14
Apr

Il profumo della primavera e della Pasqua di un tempo!

La primavera avanza e la Pasqua è ormai prossima, mancano solo pochi giorni alla fine della Quaresima.

Sembra l’annuncio di un programma televisivo!

C’è un tale clima di appiattimento dei valori, dei sentimenti e delle tradizioni, verso una globalizzazione dei modi di essere e di porsi, che non si riesce più a capire chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti.

Un tempo, in effetti, i vari passaggi, compresi quelli sopra “annunciati” erano un tantino più marcati e si percepivano già in termini di cambio climatico (si dirà … però non esistono più le mezze stagioni!), ma anche di profumi della vegetazione che si diffondeva dai campi e di odori dei cibi che caratterizzavano il particolare periodo dell’anno.

Metaforicamente parlando, dopo l’inverno freddo e buio ecco la luce e la frizzante primavera, il ritorno alla vita dopo la morte, sebbene solo apparente.

Ed anche la Quaresima, i quaranta giorni che precedevano la Pasqua, era vissuta come momento di riflessione, di preparazione e di trepida attesa.

E’ forse la nostalgia di un tempo che non c’è più che fa tornare alla mente i ricordi di un ragazzo in un paesino della Capitanata, con la sua famiglia, i suoi parenti e i suoi amici, negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale.

I riti della Settimana Santa vissuti intensamente, non da semplice “spettatore” ma da “protagonista”, da chierichetto e giovane dell’”azione cattolica”, in una cornice di partecipazione popolare fatta di semplicità, amore e carità cristiana.

E gli odori che provenivano dai forni e dalle case, ove venivano preparati i dolci pasquali, in particolare i “pucc(e)llat(e)”, una sorta di grandi trecce spalmate con il rosso d’uovo che, una volta sfornati, assumevano, maestosi, il colore del mogano; dolci che non potevano tuttavia essere toccati fino al giorno della Santa Pasqua, e solo dopo la benedizione del prete.   Ai bambini erano riservati i  “panarell(e)”,  preparati con lo stesso impasto, ma a forma di panierini con un uovo sodo intrecciato.

E, poi, il pranzo pasquale, caratterizzato dal piatto tipico denominato “brodetto”, un misto di agnello, asparagi di campo, uova e formaggio pecorino. Tutti ingredienti rigorosamente locali.

Per la raccolta degli asparagi selvatici si percorrevano chilometri tra le alture della zona fino a raggiungere il “bosco” prossimo al mare. Era una sfida che interessava tutti, grandi e piccini, e c’era sempre qualcuno che ne aveva trovati tanti e di belli, ma che non voleva rivelare il posto, tenuto gelosamente segreto.

Gli agnelli si acquistavano direttamente presso le masserie, da pastori abruzzesi, eredi e testimonianza della “transumanza” che aveva, nei tempi, caratterizzato la “mena delle pecore” dall’Abruzzo alla Puglia (per lo svernamento) e viceversa (in estate). E, dagli stessi pastori venivano acquistate anche le forme del loro squisito pecorino.

Per le uova, non c’era bisogno invece di rivolgersi ad altri, poiché quasi tutte le famiglie avevano la loro scorta di uova provenienti dalle galline allevate in proprio.

Ora, non è più così, il consumismo e la globalizzazione hanno cancellato le atmosfere di un tempo.

Una buona e serena Pasqua a tutti!

 

Foto: il “brodetto pasquale” di agnello, asparagi di campo, uova e formaggio pecorino (l.b.)


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