Il periodo della vendemmia è sicuramente quello più propizio per preparare il nostro squisito “mostocotto”.
Tradizionalmente il “mostocotto” si appronta con il mosto fresco di pigiatura dell’uva nera, ma va bene anche quello di uva bianca.
Il suo uso è molto diffuso per la preparazione dei dolci tipici della nostra tradizione locale.
Soprattutto a Natale, il “mostocotto” è indispensabile per bagnare le “nevole” e per la preparazione dei “calzoni”.
Ma non solo per questo, poiché è tale la versalità di questo succulento “nettare”, che si sposa tranquillamente con il gelato, formaggi stagionati, fragole, yogourt, macedonia di frutta e “grano dei morti” (che si prepara in occasione della ricorrenza dei morti ai primi di novembre con grano cotto, melograno e cioccolato fondente: visitare la pagina http://www.paginedipoggio.com/dblog/cerca.asp?cosa=grano+dei+morti&Cerca.x=15&Cerca.y=10 ).
Il “mostocotto” può essere gustato … semplicemente al naturale !
A Poggio Imperiale è famosa anche la “tzùrrubbètte” (forse deriva da “sorbetto”), che si prepara in occasione delle (seppur rare) nevicate.
Si raccoglie la neve (possibilmente quella che si adagia in posti incontaminati) con un cucchiaio fino a riempire un bicchiere di vetro nel quale viene versato del “mostocotto”.
In estate, invece, la “tzùrrubbètte” viene preparata con il ghiaccio finemente tritato e “mostocotto” (una sorta di granita); una squisita e dissetante bevanda.
Come si prepara il “mostocotto”?
Si fa bollire il mosto in un capiente recipiente a fuoco moderato, per il tempo necessario, fin quando il liquido assume una consistenza mielosa.
Il rapporto è di circa 1 o 2 litri di prodotto finale rispetto a 5 litri di mosto fresco; dipende innanzitutto dalla consistenza che si desidera ottenere.
Il “mostocotto” così ottenuto viene lasciato decantare e quindi raffreddare nel medesimo recipiente di cottura per qualche giorno e, successivamente, si procede al suo imbottigliamento.
Le bottiglie vanno conservate in ambienti asciutti, freschi e non soleggiati.
Il prodotto non richiede aggiunta di zuccheri, conservanti o additivi vari.
Oggi è possibile acquistare presso alcune case vinicole di San Severo il c.d. “precotto”, che consente di accorciare notevolmente i tempi di preparazione del “mostocotto”.
In mancanza del mosto necessario, è possibile – con un po’ di pazienza – fare tutto in casa.
Occorre prendere un recipiente abbastanza capiente e mettervi l’uva all’interno, indi procedere alla sua pigiatura con le mani, per far fuoriuscire il succo dagli acini. Questa operazione viene solitamente effettuata con l’ausilio di una macchina pigiatrice, ma considerato il costo della macchina e la quantità ridotta di uva è ovviamente molto più conveniente effettuarla direttamente con le mani.
Dopo la pigiatura dell’uva si prosegue con la diraspatura, che consiste nel separare dalle bucce, polpa e raspi, il succo fuoriuscito dall’uva.
Infine si filtra il mosto così ricavato con l’ausilio di un colino, per eliminare piccoli pezzi di polpa o di buccia.
A questo punto, si versa il mosto in un recipiente abbastanza capiente, evitando di riempirlo oltre la sua metà, poiché durante la cottura il liquido gonfia e si lascia bollire a lungo e lentamente, finchè il suo volume non si riduce di almeno 3/4 del volume iniziale.
Far raffreddare il “mostocotto” all’interno del recipiente e poi versalo in bottiglie di vetro ben tappate per la conservazione.
Ricordi
I miei ricordi d’infanzia degli anni cinquanta del secolo scorso si perdono nell’incanto della vendemmia, mentre correvo tra i filari del vigneto, dove tutta la famiglia e i parenti, grandi e piccini, uomini e donne, giovani e anziani, in clima festoso di sorrisi e di canto, procedevano alla raccolta dell’uva.
E ricordo, poi, la pigiatura dell’uva che veniva fatta da robusti giovanotti a piedi nudi e la fragranza inebriante del mosto che impregnava l’aria tutt’intorno.
E le donne che aspettavano il nuovo mosto con i recipienti pronti ad accoglierlo per iniziare il rito della preparazione del “mostocotto”.
Era bello vedere come si restringeva sul fuoco accanto ad un caldo e accogliente camino dove la pentola stava appesa sui ceppi accesi e il profumo si sprigionava lento, e una volta pronto, messo a riposare in dispensa.
E, poi, l’attesa. Noi bambini, non aspettavamo altro che, arrivato l’inverno, la neve facesse capolino … e … subito fuori a raccogliere con cucchiai e bicchieri i suoi fiocchi bianchi.
Poi, in casa, come per magia da una bottiglia con liquido scuro la neve si trasformava in una meravigliosa e squisita “tzùrrubbètte”.