Il 22 novembre 1963 avevo diciotto anni e mezzo ed ero grande abbastanza per comprendere ed emozionarmi, insieme alla moltitudine delle popolazioni del mondo dell’epoca, per un evento tragico e sconvolgente al tempo stesso, che si era consumato a migliaia di chilometri dal mio paesello.
Ci piaceva molto questo nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, era giovane, un po’ stravagante, con una bellissima moglie e dei bambini che gli giravano intorno, a volte anche nei momenti più formali dei suoi incarichi istituzionali.
Proprio il contrario dei nostri “vecchi bacucchi” politici italiani del dopoguerra, che ci davano il senso di puro formalismo (probabilmente solo di facciata) e di una distanza abissale dal popolo che li aveva pur eletti e grazie al quale potevano sedere in Parlamento.
L’eco che la tragedia di Dallas propagò nel mondo fu di un effetto colossale, grazie anche alle immagini trasmesse dalla “televisione”, che proprio in quegli anni cominciava a prendere consistenza.
A memoria, forse fu proprio l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy il primo grande evento divulgato in diretta televisiva.
Restammo tutti sbigottiti per la gravità e la temerarietà di quanto accaduto.
Avevano ammazzato nientemeno che il Presidente degli Stati Uniti, la nazione più forte in assoluto del mondo, la più evoluta, la più organizzata e la più protetta da una rete invidiabile di servizi (segreti o meno che fossero).
Ma c’era anche di mezzo una questione di natura più sentimentale: quel giovane Presidente aveva comunque fatto breccia nel cuore di molta gente non solo nel suo Paese ma in molte parti del mondo, Italia compresa (antiamericanisti senza se e senza ma, a parte).
Avrà anch’egli avuto i suoi difetti, tant’è che in questi cinquant’anni la sua vita è stata rivoltata veramente come un calzino. Dalla sua vita mondana (in primis, la leggenda dei suoi amori con l’attrice Marilyn Monroe, la cui morte resta ancora avvolta in un velo di mistero), alla natura delle attività – si dice fossero poco lecite – della sua famiglia di origine; tutti alla ricerca di scoop.
Ma, al di là della buona o della cattiva sorte, tutti hanno poi alla fine, nel bene o anche nel male, contribuito a creare il mito John Fitzgerald Kennedy, di cui a cinquant’anni dalla sua morte ancora viva è la sua presenza.
Ho voluto anch’io, come tanti, far visita alla sua tomba presso il Cimitero di Arlington a Washington, in primavera del 2009, in compagnia di mia moglie.
Una semplice pietra con la sola incisione di una croce, del suo nome e di due date: 1917 e 1963.
Un Cimitero, quello di Arlington a Washington, di una semplicità unica e di una maestosità senza paragoni nel contempo.
Immensi prati verdi ben rasati e semplici lapidi bianche perfettamente allineate … niente altro.
Eppure, in quel silenzio, nel mentre effettui la tua visita, avverti una sensazione straordinaria: ti pare di percepire lo spirito degli eroi e dei grandi personaggi che hanno fatto la storia dell’America, che aleggia nell’aria e ti avvolge in un grande abbraccio.