San Placido Martire è il patrono di Poggio Imperiale ed Alfonso Chiaromonte ha dedicato al Santo il suo recente libro “San Placido Martire patrono di Poggio Imperiale” – Edizioni del Poggio, 2008; un’opera molto interessante che mette in luce aspetti della vita, del martirio e del culto del Santo, venerato non solo a Poggio Imperiale ma anche in Sicilia, a Messina, a Biancavilla (Catania) e a Castel di Lucio (Messina) , oltre che a Montecarotto, nelle Marche, tra Senigallia e Jesi, e a San Benedetto Belbo in provincia di Cuneo, un borgo delle Langhe.
Ma, evidentemente, statue, effigi e simulacri del Santo sono presenti in tante altre Chiese sia in Italia che in giro per il mondo.
Santuario di Vicoforte
Basilica della Natività di Maria
Regina Montis Regalis
Ne ho scoperta una, recentemente, nell’interno del Santuario di Vicoforte, in provincia di Cuneo, e non escludo che proprio la vicinanza dell’insediamento benedettino di San Benedetto Belbo abbia potuto influenzare la scelta di realizzare a suo tempo, nell’ambito del Santuario, fra le tante belle cappelle, anche una dedicata a San Benedetto, nell’interno della quale è presente una statua di San Placido Martire.
Il collegamento con San Benedetto sicuramente è dovuto al fatto che Placido venne da fanciullo affidato dal padre proprio a questi, perché fosse istruito nelle varie discipline e soprattutto perché fosse guidato nella via delle virtù e della perfezione cristiana, alla stessa stregua dell’altro martire Mauro, che salvò peraltro Placido dall’annegamento in un fiume mentre attingeva l’acqua per Benedetto, ed i figli di altri nobili patrizi romani dell’epoca.
Il Santuario di Vicoforte, situato nell’omonimo comune della provincia di Cuneo, è una chiesa monumentale tra le più importanti del Piemonte; la sua cupola ellittica è la più grande di tale forma nel mondo.
Il complesso trae le sue origini da un santuario medievale, composto da un modesto pilone decorato da un affresco quattrocentesco raffigurante la Madonna col Bambino.
Intorno al 1590, durante una battuta di caccia, un cacciatore colpì per sbaglio l’immagine della Vergine, che secondo la leggenda sanguinò. La realtà vede invece il cacciatore pentito che appende il suo archibugio al pilone e inizia una grande raccolta di fondi per riparare il danno ed espiare così il suo peccato.
Ancora oggi l’archibugio è conservato in una cappella del Santuario, accanto all’affresco deturpato.
Nel giro di pochi anni questo luogo divenne meta di pellegrinaggi ed attirò anche il Duca Carlo Emanuele 1° di Savoia, che nel 1596 commissionò la costruzione di un grande santuario all’architetto di corte Ascanio Vitozzi. La morte del Duca (che volle essere seppellito nel Santuario) e dell’architetto però pose un freno alla costruzione, la quale venne ripresa solo nel Settecento allorché Francesco Gallo costruí la grande cupola ellittica, alta 74 metri e di diametri pari a 25 e 36 metri.
Si narra che dovette andare lui stesso a togliere le impalcature, perché nessuno pensava che una struttura di quel tipo potesse reggere.
Le decorazioni in affresco degli oltre seimila metri quadrati di superficie furono poi completate nel 1752 da Mattia Bortoloni e Felice Biella; nel 1709 lo scultore Giuseppe Gagini assunse l’incarico di realizzare il monumento con la statua di Margherita di Savoia, figlia del Duca, terminato nel 1714.
Il Santuario assunse la forma attuale nel 1884, quando vennero costruiti i campanili e le tre facciate.
All’interno, tra le tante magnificenze, la cappella di San Benedetto è la prima a destra ed ospita, sul lato destro, il mausoleo di Margherita di Savoia, figlia del Duca Carlo Emanuele 1°, con la bella statua opera dello scultore genovese Giuseppe Gagini (1709) così come le quattro statue d’angolo rappresentanti Santa Geltrude, San Mauro, San Placido e Santa Cunegonda.
Stuatua di San Placido Martire
Particolare della statua di San Placido Martire
Quindi i martiri Placido e Mauro ancora insieme nella cappella di San Benedetto, il loro maestro.
Per maggiori approfondimenti su San Placido Martire si rimanda alla lettura del libro citato di Alfonso Chiaromonte.
Buona lettura !