Ho appreso con molto piacere che l’Azione Cattolica di Poggio Imperiale in collaborazione con la Parrocchia S. Placido Martire e con il patrocinio del Comune di Poggio Imperiale ha organizzato la VIA CRUCIS VIVENTE che si è tenuta la sera della Domenica delle Palme lungo la via Vittorio Veneto.
Il gruppo dei giovani ha inteso riproporre così, dopo 13 anni, l’analoga manifestazione organizzata dalla Confraternita del Sacro Cuore nel 1993.
Sono state circa quaranta le comparse, la maggior parte delle quali giovani, ma tanti anche gli adulti, di cui alcuni presenti già nella precedente esperienza del 1993.
Ripercorrere la drammaticità degli ultimi giorni di Gesù rappresenta sempre un momento di profonda riflessione, che si amplifica notevolmente se si ha l’opportunità di visitare a Gerusalemme, in Terra Santa, i luoghi ove duemila anni fa la “passione di Cristo” si è realmente consumata.
Ho personalmente vissuto nella primavera di due anni or sono, con mia moglie, questa indimenticabile avventura, lungo tutto il percorso della vita del Nazareno, a partire da Betlemme, luogo dalla nascita, Nazareth e Galilea dove è vissuto ed infine Gerusalemme dove è stato crocefisso, è morto e fu sepolto e, poi, il terzo giorno è risuscitato da morte ed è salito al cielo.
Ma anche in Italia, a Roma per la precisione, esistono preziose testimonianze collegate alla crocefissione di Gesù, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, detta anche “Basilica Sessoriana”.
Nella prima metà del III secolo d.C. l’area dove oggi sorge la Basilica era occupata da una villa imperiale iniziata da Settimio Severo e conclusa da Elagabalo, che comprendeva il palazzo imperiale Sessonarium, residenza nel secolo successivo dell’imperatrice Elena, madre di Costantino. Nella metà del 400 un atrio di questo palazzo fu trasformato in basilica cristiana, prendendo il nome di Basilica Eleniana o Sessoriana.
Si ritiene sulla base di una « tradizione antichissima che una parte della “Croce” del Signore sia stata portata a Roma e collocata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Ne danno conferma gli antichi rituali medievali delle funzioni papali, che fissano la Stazione del Venerdì Santo proprio a S. Croce. In quell’occasione il Pontefice in persona procedeva scalzo dalla Basilica Lateranense e processionalmente, con il clero e il popolo, andava alla “Hierusalem” romana per adorarvi il “Legno” della vera Croce. Ulteriore prova di quanto fosse radicata la convinzione che in quest’antica basilica romana vi fosse la vera Reliquia della Croce sono gli svariati frammenti del Sacro Legno prelevati dalla Reliquia Sessoriana per essere donati dai Pontefici a personalità e santuari. S. Gregorio Magno ne mandò una particella in dono a Reccaredo, re dei Visigoti; Leone X ne fece estrarre una parte per donarla a Francesco I, re di Francia (1515); Urbano VIII (1623-1644) volle donarne una parte alla Basilica Vaticana; anche Pio VI, Pio VII e Pio IX fecero prelevare altre particelle.
Anche per quanto riguarda il “Chiodo” la tradizione è antichissima e costante. Molti storici del IV sec, infatti, narrano che S. Elena trovò anche i chiodi con i quali Gesù era stato crocifisso e che ne fece mettere uno nel freno del cavallo di Costantino e un altro nella corona. Infine, uno lo portò con sé a Roma dove è anticamente annoverato tra le Reliquie Sessoriane.
Per la reliquia del “Titolo” – la tavoletta di legno che riportava l’imputazione formulata da Pilato nei confronti di Gesù in tre lingue – ebraico, greco e latino – la tradizione ad un certo punto lascia il passo alla storia. Stefano Infessura nel suo “Diario”, in data 1 febbraio 1492, racconta che questa reliquia fu casualmente ritrovata durante dei lavori di restauro in Basilica voluti dal card. Mendoza. Chiusa in una cassettina con il sigillo del card. Caccianemici – titolare di S. Croce e poi papa col nome di Lucio II (1144-45) – era stata murata “ab antiquo” nell’arco che separa il transetto dalla navata centrale. Nell’antichità le reliquie venivano spesso messe in alto nelle chiese per preservarle dai furti, ma nel caso del “Titolo” pare se ne fosse poi persa memoria, poiché erano cadute le lettere musive che ne indicavano la collocazione. Ad ogni modo la notizia del ritrovamento fece molto scalpore all’epoca, anche perché coincise con la riconquista spagnola di Granada, ultima roccaforte degli Arabi in Occidente. Papa Alessandro VI il 29/7/1496 emise la bolla “Admirabile sacramentum” con cui autenticava il ritrovamento del “Titolo” e concedeva l’indulgenza plenaria a coloro che avessero visitato S. Croce l’ultima domenica di gennaio.
Inoltre, a S. Croce sono custodite anche “due Spine” che si ritiene provengano dalla Corona che cinse il capo di Gesù. La tradizione non attribuisce a S. Elena il ritrovamento della Corona di Spine. Di questa reliquia si sa però che era venerata a Costantinopoli già ai tempi di Giustiniano. Durante l’Impero Latino d’Oriente (1204-1261) ne vennero in possesso i Veneziani. Nel 1238, poi, l’ebbe S. Luigi Re di Francia, che la pose nella Cappella del Palazzo Reale. Successivamente passò alla chiesa abbaziale di S. Dionigi (1791) e infine nel 1806 fu trasferita a Notre Dame, dove è conservata tuttora.
Nel corso dei secoli S. Croce si è arricchita di “altre reliquie”, quali i “frammenti” della grotta di Betlemme, del S. Sepolcro e della colonna della Flagellazione, il “patibulum” del Buon Ladrone e la “falange” del dito di S. Tommaso…».
Da “Basilica di Santa Croce in Gerusalemme” Le Reliquie Sessoriane (a cura di E. Stolfi) http://www.basilicasantacroce.com/basilica_reliquie.aspx