In genere, a Tarranòve, si diceva: “ ‘dduwenà a venture” (1), che alla lettera significa “indovinare la sorte”, predire il futuro. Nel termine ‘dduwenà (indovinare), che si legge ‘dduwnà, con la e muta, è presente la w (doppia v) che non appartiene all’alfabeto della lingua italiana, ma che è stata inserita volutamente per ricostruire la fonetica ovvero quel particolare suono del termine dialettale, non altrimenti possibile. Un simbolo fonetico è un segno convenzionale usato per significare la descrizione articolatoria di un suono, nonché una sua approssimata collocazione in determinate classi detti foni, dal momento che nessuno è in grado di riprodurre due volte lo stesso identico suono.
Ma veniamo a noi.
Tanti anni orsono, non era insolito vedere circolare in paese forestieri muniti di una gabbietta con un pappagallo dalle piume colorate e una cassetta piena zeppa di bigliettini di tonalità diverse.
Facevano il giro di tutte le strade, avvicinando le persone che incontravano e bussando ad ogni singola porta di casa, per offrire a tutti il loro speciale “servigio” (2).
Ed era un “servigio” che evidentemente doveva rendere a sufficienza, considerata la fatica che essi erano costretti ad affrontare, trasferendosi di paese in paese a piedi o con mezzi di fortuna.
In effetti, un po’ di superstizione è sempre aleggiata tra la gente, soprattutto tra le classi meno abbienti, e non solo; la differenza era nel fatto che le persone più colte e quelle con maggiori disponibilità non lo esternavano pubblicamente, così come non lo faceva il clero.
E, quindi, ognuno si fermava per strada o apriva il proprio uscio di casa per far entrare ed accogliere il forestiero di turno, che arrivava attrezzato con gabbia, pappagallo e cassetta.
Ma cosa c’era di tanto prezioso in quelle cassette?
E cosa c’era scritto in quei bigliettini colorati?
Alla singola richiesta, “u ‘dduwenatore”, il “divinatore” (3), l’indovina venture, chiedeva immediatamente all’interessato/a se fosse ammogliato/maritata e quindi apriva il cassetto dei bigliettini e subito dopo tirava su lo sportellino della gabbietta, solleticando il collo del pappagallo, il quale andava a pescare, a caso, uno dei tanti bigliettini variopinti, detti “pianeti della fortuna” (in dialetto: “a pianete”).
Erano momenti di indescrivibile esaltazione, che a volte sfociava in un vero e proprio fanatismo.
Per ciascuno/a veniva fuori una previsione che, a ben vedere, corrispondeva con le proprie aspettative e quindi i celibi e le nubili si sarebbero presto sposati, gli uomini sposati e le donne maritate avrebbero messo al mondo dei figli, i senza lavoro avrebbero presto trovato occupazione e chi versava in condizioni di disagio (economico od altro), presto avrebbe visto schiarirsi all’orizzonte la fine di tale situazione con l’arrivo di denaro e tanta buona salute.
Il tutto infarcito di proverbi, frasi fatte e numeri da giocare al Lotto, rispettando – alla grande – la scuola divinatoria dell’antica Sibilla: “andrai in guerra morirai non tornerai” (4).
E si pagava in denaro, ma anche in natura, offrendo olio, vino, salsicce, soppressate, ceci e fagioli secchi, olive sotto sale e in salamoia, fichi secchi normali o farciti con la mandorla, ma anche uova, pagnotte di pane e, a seconda delle stagioni e delle ricorrenze, taralli, tarallucci, poccellati, nevole, scarpelle, ed altro.
Un esempio di un bigliettino per “uomo” e “ammogliato”, di colore “arancione”:
“IL PIANETA vi dice il vero: “Se una cosa vi va male, un’altra subito dopo non mancherà di andare bene: Sapete quel proverbio che avverte: “Il mondo è fatto a scale, chi le scende e chi le sale”? Ebbene questo proverbio si addice magnificamente a voi! Se altri attualmente stanno in cima, verrà anche il vostro turno per arrivare in alto. Ricchezze, onori, amore, proprio tutto quello che volete, non mancherà al più presto possibile di venire incontro alla vostra persona… il vostro nobilissimo spirito dimenticherà i torti e le offese ricevute e colmerà di bene anche chi vi ha fatto coscientemente tanto e tanto male. Ciò sarà un altro vostro pregio, proprio come si legge nel Vangelo che “la migliore vendetta è il perdono”. LOTTO. Il 5 e il 21 fanno insieme un bell’ambo ma, uniti al 71 sono il terno miglior. TOTOCALCIO. In dose quasi uguale mettendo l’uno e il pari col due, ch’è più fatale, la scheda vincerà: 1 X 1 2 X 1 1 X 2 X 2 1 2”
I foglietti, che diventavano veri e propri cimeli storici, erano un po’ come gli almanacchi di “Barbanera”, ai quali la credenza popolare attribuiva poteri divinatori di grande rilievo:
Gli astri, il sole ed ogni sfera
Or misura Barbanera.
Per potere altrui predire
Tutto quel che ha da venire.
Filastrocca che appariva accanto al titolo dell’almanacco popolare.
Con qualche soldo o con una modesta regalia, il foglietto ti dava informazioni quasi esaustive sul tuo futuro, sulla tua nobiltà d’animo e sulle tue virtù, non solo, ma ti offriva pure ambate, terni e colonne vincenti per farti diventare ricco sfondato.
A Tarranòve, “i ‘dduwenature” (così si dice al plurale, mentre al singolare: “u ‘dduwenatore”) arrivavano con una certa frequenza; facevano puntualmente la loro ricomparsa soprattutto in occasione delle feste più importanti e stazionavano in piazza vicino all’ingresso della Chiesa di San Placido Martire o anche davanti ai bar, tentando di convincere giovanotti e ragazzi, con l’illusione che su quel fatidico foglietto, tirato fuori a metà dal pappagallo, c’era stampato il loro futuro e la loro fortuna. Tanto insistevano e tanto erano colorati e allettanti quegli arcani foglietti che alla fine il pappagallo, a comando, andava a beccare e a tirare fuori il bigliettino secondo l’età, il sesso e lo stato civile. E, con pochi spiccioli, venivano alimentate la speranza e l’illusione di un futuro roseo in tutti i campi: amore, ricchezza, lavoro.
Ma forse il trucco non è era poi così difficile da scoprire. I pappagalli erano ammaestrati e, a seconda del tipo di solletico che veniva praticato sotto il loro collo, essi andavano a beccare il foglietto nel reparto giusto (uomo, donna, celibe, nubile, ammogliato, maritata).
Anche a molti dei nostri compaesani del passato, così come accadeva in tanti altri luoghi di un tempo, è forse stata “indovinata la ventura” da uno di questi “foglietti- pianeti coloratissimi”, che è loro capitato di prendere dal becco di un pappagallo portato in giro in una gabbietta da qualche ‘dduwenatore di passaggio. Questi “foglietti” rappresentavano una sorta di miraggio rispetto alla meta cui le classi meno abbienti riservatamente aspiravano, e l’oracolo in essi racchiuso riusciva a mitigare le sofferenze e le privazioni, protraendo nel tempo la loro segreta speranza. Ai poveri e agli sfruttati, infatti, altro non restava che vedere realizzata la loro aspirazione al benessere e alla giustizia sociale solo attraverso la rappresentazione del sogno attraverso una illustrazione fantastica.
Note:
(1) Ventùra, termine arcaico per indicare sorte, destino; “sperare nella ventura”: sperare nella buona sorte, fortuna, ecc.
(2) Servigio, termine arcaico, per indicare un atto generoso e disinteressato con cui si opera a favore di persone, gruppi, istituzioni ( esempio: mi hai reso un grande servigio).
(3) Divinatore/trice, dal latino tardo “divinatōre(m)”, che, chi divina; indovino.
(4) Si tratta di un classico esempio divinatorio; un frase che, a seconda della collocazione della virgola, può dare significati diversi.
– 1° esempio: “Andrai in guerra, morirai, non tornerai” = vuol dire che il tizio morirà in guerra e non farà più ritorno a casa.
– 2° esempio: “Andrai in guerra, morirai non, tornerai = vuol dire che il tizio non morirà in guerra e che quindi tornerà a casa.
La Sibilla, tra i fumi dell’incenso nella semioscurità della sua grotta, farneticava, sentenziava, vaneggiava, diceva e non diceva ed ognuno traeva dall’oracolo considerazioni più o meno propizie. E, quindi, allorchè gli eventi si presentavano poi con effetti negativi, la colpa non era mai da attribuire alla Sibilla, ma al fatto che non erano stati in grado di interpretare l’oracolo.