Di tanto in tanto, in vari territori nazionali vengono riscoperti vecchi vitigni risalenti a centinaia di anni orsono, con risultati rilevanti per quanto riguarda la qualità del vino che si riesce poi a produrre.
Un esempio, tra i tanti altri, è il “Groppello di Revò”; un vino rosso del Trentino qualificato come vitigno autoctono di sottozona DOC del Trentino stesso.
Un vino spesso confuso con i più conosciuti “Groppelli” della sponda bresciana del lago di Garda, ma che ha, invece, una storia antica, documentata in modo certo nelle cronache cinquecentesche.
Un passato illustre, che negli ultimi anni di appartenenza del territorio all’Impero Austro-Ungarico aveva visto una produzione di quasi 50 mila ettolitri di vino, e un presente fatto di 400 ettolitri esistenti solo per la appassionata tenacia di un pugno di “irriducibili”, grazie al recente riconoscimento questa varietà incontra un rinnovato interesse che si è concretizzato, tra l’ altro, nella messa a dimora di 5 mila metri quadrati di nuovo vigneto: una superficie significativa se vista nella realtà delle micro aziende della zona.
Il vitigno è stato riconosciuto a rischio di estinzione e perciò proposto per il programma nazionale per la tutela della biodiversità.
Il Groppello di Revò (noto anche con i sinonimi di Groppello anaune, della Val di Non, e della Terza sponda) prende il nome dal paese di Revò, che è il centro più importante di quella zona dell’ alta Val di Non (in provincia di Trento) detta Terza sponda, con riferimento al grande bacino idroelettrico del lago di Santa Giustina.
Proprio a Revò sorse, nel 1893, la terza cantina sociale del Trentino. Poi la peronospora, la fillossera, il passaggio nel 1918 della regione all ‘Italia ed infine la diffusione della frutticoltura intensiva specializzata, hanno confinato il Groppello in pochi appezzamenti amatoriali, siti nei comuni di Cagnò, Revò e Romallo, con concreto rischio di definitiva estinzione.
Gli “irriducibili”, una ventina di appassionati che hanno dato vita recentemente all’ associazione “Amici del Groppello”, capeggiati da Augusto Zadra che con una produzione annua di 4.000-4.500 bottiglie è il maggior produttore, hanno resistito ed ora sono soddisfatti di aver difeso un vitigno che appartiene a tutti gli effetti alla tradizione enologica e paesaggistica della Val di Non e dello stesso Trentino, e che finalmente ha ricevuto importanti riconoscimenti sul piano scientifico e normativo.
Il progetto “Groppello di Revò”, redatto dall ‘Istituto agrario di San Michele all’ Adige (Trentino) in riferimento alla tutela della biodiversità, prevede una serie di interventi che partendo dal censimento delle risorse esistenti arrivano alle azioni di salvaguardia del vitigno, con passaggi intermedi che coinvolgono le tecniche di biologia molecolare, la selezione clonale e le indagini analitiche sui vini.
Il vino Trentino Groppello di Revò rappresenta un patrimonio genetico di tutto rispetto, se si pensa che le vigne possono raggiungere anche gli 80-100 anni di età. E’ sempre l’ Istituto di San Michele ad attestare che il Groppello di Revò è una varietà autoctona locale, perché presenta caratteristiche genetiche originali, diverse dagli altri Groppelli diffusi nella zona del Garda.
La famiglia dei vitigni autoctoni del Trentino, dunque, cresce: al Teroldego, Marzemino e Nosiola (questo a bacca bianca) va ad aggiungersi il Groppello di Revò; un poker d’ assi che potrà favorire le partite dei vini trentini sui tavoli dei grandi mercati.