In mostra a Milano in questi giorni, nella Sala Alessi di Palazzo Marino, la “Conversione di Saulo” (San Paolo) di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio della Collezione Odescalchi; un evento straordinario e di sicuro interesse culturale per la portata storica che esso rappresenta.
Ho avuto ieri mattina l’opportunità di ammirare, nello splendore dei magnifici affreschi della storica Sala Alessi di Palazzo Marino (sede del Comune di Milano dal 1861), l’opera del Caravaggio protetta da una particolare capsula di cristallo che ne garantisce l’«habitat» ideale e la perfetta illuminazione.
Una vera “folgorazione” trovarsi faccia a faccia con il capolavoro, unico esempio rilevante di pittura su tavola del grande maestro, che è approdata per un mese – dal 16 novembre e fino al prossimo 14 dicembre – a Milano.
E’possibile poter osservare ed ammirare da vicino non solo tutti i particolari del prezioso dipinto, tornati alla luce dopo il recente restauro di Valeria Merlini e Daniela Storti, ma vedere anche il retro della tavola in cipresso.
L’opera, di proprietà della famiglia Odescalchi, grazie al Comune di Milano e a Eni, fa così la sua seconda uscita ufficiale; la prima, nel 2006, fu a Roma in Santa Maria del Popolo, il luogo di originaria destinazione sin dalla sua nascita, ma dove non arrivò mai.
L’avventura di questo capolavoro comincia l’8 luglio 1600 quando il cardinale Tiberio Cerasi, Tesoriere Generale della Camera Apostolica, chiede a Michelangelo Merisi, arrivato da Milano a Roma otto anni prima e già artista riconosciuto, di decorare la cappella di famiglia appena acquistata in Santa Maria del Popolo. La cappella è dedicata a San Pietro e San Paolo e, su esplicita richiesta del committente, Caravaggio realizza due dipinti su tavole di cipresso che riprendono i temi dei due santi: «La Conversione di Saulo» (San Paolo ) e «La Crocifissione di Pietro».
Pochi mesi dopo, nel maggio del 1601, il cardinale Cerasi muore ed il Caravaggio completa il lavoro tenendo tuttavia i dipinti nel suo studio in attesa della fine della ristrutturazione architettonica della cappella.
Nel maggio 1605 un dipinto di San Pietro ed uno di San Paolo firmati dal Caravaggio appaiono in Santa Maria del Popolo, ma non sono quelli commissionati e neanche più dipinti su tavola, bensì su tela.
Cos’era mai successo?
Probabilmente – secondo alcuni – ci fu un ripensamento dell’artista, che dopo aver visto la cappella e l’«Assunzione» del Carracci posta sopra l’altare, decide di realizzare due opere diverse, più consone allo spazio ridotto e più in relazione con la Vergine.
Secondo altri, invece, la “Conversione di Saulo” (San Paolo) della collezione Odescalchi è stata, per anni, letta come iconografia rifiutata perché contraria agli Atti degli Apostoli che parlano di grande luce e non di apparizione di Cristo a Saulo (San Paolo).
Ebbene, nel mentre la tavola di Pietro finisce dispersa (qualcuno ha ipotizzato che una sua copia sarebbe quella del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo), la «Conversione di Saulo» (San Paolo) comincia una lunga peregrinazione che, attraverso acquisizioni e assi ereditari, la porta in Spagna, a Genova e infine nuovamente a Roma.
Se il dipinto conteneva già elementi di grande interesse formale (dalla composizione non perfettamente in linea con gli Atti degli Apostoli, agli espliciti riferimenti all’epilessia di cui Saulo (San Paolo) soffriva, la bava del cavallo, le piante medicinali), è col restauro che questo capolavoro ha svelato tutta la sua forza.
La ripulitura del dipinto ha portato alla luce l’intensità dei chiaro – scuri e soprattutto la ricchezza dei colori. L’infinita varietà dei verdi della vegetazione, dello scudo, della cintura, le piume di struzzo rosa e arancio sull’elmo del soldato, la manica di Cristo che svela riflessi violacei, l’oro nello scudo. E poi la luce quasi apocalittica che dall’alto inonda il dipinto rimbalzando sull’occhio del cavallo, sul dente appena accennato dell’angelo, sul naso del Cristo, sulla manica del soldato. Sono tornati alla luce i muscoli del braccio che impugna la lancia, i particolari del soldato in secondo piano, e il corpo di Saulo (San Paolo) che traspare perfettamente sotto la maglia.
E’ quanto ho potuto ammirare di persona in questo straordinario “incontro ravvicinato”.
L’opera, attualmente di proprietà della famiglia Odescalchi, è poco conosciuta perché è sempre stata conservata in diverse collezioni private. Si conosce di più la seconda opera, “La Conversione di San Paolo”, dipinta come si è detto dal Caravaggio nello stesso periodo e visibile a Roma nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
La tavola non fu mai esposta perché era, con molta probabilità, considerata un’opera imbarazzante ai tempi dell’Inquisizione; Saulo (San Paolo) rappresentato a terra, coperto da una corazza aderente e trasparente da farlo sembrare nudo, sopra di lui il cavallo imbizzarrito trattenuto a fatica dal vecchio soldato. Ha la barba lunga e si copre gli occhi con le mani, per difendersi dalla luce emanata da Dio e, in alto, un angelo sembra che trattenga a fatica l’impeto del Cristo.
Saulo di Tarso (San Paolo), prima della conversione, era un delatore dei Romani, ma poi redento (folgorato) sulla via di Damasco, diventa personaggio chiave del Cristianesimo e pertanto è illuminato da Dio. Il gesto di coprirsi gli occhi era interpretato come un rifiuto. Per questi motivi, forse, i committenti censurarono il quadro.
E al Caravaggio non restò che ridipingere una seconda versione completamente diversa dalla prima.