La Processione del Corpus Domini di domenica 22 giugno scorso a Poggio Imperiale ha rappresentato, per me e per mia moglie che viviamo nel Nord Italia da molto tempo, l’occasione per rivivere, a distanza di cinquant’anni, un momento mistico e tradizionale al tempo stesso.
E, così come allora, durante la processione serale lungo le vie del paese, si è ripresentata ai nostri occhi l’antica tradizione degli “altarini”, che ai nostri tempi venivano chiamati i “sabbul(e)ch(e)”, termine dialettale che deriva probabilmente dall’alterazione di “sepolcro”, voce popolare che indica il luogo della deposizione di Gesù dopo la sua morte.
Si tratta di “altarini” speciali approntati con i capi più belli e più preziosi, ricamati a mano, dei corredi delle nostre mamme e delle nostre nonne: “cuperte”, “apparate”, “panneggjie”, utilizzati eccezionalmente, solo nelle occasioni più importanti della loro vita.
I “sabbul(e)ch(e) vengono allestiti in case private ubicate al piano terra lungo il percorso della processione del Corpus Domini, mentre dai sovrastanti balconi addobbati con drappi e coperte, vengono sparsi petali profumati di fiori variopinti.
Questo è uno scorcio di Poggio Imperiale, il nostro paese natìo, che raccolto in preghiera celebra la festività del Corpus Domini (espressione latina che indica il Corpo del Signore), chiamata più propriamente solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, e che costituisce una delle principali ricorrenze dell’anno liturgico della Chiesa cattolica
Una tradizione, quella dei “sabbul(e)ch(e), che si perde nella notte dei tempi, ma che si rinnova ogni anno con tocchi di sobria novità, senza stravolgere tuttavia l’usanza e la consuetudine.
Sono diverse le località italiane ove, nel corso di ricorrenze ed eventi popolari, si incontrano e si fondono la religiosità con il folklore, miti e storia, antiche tradizioni e moderne passioni. Una di queste tradizioni popolari che si intreccia con una ricorrenza religiosa è rappresentata proprio dall’allestimento a Poggio Imperiale degli “altarini” il giorno del Corpus Domini, dove fa una breve sosta e viene esposto il Santissimo Sacramento, racchiuso nell’ostensorio e portato in processione dal sacerdote, con i paramenti sacri di rito, sotto un baldacchino sorretto da uno dei fedeli lungo tutto il percorso, accompagnato dal Sindaco con fascia tricolore, dalle autorità civili e militari e seguito da tutta la popolazione credente, in fervente orazione.
Nel corso della processione viene adorato Gesù vivo e vero presente nell’Ostia consacrata ed esposta alla pubblica devozione.
Il culto dell’adorazione del Santissimo Sacramento (Ostia consacrata) nacque in Belgio nel 1246 o 1247, quale festività della Diocesi di Liegi, ed il suo scopo era quello di celebrare la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, soprattutto come reazione alle tesi di Berengario di Tours, secondo il quale la presenza di Cristo non era reale, ma solo simbolica. Fu poi papa Urbano I che, con bolla Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264, da Orvieto dove aveva stabilito la residenza della corte pontificia (non andrà mai a Roma), estese la solennità a tutta la Chiesa universale.