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Mar

La grande bellezza … ancora un Oscar al cinema italiano!

Nella notte degli Oscar 2014 di domenica scorsa, a Los Angeles negli Stati Uniti d’America, “La grande bellezza”, il film di Paolo Sorrentino, si è aggiudicato l’ambìto riconoscimento di miglior film straniero.  Ancora una volta un film italiano ha vinto il Premio Oscar, dopo le indimenticabili opere realizzate da Benigni, Salvatores, Tornatore ed altri nostri geniali connazionali. Ma soprattutto Fellini e De Sica rappresentano gli autentici geni della cinematografia italiana, che a Los Angeles di Oscar ne hanno collezionati ben quattro per ciascuno.

E, forse, per alcuni aspetti, il bravo regista italiano Paolo Sorrentino proprio a Fellini si è ispirato in questo suo ultimo e fortunato film, molto apprezzato soprattutto oltre i confini nazionali.

Si, proprio così, la critica italiana non si è dimostrata subito benevola con Sorrentino, giudicando il film una pessima scopiazzatura di Fellini “8½” e “La Dolce vita”, oltre che sconclusionato e noioso. Solo ora – ad Oscar conquistato- è venuto fuori il patriottismo, l’orgoglio nazionale e tutti inneggiano al novello eroe nostrano che aiuta l’Italia a riscattarsi, in campo internazionale, in questo particolare momento di crisi e di recessione. Un vezzo tutto italiano, come in occasione delle partite di calcio nelle competizioni internazionali; attacchi violenti ai nostri, fino alla denigrazione, che si trasformano poi in acclamazioni e delirio collettivo in caso di vittoria.

Un po’ di equilibrio in più non guasterebbe, soffermandoci  magari a valutare con maggiore obiettività e con spirito proattivo  l’impegno, lo sforzo, la volontà e l’estro profusi dagli interessati nell’affrontare progetti complessi ed originali, anche quando tali iniziative sembrano discostarsi dai modelli tradizionali.

E, in effetti, “La grande bellezza”, piaccia o non piaccia, si discosta dai film tradizionali, quasi ad apparire, almeno in prima battuta, un insieme di spezzoni di riprese cinematografiche disarticolate tra loro, alla maniera di uno spot pubblicitario piuttosto che di un film. Ma così non è, perché pian piano si delineano storie, volti, personaggi e viene fuori l’intrigante e ambiziosa trama del film.

Vengono raccontate le vicissitudini di uno scrittore e giornalista, Jep Gambardella, autore di un unico romanzo scritto una quarantina di anni prima, che ora, a 65 anni splendidamente e inutilmente portati, nel vortice della vita mondana di Roma, vede con sempre più spietata lucidità tutta la disillusione che la vita gli ha riservato. La ricetta che viene offerta – sin dall’inizio – con una citazione del poeta Céline, è quella di considerare “il viaggio che ci è dato interamente immaginario … tutto inventato” e dunque di considerare il film e la vita come nient’altro che una finzione, come un “trucco” per la sopravvivenza di un uomo che abbia perso il gusto dell’esistere.

Ma una battuta del film, enuncia: “Che cosa avete contro la nostalgia? L’unico svago che resta per chi è diffidente verso il futuro”,.

Sembrerebbe dunque che la sorte delle nostre speranze sia quella di trapassare inevitabilmente in disillusioni, fino a dire, appunto, che tutto in fondo è illusione. Ma ciò rappresenta con tutta evidenza la sconfitta delle nostre aspettative; una delusione che, in qualche modo, aveva già toccato anche Jep, nel momento di grazia della sua giovinezza, attraverso lo sguardo di una ragazza, che era stato per lui la grande promessa di una bellezza che può riempire il cuore e rispondere al suo desiderio di felicità.

Ma tante volte è per dimenticare questo sguardo, che si chiacchiera a vuoto; ed è per non ascoltare più questa urgenza del cuore che ci si agita, come i tanti personaggi del film la cui occupazione principale sembra essere quella di stordirsi per sopportare la vita, cercando così di tacitarla.

E, quando suor Maria, una Santa centenaria e un po’ grottesca fa il suo ingresso sulla scena di questo teatro di veri e propri personaggi in cerca di autore, ella non darà prescrizioni o consigli morali, ma dirà alla sua maniera che la grande bellezza può manifestarsi solo seguendo quell’incontro iniziale di grazia, che ogni uomo ha sperimentato almeno una volta nella vita, innamorandosi, e che qui riaccade nella stupefacente, surreale presenza di uno stormo di fenicotteri rosa in volo verso una qualche loro terra promessa, che sostano un momento sulla terrazza di Jep, con vista Colosseo. Perché la bellezza è grande quando ci mostra il significato ultimo per cui siamo al mondo, che possiamo ritrovare solamente nelle nostre “radici”, come dice la vegliarda (la Santa si nutre esclusivamente di radici e così spiega: “Sapete perché? Perché le radici sono importanti”.

La bellezza è il senso che ci lega a noi stessi e al mondo intero. Essa fa andare il tempo, gli dà un senso, una direzione; e senza di essa noi restiamo come condannati a “perdere il tempo”, sprecandone tutte le occasioni, per il solo motivo che esse hanno perso il loro vero motivo.

Per questo “La grande bellezza” racconta, nella forma di una finzione poetica, una storia di notevole spessore.

Per Jep, lo scopo della sua esistenza era stato quello di divenire non solo “un” mondano ma il “primo” dei mondani, come lui stesso confessa: “Quando sono arrivato a Roma, a 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che potrebbe essere definito il vortice della mondanità. Ma io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire”.

Sentiva che nella sua vita non c’era più nulla in cui credere, né qualcosa da comunicare ad altri che vivevano come lui, ai quali diceva: “Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po’ in giro”.

La povertà di contenuti che continua a scorgere in queste feste trash e volgari lo induce infine, in un momento di ebbrezza, a un’amara confessione a cuore aperto: “Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?”. Sembra il segno di un fallimento durato un’intera vita.

Ma proprio nel momento in cui le speranze sembrano abbandonarlo definitivamente, ecco che l’illuminazione arriva: dopo un incontro, spinto da Dadina (la direttrice nana del giornale per il quale egli scrive) che vuole ottenere un’intervista, con una Santa, una missionaria cattolica nel terzo mondo, Jep si reca all’Isola del Giglio per un reportage sul naufragio della nave da crociera Costa Concordia. E proprio qui, ricordandosi del suo primo incontro con Elisa, la ragazza della sua giovinezza, che si riaccende in lui un barlume di speranza: il suo prossimo romanzo è finalmente pronto per venire alla luce.

Sullo sguardo finalmente sereno di Jep, che osserva sorridente l’alba romana, si chiude il film … e scorrono i titoli di coda.

 Jep Gambardella  pronuncia nel film alcune altre frasi molto significative, tra cui:

–          A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: ‘La fessa’. Io, invece, rispondevo: ‘L’odore delle case dei vecchi’. La domanda era: ‘Che cosa ti piace di più veramente nella vita’?

–          Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jep Gambardella”.

–          “Oggi a 65 anni non ho più tempo da perdere con cose che non ho voglia di fare”.

Il personaggio di Suor Maria, la Santa.

Suor Maria, la Santa, non dorme a letto ma per terra e mangia solo radici. A questo proposito, dice: ”Sai perché mangio solo radici? Perché le radici sono importanti!”

E, dunque, “l’odore delle case dei vecchi” e “le radici” rappresentano le parole chiave del film; un film che cerca le radici di una vita e guida gli spettatori nei meandri più riposti di se stessi.

La Santa è stata portatrice di trasformazione e rinascita, una specie di angelo annunciatore di buona novella nei confronti  del protagonista … come una levatrice di conversione, di un grande cambiamento interiore.

“La grande bellezza” è un film sulla crisi di identità, sulla ricerca delle proprie radici. E la Santa apre una porta al protagonista e quindi al racconto cinematografico.

Il personaggio, seppur secondario, guida le sequenze che portano alla risoluzione del conflitto drammatico impostato fin dall’inizio. In estrema sintesi, il personaggio della Santa impreziosisce il film,  anche perché ben costruito e ottimamente interpretato.  Magistrale il soffio che fa volar via tutti gli uccelli, di cui la Santa conosceva i nomi di battesimo; lo stare tutta rattrappita, sdraiata per terra e un po’ bambina, che dondola i piedi seduta sulla grande poltrona; e l’ascesa con le ginocchia nude della Scala Santa, dove traspare la sofferenza e il dolore; ed infine il respiro pesante che risale dalle viscere, come un animale che lotta per la vita, fino alla fine.

Il film è una netta contrapposizione fra il lato storico e poetico di Roma con la sua parte più squallida, composta da personaggi dell’alta borghesia fondamentalmente tristi e annoiati che nascondono sotto una patina di volgarità e di chiacchiericcio un vuoto, che il protagonista del film inizia sempre di più a odiare, cercando dei nuovi stimoli nella propria vita e iniziando a criticare le persone che lo circondano. I personaggi rappresentati nel film spaziano da ricchi imprenditori, mogli di politici e dive in declino, mostrandoli nel loro lato più disinibito e volgare, criticando una certa parte di società e mettendola a confronto con la vera bellezza di Roma che proprio questi personaggi contribuiscono ad affossare.

Le mie personali considerazioni dopo aver visto il film.

Si diventa adulti quando si smette di fare solo le cose che ci piacciono … e non è mai troppo tardi provare a farlo.

Le radici, le proprie radici, sono imprescindilmente il punto di partenza e di arrivo di ciascuno di noi. Senza radici non ci può essere futuro e quindi anche la speranza svanisce. Un albero senza radici è destinato a seccare.

La grande bellezza è nelle cose semplici, ma il nostro pensiero è altrove, immaginiamo che il bello, il meglio sia sempre in altri lidi e non sappiamo riconoscere le opportunità che ci vengono offerte.

 L’articolo rappresenta la sintesi di critiche, analisi e servizi tratti da giornali, riviste e vari siti internet.

Foto di repertorio da sito internet.


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