fg). Qui si hanno finestre simili e identica lavorazione della pietra, conci perfettamente squadrati ed apparecchiati, anche se ad oggi non è stato rilevato alcun tipo di segno lapideo come a Càlena e a Ripalta. L’ulteriore conferma dell’origine d’oltralpe di parte dei “magistri” che hanno realizzato la chiesa nuova può essere attestata dalla presenza, oltre ai segni usuali in Francia e nel resto dell’Europa centro settentrionale, di un segno simile a quello riscontrato a Notre-Dame d’Orcival. Si tratta di una lettera, una ‹A› carattere capitale, con la linea orizzontale piegata a mo’ di cuneo verso il basso, e con un tratto orizzontale sulla punta. Lo stesso segno è presente sulla navata laterale destra di Càlena. La chiesa francese, al pari di quella di Càlena, risulta essere «…letteralmente coperta di marchi di costruzione», come scrive lo storico dell’arte Raymond Oursel a proposito di Notre-Dame d’Orcival”.

Per concludere, infine, l’Abbazia di Santa Maria di Ripalta potrebbe peraltro, a parere di chi scrive, considerarsi, a buona ragione, anche un sito localizzabile sull’antico “Cammino dell’Angelo”, un viaggio (a piedi) di 2859 km tra la Francia e l’Italia, un percorso che congiungeva  spiritualmente, in passato, l’Adriatico alla Manica e che collegava idealmente la Puglia alla Normandia. Uno dei più antichi pellegrinaggi dell’Europa cristiana, un camminare verso Cristo sotto la guida di San Michele Arcangelo, un vivere l’esperienza dell’abbandono e dell’accoglienza, un pellegrinare verso orizzonti interiori, un incontrare migliaia di volti nuovi, da “Mont Saint Michel” in Normandia alla “Grotta dell’Apparizione di San Michele Arcangelo”, presso Monte Sant’Angelo in provincia di Foggia, alla scoperta dei grandi Santuari dedicati a San Michele : Monte Sant’Angelo (Foggia); Castel Sant’Angelo (Roma); San Michele di Lucca; San Michele di Pavia; Sacra di San Michele (Monte Pirchiriano, Val di Susa, in Piemonte); Saint-Michel d’Aiguilhe e  Mont Saint Michel, in Francia.

Il santuario di Monte Sant’Angelo ebbe così grande importanza nel medioevo da rappresentare una tappa obbligata dei pellegrini che andavano in Terra Santa (vi fece sosta anche San Francesco d’Assisi nel 1216). La lunga strada che partiva da Santiago di Compostela  e giungeva a Monte Sant’Angelo prendeva nel suo tratto terminale il nome di “Via Sacra Longobardorum” (variante della “Via Francigena”). Durante il periodo delle Crociate, il Gargano con i suoi santuari era uno dei luoghi dove si potevano incontrare più frequentemente guerrieri, pellegrini e religiosi.

Il Santuario di Monte Sant’Angelo, in particolare, è uno dei tre maggiori luoghi di culto europei intitolati a San Michele, insieme alla “Sacra di San Michele” in Val di Susa, e a “Mont Saint-Michel” in Normandia. I tre luoghi sacri si trovano a 1000 chilometri di distanza l’uno dall’altro, allineati lungo una retta che, prolungata in linea d’aria, conduce a Gerusalemme.

Molto complessa è la storia delle vie di pellegrinaggio verso la grotta garganica di San Michele durante i 15 secoli della sua frequentazione. Nel medioevo il santuario garganico era anche uno dei quattro più frequentati luoghi di pellegrinaggio della cristianità, secondo l’itinerario di redenzione spirituale, noto come “Homo, Angelus, Deus”, che prevedeva la visita alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma e di San Giacomo di Compostela in Spagna (Homo), all’Angelo della Grotta di Monte Sant’Angelo (Angelus), infine ai luoghi della Terra Santa (Deus).

Risulta che anche San Bernardo (quel “Bernard de Clairvaux”, riformatore dell’ordine cistercense, di cui si è parlato prima), in una sua visita in Puglia per far riappacificare Ruggiero II, re delle due Sicilie, con la Chiesa, volle venerare San Michele nella sua Grotta. Appare dunque logico e naturale pensare che l’abate francese abbia fatto sosta anche in un’abbazia cistercense ubicata a pochi chilometri di distanza da Monte Sant’Angelo, e cioè quella di Santa Maria di Ripalta.

 

 

 

 

 


21
Ago

A proposito della fondazione di Poggio Imperiale ….

La storia delle origini di Poggio Imperiale ha destato – soprattutto negli ultimi decenni, a partire da “Poggio Imperiale, Noterelle paesane” di Alfonso De Palma, Edizione “ il Richiamo” del settembre 1984 – l’interesse da parte di alcuni nostri insigni concittadini, in particolare Alfonso Chiaromonte e Giovanni Saitto, che hanno sapientemente effettuato al riguardo approfondite ricerche, consentendoci così di poter allargare i nostri orizzonti conoscitivi rispetto alle scarne e superficiali notizie tramandateci dai nostri avi.

Ora, Antonietta Zangardi (1) aggiunge un nuovo tassello al mosaico che nel tempo si è andato componendo, con l’apporto di ulteriori ed inedite informazioni sulla base di ben settantadue nuovi documenti che riguardano il periodo temporale che va dal 1751, anno dell’acquisto del feudo di Lesina da parte del Principe Placido Imperiale, al 1765, anno di sviluppo economico ed incremento demografico di Poggio Imperiale, colonia agricola fondata verosimilmente nel 1759.

Poggio Imperiale

Anno 1759

Nuovi documenti sulle origini e sulla fondazione

Edizioni del Poggio, maggio 2012

Questo è il titolo del nuovo ed interessante libro di Antonietta Zangardi.

A quanto pare, l’Autrice si è posta l’obiettivo di penetrare più efficacemente  nella fitta coltre di nebbia che per anni aveva offuscato la storia delle origini di Poggio Imperiale, anche se, in verità, tanto è stato già fatto dai nostri studiosi e ricercatori di storia patria poggioimperialesi.

E la lettura, l’analisi e il confronto degli ultimi documenti rinvenuti dalla Zangardi nella sua opera di ricerca, porterebbero ad intravedere nuovi spiragli di considerazione rispetto alla data effettiva della fondazione di Poggio Imperiale, che verrebbe fatta risalire al maggio del 1759 e non al cosiddetto “patto degli albanesi del 18 gennaio 1761”.

Tesi, quest’ultima, suffragata anche  dalla copia della relazione per la visita pastorale del vescovo di Lucera, Mons. Giuseppe Maria Foschi, dalla quale risulterebbe che, “al loro arrivo”, vi era impiantato un nucleo di abitanti cosiddetti regnicoli, cioè italiani, già dal maggio del 1759.

In via prudenziale, il condizionale è d’obbligo, anche se la documentazione reperita, analizzata e resa pubblica porta a ritenere attendibili sia le considerazioni svolte, sia le conclusioni alle quali l’Autrice è pervenuta.

Attendibilità avvalorata, peraltro, anche dall’autorevolezza del noto studioso e scrittore dauno Mario A. Fiore che ha curato la Prefazione del libro citato.

Orbene, alla luce di quest’ultimo contributo della Zangardi, la data di fondazione di Poggio Imperiale parrebbe ora risalire al 1759, risultando all’epoca già  “impiantato il primo agglomerato urbano”, piuttosto che al 1761, con ciò sfatando il mito secondo cui  furono gli albanesi, arrivati in quell’anno, a fondare la “nuova terra”, denominata per l’appunto “terranova” (in dialetto “tarranòve”).

Non v’è dubbio sul fatto che i recenti documenti portati alla luce dalla Zangardi siano meritevoli di considerazione per quanto attiene alla loro attendibilità e, non di meno, anche della dovuta attenzione per le novità addotte.

Ma, ad onore del vero, queste ultime novità denotano un fatto molto importante, che non può di certo sfuggire all’osservatore più attento, e cioè che la storia delle origini del nostro giovane paese è ancora “in fieri” e cioè in via di formazione, in divenire.

Risulta di indubbio pregio la portata delle informazioni reperite e rese pubbliche dagli odierni studiosi poggioimperialesi nel corso delle ricerche e degli studi sinora eseguiti, ma vi è ragione di ritenere che esistano ancora ampi margini di esplorazione possibili.

Ritengo, personalmente, che il culto delle tradizioni poggioimperialesi e l’amore della storia del nostro paese debbano prevalere, sempre, su qualsiasi  posizione preconcetta e rappresentare il vero collante  nella ricerca delle nostre comuni  radici.

E, dunque, in proposito … perché non avviare, ad esempio, un dibattito costruttivo tra studiosi della materia al fine di individuare un percorso comune per “scrivere” insieme la storia delle origini di Poggio Imperiale?

 

 

(1)   Antonietta Zangardi, laureata in materie letterarie, vive a Poggio Imperiale dove ha insegnato nella locale Scuola Secondaria di I grado per trent’anni ed è stata fiduciaria e responsabile per più di quindici anni. E’ abilitata all’insegnamento di Italiano e Storia negli Istituti Superiori. Ha diretto la collana di narrativa “il piacere di leggere”. Ha pubblicato “Federico II, Terzo Vento di Soave” per adolescenti e la silloge “Sottovoce, parole e versi in libertà”.  Si è sempre attivamente interessata alla storia di Poggio Imperiale ed allo studio dei documenti.

 


18
Ago

Giacomo Fina, “Io e il Principe” Edizioni del Poggio, luglio 2012

Sabato 11 agosto 2022 Giacomo Fina ha presentato al pubblico la sua ultima opera, presso i locali della Scuola Elementare di via Oberdan di Poggio Imperiale.

Io e il Principe

Dialogo surreale con Don Placido Imperiale

e

Alcune Stelle filanti

Edizioni del Poggio, luglio 2002

Un romanzo … in versi e poi alcune poesie, che l’Autore definisce “Stelle Filanti”.

Una lettura piacevole, veloce, dilettevole ed intensa al tempo stesso.

Una finestra aperta sulla storia,  tradizioni, usi e costumi di Poggio Imperiale; l’amore per il suo paese natìo ed i giudizi a ruota libera sui personaggi, fatti ed eventi che si sono succeduti nell’arco degli anni.

E, tutto questo, attraverso un immaginario dialogo con Don Placido, il Principe Placido Imperiale, insigne fondatore di Poggio Imperiale.

Un dialogo surreale dal quale traspare tutta la profondità interiore dell’Autore, che sfiora tematiche importanti quali la morte, ma anche il trionfo della vita su di essa. E trapela  l’impotenza e la sofferenza di un padre di fronte alla morte del proprio figlio.

Un Giacomo Fina che dimostra di essere ulteriormente maturato nello stile e nell’espressione poetica.

“Girati papà…girati…

anche se tu non mi potrai vedere.

Io sono in questa accartocciata foglia

di magnolia, portata dal buon vento

nel prato, tra queste giovani palme.

Una foglia di magnolia, volata

da quell’albero sofferente sotto

la nostra vecchia, bella e cara casa.

Papà, ricordi quella triste notte

che, rientrato tardi, battevo forte

i piedi sul selciato del mulino,

per sollecitare la tua attenzione

e tu non mi hai capito

lasciandomi fuori sino al mattino?

Io, io non sono stato bravo con te,

ma senza te io ero sempre più solo.

E la mamma tra noi due, a soffrire

nel mezzo, mentre l’infame destino

afferrava

e soffocava il mio fragile cuore.

Ma ora non straziarti papà…

a nulla serve. Io mi trovo quassù

in un mondo senza spazio né tempo,

rasserenato e senza sofferenza.

Io nutro una fiduciosa speranza

che ci riabbracceremo, chissà quando.

La morte tutto falcia, non la memoria.

Io vi seguo e vi voglio un gran bene.

Non piangere papà…basta, basta ora.

Hai evocato la voce del vento

Per ascoltare il mio dolce respiro…

qualcuno quassù ti ha assecondato.

Porta il mio bacio alla mamma e a Michela,

e alla sua splendida famiglia.

Ciao papà!

La vita continua. E il vento se ne va”.

[Stralcio da “Io e il Principe” di G. Fina, Edizioni del Poggio, luglio 2012]

 

Relatrice della presentazione del nuovo libro di Giacomo Fina è stata la Prof.ssa Maria Rosaria Matrella, Docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Foggia, che ha sapientemente inquadrato il pensiero e l’opera dell’Autore con un intervento culturale di alto profilo.

L’attore e regista teatrale Fabio Gemo ha egregiamente declamato i versi dell’Autore, entusiasmando i presenti con la sua calda e possente voce.

 

 

 


14
Ago

La Cattedrale di Foggia, ieri la riapertura … per soli tre giorni!

Ieri mattina alle 9, 30 il portone di ingresso della Cattedrale di Foggia ha riaperto i battenti  in onore della Madonna dei Sette Veli, patrona della città, i cui festeggiamenti  ricadono proprio in questi  giorni.

La Basilica eretta nel 1172 ha spalancato nuovamente le sue porte al pubblico dopo ben sette lunghi anni di chiusura, complessivamente,  durante i quali è stata oggetto di delicati interventi di restauro e di messa in sicurezza.

L’ultima chiusura in ordine di tempo si protraeva da 670 giorni.

I Foggiani e i turisti potranno tuttavia ammirare la parte della Cattedrale già  restaurata solo nei  i giorni 13, 14 e 15 agosto, poi ancora una breve chiusura di un paio di mesi per il completamento del restauro dell’altare maggiore e dell’organo, prima di essere definitivamente restituita agli splendori di un tempo.

Due anni, questi ultimi, di accurati lavori per curare le “gravi ferite” di cui il complesso monumentale religioso soffriva, per una spesa di 5 milioni e 200 mila euro.

Il lavoro più significativo ha riguardato il tetto, le capriate e la lanterna. Recuperati marmi, colori e dettagli architettonici  non  più visibili da tempo.

Ieri mattina, io e mia moglie siamo stati tra i primi visitatori a varcare la soglia della Basilica, riscontrando una discreta presenza di fedeli, curiosi e famiglie.

L’apertura di questi giorni, seppur limitata nel tempo, offre l’occasione per mostrare al pubblico lo stato dei lavori – radicali e necessari – che hanno interessato nella quasi totalità il Duomo dedicato alla Beata Vergine Maria Assunta in cielo, importante esempio del romanico di Capitanata ma che nel corso dei secoli è stato più volte rimaneggiato (nel Seicento e nel Settecento) e restaurato, anche se – per restituire completamente la Cattedrale alla collettività – sarà necessario attendere altri due mesi: il tempo necessario per completare gli ultimi interventi nell’area absidale (l’unica zona interna ancora nascosta da ponteggi). Dinanzi al telo che nasconde l’abside è stato installato un maxi-schermo che proietta le schede tecniche dei vari interventi pianificati per la Chiesa foggiana e le immagini che testimoniano le varie fasi di avanzamento dei lavori.

I lavori di restauro, sono quasi del tutto terminati: il cantiere esterno è stato ormai smantellato lasciando a vista la preziosa scatola muraria che ne conserva i caratteri medievali. In dirittura d’arrivo anche il completamento del restauro interno della Basilica che oggi si presenta con un’unica navata voltata a botte, con cappelle laterali e una cupola all’incrocio.


20
Lug

Lo “spread” si combatte con le “eccellenze”!

Contratto con Israele per 30 aerei, un successo per la tecnica italiana.

Israele ha assegnato oggi all’Alenia un contratto per 30 veivoli da addestramento M 346 per circa un miliardo di dollari: una splendida notizia per l’industria italiana, questa, riportata oggi dai mezzi di informazione.

Porteremo l’alta velocità in USA e in Russia.

Le Ferrovie dello Stato Italiane sono i leader mondiali nella realizzazione dell’alta velocita’ e ora puntano su grandi commesse oltre confine a cominciare da Russia e Stati Uniti: è quanto sostiene oggi Mauro Moretti, l’Amministratore Delegato del Gruppo F.S, in una nota diffusa dai mezzi di informazione.

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E’ molto improbabile che i mercati possano essere “governati” dalle legislazioni dei singoli stati;  sono sempre le “piazze” che condizionano, influenzano, frenano, soffocano e reprimono i mercati.

Soprattutto oggi, in presenza di sistemi sempre più sofisticati.

E lo “spread”[1] si allarga liberamente ed inesorabilmente, in barba a tutti gli accordi tra gli Stati della Zona Euro, del G8, del G20 e alle profezie dei più accreditati esperti di economia, in uno scenario che comincia a destare serie preoccupazioni anche all’Italia, dopo la Grecia e la Spagna.

Anche i tagli alla spesa pubblica (in verità più annunciati che praticati) e  le sempre maggiori imposizioni fiscali, non sembrano arrestare l’ondata di recessione in atto.

Siamo sotto scacco, non esportiamo più come una volta e molte delle nostre aziende stanno chiudendo i battenti, con un livello di disoccupazione inverosimile.

Abbiamo permesso la delocalizzazione di molte delle nostre produzioni in paesi meno sviluppati del nostro e con un costo della manodopera più basso, favorendo esclusivamente l’arricchimento individuale dei singoli imprenditori a discapito, peraltro, della qualità della merce prodotta e quindi del Made in Italy.

In Italia eravamo i primi, se non gli unici, in tante cose, ma col tempo abbiamo finito col farci superare anche dagli indiani, dai cinesi e da altri paesi che manco immaginavamo.

Al momento, forse la moda italiana nel mondo ci restituisce ancora un briciolo di visibilità. Ma ancora per poco. Già Valentino, il grande Valentino della moda italiana, ha ceduto la griffe a Mayhoola, società vicina ai reali del Qatar e, dunque, un altro simbolo del Made in Italy sta per “emigrare” in terra araba.

Oggi come oggi occorre accettare la sfida in un mondo sempre più globalizzato che richiede i prodotti migliori a prezzi più competitivi.

Dobbiamo fare le cose che siamo capaci di fare bene, solo noi, e impegnarci a farle sempre meglio, qui, a casa nostra, in Italia. Ed esportare all’estero non solo e nostri prodotti di eccellenza, ma anche il nostro ingegno, la nostra competenza, la progettualità per la realizzazione in altri paesi di opere infrastrutturali ed altro ancora.

Se in uno Stato mancano le innovazioni, la competizione, la qualità e soprattutto le eccellenze, non c’è verso di competere in un mercato mondiale dove si trova ormai di tutto ed anche a prezzi stracciati.

Ma, grazie a Dio, di eccellenze in Italia ne abbiamo, ne abbiamo e come!

E  Mauro Moretti delle Ferrovie Italiane tiene molto a sottolineare come lo “spread” positivo del nostro sistema manifatturiero venga di fatto vanificato dello “spread” finanziario negativo che penalizza il nostro Paese.

“Noi siamo i migliori al mondo: nella valutazione del Financial Time, siamo migliori di Francia e Germania e, su questa base, stiamo cercando di fare in modo che un pezzo importante dell’economia italiana vada in giro per il mondo” – afferma Moretti.

“Invece di guardare agli spread finanziari negativi” – questo l’appello di Moretti – “guardiamo agli spread positivi della nostra economia reale”, e ricordando che il Presidente del Consiglio Mario Monti si rechera’ in Russia lunedi’ prossimo, ha comunicato di aver chiesto al Premier di “esporre” l’interesse italiano per l’alta velocita’ .

“In Russia” – ha riferito Moretti – “vogliono fare una linea ad alta velocita’ Mosca-San Pietroburgo, un’opera stimata in 35 miliardi di dollari e la Mosca-Kazan che vale altri 45 miliardi di dollari, ma per raggiungere questi obiettivi occorre prima di tutto mettere a punto dei “team” italiani per entrare nelle gare per i grandi appalti”.

Speriamo bene!



[1] Nel caso dei titoli di Stato rappresenta la differenza tra il tasso di rendimento di un’obbligazione governativa italiana, come il Btp, e il corrispettivo tedesco, il cosiddetto Bund.

 


18
Lug

Venezia, il Ponte di Calatrava

In visita a Venezia, sicuramente merita di essere osservato e soprattutto percorso il nuovo ponte della Costituzione, meglio conosciuto come ponte di Calatrava.

Si tratta del nuovo ponte che attraversa il Canal Grande di Venezia fra piazzale Roma e la stazione ferroviaria Venezia Santa Lucia.

Il ponte è stato aperto al traffico pedonale la notte dell’11 settembre 2008. In fase di progetto esso venne anche provvisoriamente denominato “Quarto ponte sul Canal Grande”.

L’appellativo di Calatrava corrisponde al nome dell’architetto Santiago Calatrava[1] che lo ha progettato.

Il ponte si prospetta in una forma arcuata con una campata di 81 metri, larghezza di 6 metri alla base e 9 al centro per un’altezza di 10 metri al culmine; la struttura è in acciaio, i pavimenti in vetro della Saint Gobain, pietra d’Istria e Trachite Grigia Classica di Montemerlo. Anche i parapetti sono in vetro, con corrimano in ottone. All’interno dei corrimano sono installate lampadine a led che dissipano il raggio di luce nei parapetti in vetro.

A partire dagli scalini esso è in effetti lungo ben 94 metri e la sua la larghezza varia da 5,58 metri fino a 9,38 metri nella parte centrale. L’altezza varia da 3,20 metri sulle sponde fino a 9,28 metri nella parte centrale. L’arco centrale è in acciaio e elemento strutturale del ponte ha un raggio di 180 metri.

Fino al 1850 il Canal Grande era oltrepassato solamente dal ponte di Rialto: nel giro di dieci anni gli austriaci realizzarono due ponti in ferro, uno davanti alle Gallerie dell’Accademia e uno di fronte alla stazione ferroviaria, definiti entrambi dai veneziani “orridi bislunghi” per la forma che li caratterizzava. I due ponti in ghisa, oltre ad essere notevolmente deteriorati dal salso, condizionavano eccessivamente la navigazione sul canal grande, così furono entrambi sostituiti tra il 1934 e il 1938, rispettivamente dal ponte provvisorio in legno all’Accademia e dal ponte degli Scalzi realizzato interamente in pietra d’Istria, entrambi su progetto dell’ingegnere Eugenio Miozzi (1889-1979), all’epoca a capo della direzione lavori e servizi pubblici del Comune di Venezia.

Nel tempo, l’eccezionale sviluppo del turismo internazionale ha condotto spesso l’attenzione sul centro lagunare da parte dei più noti e famosi progettisti: si sono così interessati alla progettazione nella città lagunare (senza che alcunché sia mai andato in porto) Le Corbusier, Louis Kahn, Frank Lloyd Wright e più recentemente Alvaro Siza.

Nel 1997 il famoso architetto scultore ed ingegnere Santiago Calatrava regalò alla città di Venezia il progetto esecutivo per un quarto ponte sul Canal Grande di collegamento tra l’area di arrivo a Venezia (piazzale Roma) e la zona della stazione di Santa Lucia. Calatrava è autore di altri ponti famosi, come ad esempio il puente de la Mujer di Buenos Aires, il puente del Alamillo sul Guadalquivir e l’Oberbaumbrücke di Berlino.

A Venezia ci sono nientemeno che 354 fra ponti e ponticelli, ma solo quattro di essi consentono l’attraversamento del Canal Grande, che rappresenta per la città lagunare, un enorme spartiacque: il  nuovo Ponte della Costituzione (o Calatrava), il Ponte degli Scalzi, il bellissimo Ponte di Rialto, che è peraltro il più famoso e antico quanto il canale stesso, ed infine il Ponte dell’Accademia.

Però, va da sé che Venezia è anche altro, soprattutto altro, e quindi la visita al nuovo ponte della Costituzione sul Canal Grande progettato da Santiago Calatrava, sebbene importante sotto il profilo dell’interesse architettonico, non può ( e non deve) precludere la contemplazione di tutte le esclusive bellezze naturali e storico – architettoniche che solo Venezia può offrire.



[1] Santiago Calatrava Valls, nato a Beninanet nei pressi di Valencia il 28 luglio 1951 , è un architetto, ingegnere e scultore spagnolo.

 


7
Lug

Premio Nazionale Spiga d’Oro 2012

 Il 15 luglio a Poggio Imperiale la quinta edizione del Premio Nazionale Spiga d’Oro, organizzata dall’Associazione Culturale Terra Nostra Onlus in collaborazione con la Regione Puglia, Provincia di Foggia e Comune di Poggio Imperiale.

Puntualmente, anche quest’anno, i riflettori si accenderanno sulla piazza Imperiale della nostra cittadina per l’attesa manifestazione, che sta riscuotendo negli anni sempre maggiore consenso.

Domenica 15 luglio alle ore 21, dunque, “La Notte delle Spighe” con la consegna dei prestigiosi premi, nella cornice di uno straordinario spettacolo che vedrà la presenza di numerosi artisti, tra cui Ivan Cattaneo.

All’on. Vladimir Luxuria il Premio Nazionale Spiga d’Oro

A Franco Dell’Erba il Premio Spiga d’Oro Capitanata

A Nico Zangardi il Premio Spiga d’Argento Terra Nostra

La manifestazione sarà anticipata, la sera precedente,  da una serata speciale dedicata ai  prodotti tipici di Puglia,  tra stands gastronomici e mercatino dell’usato e dell’artigianato, accompagnata da un interessante concerto musicale.

 

 

 

 

 


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