Ho frequentato con maggiore assiduità Torino negli ultimi dieci anni per motivi di lavoro e devo dire che è veramente una gran bella città.
Si tratta di una città romana e medievale … da “Augusta Taurinorum” a “Taurinus”.
Attraverso le vie del “quadrilatero”, è possibile rinvenire ancora numerose e spesso sconosciute tracce della Torino romana e medievale, come la Porta Palatina, la chiesa di San Domenico, il Castello di Palazzo Madama, la Casa del Senato, la Casa del Pingone, gli scavi archeologici sotto il Duomo, i resti di mura e torri romane, case e finestre medievali.
Ma Torino è fatta anche di “portici”.
A spasso, in giro per Torino, scopri di trovarti in una grande città di portici; più di dodici (alcuni dicono anche quindici) chilometri di portici, la più ampia zona pedonale d’Europa, un caso urbanistico, architettonico, estetico e socio-economico unico nel mondo.
L’insieme dei portici di Torino è un sistema articolato di spazi di raccordo tra vita pubblica e privata, in cui il fluire dei pedoni, la sosta nei bar, gli accessi agli edifici, i capannelli dei passanti davanti alle vetrine di negozi e gallerie, sono avvolti dalla scansione geometrica di volte e soffitti decorati, da pareti scandite dai richiami delle insegne commerciali e dai portali dei palazzi, dalla fuga di colonne e arcate filtrate dalla luce mutevole del giorno e della notte.
In paragone, i famosi portici di Bologna – che ho pure frequentato per qualche anno tanti anni fa – risultano diversi, più antichi forse, ma disseminati qua e là, a differenza di quelli di Torino che sono invece ampi, luminosi, eleganti, continui e connessi.
Torino conosce il “portico” sin dal medioevo e il suo primo insediamento è collocabile nei pressi della piazza delle Erbe, ora piazza Palazzo di Città, ove ha attualmente sede il Comune.
La vecchia piazza delle Erbe era praticamente la piazza del mercato e qui la gente si radunava numerosa per trattare affari, compravendite e contrattazioni di ogni genere.
Il luogo era soprannominato dai torinesi “la borsa dij busiard” (la borsa dei bugiardi) e i gli adiacenti portici erano luogo di commercio riparato dalle intemperie.
E, proprio in una delle vetrine di esposizione che fanno oggi da contorno alle colonne dei portici di via Palazzo di città, la via che conduce a Piazza Palazzo di città, che l’occhio mi è caduto non molto tempo fa su alcuni vecchi “tariffari”, probabilmente scovati da qualche buontempone chissà dove, ed ora messi in vendita come “reperti storici”.
Si tratta di “cartelli/tariffari” probabilmente un tempo posti all’esterno delle “case”, all’epoca regolarmente autorizzate, cosiddette di “ tolleranza”.
Ne riporto integralmente il testo:
1° Cartello
Prezziario della rinomata casa del piacere
(Lo sconto si fa solo ai giovanotti militari)
Appuntamento normale Lire 1,30
Doppio £ 2,50
15 minuti £ 3,05
Mezz’ora £ 4,50
1 ora £ 7
Due ore £ 10
(La casa offre saponetta e asciugamano)
2° Cartello
Spettanze della stimata casa
Svelta £ 1,10
Doppia £ 2
Minuti 20 £ 3,60
Mezz’ora £ 4,80
Ora piena £ 7,50
Due ore £ 12
Per la toilette non si deve più uscire fuori.
Acqua, sapone e asciugamano si pagano altri 20 centesimi.
Storia
La “professione” più vecchia del mondo, se da un lato è stata spesso giudicata riprovevole all’interno dei contesti politici e religiosi, dall’altro tale pratica veniva tollerata nella consapevolezza del ruolo che rivestiva nell’ambito sociale.
In Italia il “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione” risale al 15 febbraio 1860: una data che segna ufficialmente la nascita delle “case di tolleranza”, così chiamate perché la loro esistenza era “tollerata” dallo Stato.
Esse venivano suddivise dal Regolamento in 3 categorie, per ognuna delle quali era lo Stato a fissare le tariffe: 5 lire per le “case” di lusso, da 2 a 5 lire per quelle di medio livello e 2 lire per quelle “popolari”.
Inoltre veniva stabilito che i tenutari fossero obbligati a pagare le tasse sugli introiti e che per poter aprire una “casa” fosse necessario ottenere apposita licenza.
Nel 1888, poi, al fine di meglio regolamentare la materia, intervenne la “legge Crispi” con la quale si vietò di vendere cibi e bevande, di tenere feste, di cantare e di ballare.
Divenne inoltre obbligatorio (e da qui il nome di “case chiuse”) tenere sempre chiuse le imposte delle finestre, in modo che i passanti non fossero turbati dallo spettacolo dell’interno.
La legge del 1888 fissò altresì modi e tempi dei controlli medici da effettuare sulle “signorine” per evitare la diffusione delle malattie veneree.
Una cinquantina di anni fa, il 20 settembre 1958 per l’esattezza, entrò in vigore la legge Merlin che, approvata sette mesi prima dal Parlamento, decretava l’abolizione delle “case”.
La loro chiusura segnò non solo la fine di un’epoca, ma anche quella di una storia millenaria.