20
Feb

La singolarità dei numeri … raccontata da un vecchio brontolone!

Si è appena concluso il Festival di Sanremo e, sulla base “dei numeri”, si stanno già facendo programmi per il prossimo anno e, dunque, ancora Carlo Conti, perché “cavallo vincente non si cambia”. Onestamente, non ho seguito (o meglio: non ho avuto nè la voglia nè la pazienza di seguire) per cinque serate di seguito una esibizione dell’effimero, patinata da grande rappresentazione artistica. Denaro pubblico che si spende e si spande, quando c’è gente che non riesce a far quadrare i conti (quelli con la “c” minuscola che nulla hanno a che vedere con le “C” maiuscole di Carlo Conti) della propria famiglia ed arrivare a fine mese. E in questi giorni si sta parlando di mettere mano anche alle pensioni di reversibilità … siamo davvero arrivati alla frutta.

I numeri che contano oggi, a quanto pare, sono solo quelli dell’audience televisiva; una formula che viene applicata comunemente, ad ogni pie’ sospinto, non solo alla programmazione televisiva in genere, ma che sta invadendo i campi più svariati della vita quotidiana del cittadino. Un vero rischio di invasione di campo. Anche perché, a ben vedere, dietro questo moderno strumento (di conta delle pecore), in realtà si potrebbe celare un insidioso, subdolo e ingannevole marchingegno manovrato ad arte da mani e menti … che la sanno lunga … al solo scopo di incidere sulle scelte, i gusti, gli orientamenti della gente. E non stiamo qui mica a parlare solo della “Nutella”, come direbbe il Crozza/Bersani.

I numeri, sempre i numeri!

Mi aveva sempre incuriosito il perché dei francesi indicassero il numero 80 con “quatre-vingts”, che tradotto in lingua italiana significa “quattro volte venti”, circostanza più unica che rara nei sistemi di numerazione correnti nel mondo. L’avevo chiesto in più occasioni anche direttamente a qualche francese, per i quali è così naturale pronunciare il loro “quatre-vingts”, senza poi parlare del “quatre-vingt-dix” (quattro volte venti e dieci, per indicare 90), senza riuscire tuttavia ad ottenere una risposta convincente o che, per lo meno, mi fornisse una qualche indicazione plausibile.

Trovai in seguito riscontro nella storia dell’origine dei numeri, che mi offrì l’illuminazione necessaria per capire, e fu così che il rebus venne immediatamente risolto, scoprendo in maniera semplice e a dir poco scontata che si trattava di una cosa naturale risalente … al tempo dei tempi!

Molto semplice: la numerazione francese è rimasta influenzata da quella celtica ove i conteggi erano “a venti” e, dunque, la Francia conserva il modo di indicare i numeri di quell’antica popolazione (quatre-vingts, quattro volte venti).

Si potrebbe azzardare l’ipotesi che il metodo del contare sia nato per caso ed in maniera del tutto naturale. Il nostro sistema di numerazione, che usiamo abitualmente, è quello decimale, vale a dire che noi contiamo e scriviamo i numeri per decine, ma non tutti i popoli adottano o hanno sempre adottato lo stesso metodo.

Esistono correnti di pensiero secondo cui l’uomo primitivo, per contare, potrebbe essersi servito di parti del proprio corpo e, in particolare, delle mani e delle relative dita. Tutti abbiamo sperimentato che il modo più naturale di contare è quello di chiudere una mano a pugno e quindi sollevare un dito per volta in corrispondenza di ogni oggetto dell’insieme che si vuol contare (magari con qualche piccola differenza: noi, ad esempio, cominciamo dal pollice e poi man mano scendiamo verso l’indice, il medio e così via, mentre negli Stati Uniti cominciano dal mignolo e salgono poi verso l’anulare, il medio, ecc.). Dette convinzioni si basano anche sul fatto che presso alcune popolazioni si riscontrano conteggi e registrazioni dei numeri basati sulle dita di una sola mano (sistema di numerazione «quinario»), o sulle venti dita complessive delle mani e dei piedi (sistema di numerazione «vigesimale»). La numerazione celtica era una numerazione a “base venti” e i francesi, a quanto pare, conservano tale  modo di indicare alcuni dei loro numeri. Esistono comunque altre basi di numerazione che non derivano dall’anatomia del corpo umano, ma dall’astronomia, come le numerazioni per dozzine o per sessantine, che si usano ad esempio quando si conteggia il tempo, dove, come tutti sappiamo, sessanta secondi sono un minuto e sessanta minuti un’ora e dove un giorno consta di ventiquattro ore ed un anno di dodici mesi.

Ricordo, da ragazzo, che al mio paese di origine (Poggio Imperiale, in provincia di Foggia, detto anche “Tarranòve”) le uova venivano vendute per “coppie”: una coppia = 1 [dàmme ‘na cocchij-a-d’òve]; i volatili per “pariglie”, costituite da 2 uccelli (tarragnòle, sturne, ecc.) cadauna: una pariglia = 1 [dal fr. pareille, pari, uguale, coppia di cose uguali e da qui sparigliare, per dire scompaginare]; molti prodotti (fichi d’india, uova, fazzoletti, strofinacci, bicchieri, ecc.) per “dozzina”, costituita da 12 pezzi: una dozzina = 1 [per indicare 6 pezzi suoleva dirsi ½ dozzina mentre, per 24 pezzi, 2 dozzine, ecc.]; altra merce, soprattutto alimentare, per “quinti”, corrispondenti a 200 grammi (oggi ragioniamo invece per “etti”, corrispondenti a 100 grammi): un quinto = 1 [e, così, si chiedevano “mèze quinde, ‘nu quinde, duije quinde”, ecc. di acciughe salate, mortadella, ecc.].

Il mondo dei numeri è così variegato, ma certamente indispensabile per l’umanità, che ha cominciato a contare sin dai suoi primordi, per necessità di sopravvivenza prima e per dare un senso concreto alla propria esistenza nel prosieguo del tempo. Misurare il tempo della notte e dell’oscurità che incuteva paura, fino al sorgere del nuovo giorno, e poi misurare il giorno per calcolare il tempo di luce a disposizione prima di poter trovare un rifugio sicuro per la notte successiva. Misurare le distanze e prendere conoscenza dei pesi, intendere le misure delle altezze e delle profondità e intuire il passare del tempo e degli anni della vita fino alla morte.

L’importanza dei numeri: di quelli grandi, ma anche di quelli piccoli.

Forse però col tempo l’uomo ha cominciato a dare maggiore rilievo ai grandi numeri, alle statistiche, alle cifre con tanti zeri, a guisa che un fatto diviene suscettibile di attenzione collettiva solo se riguarda la pluralità dei consociati, trascurando i piccoli numeri, i singoli eventi della quotidianità, che non di meno maggiormente attengono alla sensibilità delle persone.

E, allora, ecco che un anziano resta solo e abbandonato e viene trovato morto in casa dopo settimane (o anche mesi) senza che qualcuno si sia minimamente preoccupato di cercarlo, mentre in televisione e sui giornali si parla di cani e gatti abbandonati e dell’esigenza di legiferare adeguatamente al riguardo, condannando pesantemente i soggetti che si rendono artefici di siffatte nefandezze, pur riconoscendo – s’intende – a favore di questi e di tutti gli animali in genere il sacrosanto diritto di assoluta tutela.

Ma di tanti altri episodi si potrebbe far cenno, senza tuttavia voler minimamente enfatizzare i fenomeni né  promuovere crociate di sorta.

In tempo di pace e in tempo di guerra le cose non cambiano, i grandi numeri la fanno sempre da padrone: è così, punto e basta.

Eroi per caso!

Addirittura i processi – altro esempio –  si svolgono nei “talk show” televisivi dove ognuno degli intervenuti può dire liberamente la sua (e ognuno cerca, non di rado, di spararla sempre più grossa pur di mettersi in mostra, ma anche per incrementare l’audience e far quindi piacere allo sponsor di turno), sulla base delle proprie sensazioni ed in barba ai principi che regolano la materia di cui si sta discutendo, con il rischio di manipolare ed orientare in tal modo l’opinione pubblica attraverso quel potente mezzo di diffusione che è la televisione, fatta esclusivamente di grandi numeri. Ed è così che anche le sentenze sembrano, a volte, emesse sulla scia di processi indiziari, senza prove certe e riscontri oggettivi, forse per tener conto anche della “tendenza” che si è andata formando nel corso delle trasmissioni televisive (tipo: Porta a porta, Quarto grado, ecc.).

Compi una “buona azione” da libro Cuore … morendo magari affogato nel mentre tenti di salvare uno sconosciuto che si è tuffato in acqua, durante le tue vacanze estive, oppure spiaccicato sulle strisce pedonali nel mentre aiuti una vecchina ad attraversare la strada: ordinaria amministrazione!

Hai trucidato, in complicità con il tuo ragazzo i tuoi genitori, oppure hai barbaramente ammazzato il tuo bambino … diventi subito un’eroina da prima pagina, e tutti sono autorizzati a parlarne e ad esprimere la loro opinione al riguardo, da competente in materia ma anche da meno competente. E, così, anche i gravi problemi che attanagliano giornalmente la vita del cittadino, con riguardo all’economia, la politica, la sanità e quant’altro, passano in second’ordine, con la buona pace di tutti.

Il mondo è solo un insieme di gabbie, piccole e grandi, non c’è altra dinamica che quella del potere degli uni sugli altri e l’unica legge è quella della forza (e, dunque, dei numeri … anche in gergo solitamente si dice:” il tizio ha i numeri per farcela” oppure “il caio non ha i numeri ….”).

E se provassimo invece ad agire inseguendo il buon senso e non solo il consenso, ritornando magari a dire “pane al pane e vino al vino”?

Troppo complicato: sarebbe come privare le cose della loro dimensione, conseguenza delle tendenze, modi di vedere e di pensare del momento, originata soprattutto dall’uso dei numeri (audience, consensi, statistiche, ecc.). In tal caso, si dovrebbe poi dire, ad esempio, che i cosiddetti “saldi di fine stagione” rappresentano semplicemente una colossale truffa per il consumatore ed un modo subdolo per i commercianti per riesumare i loro fondi di magazzino, con ricarichi ingiustificati sui prezzi? Che molti dei cibi “spazzatura” che ci vengono proposti (e propinati) sono dannosi per la salute? Che la Sanità pubblica, i Lavori pubblici, la Pubblica Amministrazione, la Magistratura, la politica in genere … bla, bla, bla…?

La pubblicità, in tutti i sensi e in tutti i campi,  è l’anima del commercio … anche quando si mente spudoratamente!

Come sarebbe bello, invece, interagire con il proprio prossimo sempre con la sola “forza della verità”, estendendo il concetto a tutte le manifestazioni di vita quotidiana. Una meravigliosa e chiara “forza del dialogo sincero” fondato sulla “verità”, cercando di dire come stanno veramente le cose nella realtà, ammettendo non solo i propri errori, quando si sbaglia, ma anche la propria superficialità o parzialità nei giudizi espressi o nella comprensione dei problemi, laddove si continuano invece ad enfatizzare posizioni esasperate, per esclusivo tornaconto personale, di casta, di partito, anche quando tali punti di vista si palesano del tutto incoerenti e inconsistenti.

Ricordandosi sempre, comunque, che dire la verità non è affatto un segno di debolezza.

 

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Foto: numeri (da Internet)

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Foto: saldi (da Internet)

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