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Un altro “vecchio tarnuèse” ci ha lasciati !
Ci ha lasciati in punta di piedi, in silenzio, e con grande discrezione.
Un altro “vecchio tarnuèse”, che il 20 di agosto prossimo avrebbe tagliato il traguardo dei 94 anni, se n’è andato.
Si era trasferito con tutta la famiglia da Poggio Imperiale a Sesto San Giovanni in provincia di Milano nel lontano 1964, ma i detti, i modi di dire, i proverbi popolari “tarnuìse” non li aveva proprio dimenticati.
Ed era un piacere conversare con lui che, con tanta lucidità ricordava fatti, storie e personaggi del suo paese natìo.
Mio suocero, Michele Palmieri, era nato a Poggio Imperiale il 20 agosto 1915 e pur avendo trascorso 45 anni della sua vita al Nord Italia, non ha mai smesso di sentirsi “tarnuèse”.
Se n’è andato nel pomeriggio di sabato scorso, 7 marzo, per raggiungere la cara moglie Elena, che lo ha preceduto il 27 aprile dello scorso anno, meno di un anno fa.
Forse anche la perdita della compagna della sua vita e madre dei suoi figli, dopo 68 anni di matrimonio, ha influito ad accelerare il “ritiro dei remi in barca”.
Aveva in effetti perso un po’ di quella vitalità che lo caratterizzava, nonostante l’età avanzata.
Lo scorso anno avevo citato mio suocero (ma anche mia suocera) nell’introduzione del mio libro” “Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche”, di cui riporto lo stralcio:
“” Lasciare che il tempo e l’incuria della gente permetta che le opere del passato, le gesta dei popoli antichi, gli usi e i costumi, le usanze e le tradizioni finiscano con l’essere a poco a poco coperti dalla polvere dell’oblio, fino a svanire inesorabilmente dalla mappa delle umane conoscenze, rappresenta davvero un crudele destino.
Ed è con questo spirito che ho iniziato, quasi per gioco, a prendere nota dei vecchi “modi di dire” del mio paese di origine, Poggio Imperiale in Provincia di Foggia (in dialetto detto: “Tarranòve”), sull’onda dei miei ricordi d’infanzia, approfondendo poi i singoli aspetti con le persone anziane del paese nel corso delle vacanze estive e nei miei periodici ritorni in paese. E, ciò, in maniera semplice e senza alcuna pretesa scientifica, storica od altro.
Di particolare ausilio al riguardo si sono dimostrate le lunghe “chiacchierate” con mio suocero Michele Palmieri, ora quasi novantatreenne, e mia suocera Elena Ciampa, recentemente scomparsa all’età di novantadue anni, che del tempo della loro gioventù a Poggio Imperiale, trascorso nella prima metà del secolo scorso, hanno sempre serbato un ricordo lucido e indelebile, nonostante il lungo periodo di permanenza nel Nord Italia ””.
Grazie…papà, resterai sempre nel nostro cuore!
Perché a Milano il Carnevale…continua anche dopo il martedi grasso?
Il Carnevale Ambrosiano.
Il Carnevale milanese segue il “Rito Ambrosiano”, ovvero il calendario liturgico introdotto da Sant’Ambrogio nel IV secolo.
A Milano i festeggiamenti non finiscono il martedì grasso, ma durano fino al sabato antecedente la prima domenica di Quaresima.
Per tale ragione, quindi, l’ultimo giorno di Carnevale a Milano coincide con il sabato successivo al martedì (grasso), giorno in cui Carnevale termina invece nelle altre Diocesi che osservano il “Rito Romano”.
E, dunque, quattro giorni di ulteriori festeggiamenti e di baldoria.
La tradizione vuole che , ai tempi, il Vescovo sant’Ambrogio fosse impegnato in un pellegrinaggio a Roma, dal Santo Padre, e avesse annunciato il proprio ritorno per Carnevale, per celebrare i primi riti della Quaresima in città.
La popolazione di Milano lo aspettò prolungando il Carnevale sino al suo arrivo, così che nell’Arcidiocesi milanese venne posticipato il rito delle “Ceneri” alla prima domenica di Quaresima.
Questo (atipico) Carnevale, presente con diverse tradizioni anche in altre parti dell’Italia (esempio: il Carnevale di Viareggio ed il Carnevale di Borgosesia), prende il nome di “Carnevalone”.
Il Carnevale è una festa che si celebra nei paesi di tradizione cristiana (ed in modo particolare in quelli di tradizione cattolica). Tradizionalmente nei paesi cattolici, il Carnevale ha inizio con la Domenica di Settuagesima (la prima delle sette che precedono la Settimana Santa secondo il calendario Gregoriano); finisce il martedì precedente il mercoledì delle “Ceneri” che segna l’inizio della Quaresima. La durata è perciò di due settimane e due giorni.
Il momento culminante si ha dal giovedì (grasso) fino al martedì, ultimo giorno di Carnevale (martedì grasso). Questo periodo, essendo collegato con la Pasqua (festa mobile), non ha ricorrenza annuale fissa ma variabile. Per questo motivo i principali eventi si concentrano in genere tra i mesi di febbraio e marzo.
Benché facente parte della tradizione cristiana, i caratteri della celebrazione carnevalesca hanno origini in festività ben più antiche che, ad esempio nelle “Dionisiache greche” e nei “Saturnali romani”, erano espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza.
La parola Carnevale deriva dal latino "carnem levare" ("eliminare la carne"), poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Ma, come si è detto, quando la baldoria finisce nel resto d’Italia… a Milano non è ancora iniziata!
A Milano, anche quest’anno, il Carnevale Ambrosiano sarà come sempre nel segno della tradizione e dell’identità milanese, il centro storico si animerà con spettacoli, musica, danza, animazioni storico-scenografiche, teatro di strada, balli in maschera.
E come sempre Milano, città aperta all’innovazione e rapida nell’assorbire i cambiamenti imposti dalla modernità, proporrà un carnevale tematico.
Per l’edizione 2009, il carnevale ambrosiano 2009 avrà come tema “La città del futuro”. Il riferimento è ovviamente all’ Expo 2015 di Milano, nonché al centenario della pubblicazione del LINKARE Manifesto del Futurismo.
Tutti gli eventi, che si terranno tra giovedì grasso 26 febbraio e sabato grasso 28 febbraio, nella zona tra il Castello Sforzesco e Piazza Duomo, avranno un legame con il futuro, la tecnologia, la città da progettare. Infine, la tradizionale e pittoresca sfilata dei carri allegorici avrà luogo sabato pomeriggio, mentre sabato sera ci sarà la festa finale, naturalmente in Piazza Duomo, da sempre luogo di ritrovo e aggregazione della città.
Non mancherà la maschera tipica milanese, “Meneghino”, con cappello a tre punte, parrucca, codino… e con la battuta pronta!
E continuano i festeggiamenti più colorati ed esuberanti dell’anno… in tutto il mondo!
Ecco altri imperdibili appuntamenti nel Vecchio e nel Nuovo Continente, tra sfilate, spettacoli e costumi sorprendenti.
A Nizza (Francia), dal 13 febbraio all’1 marzo, migliaia di fiori freschi decorano i carri che sfilano per la città. Vari personaggi in costume gettano sulla folla iris, margherite, rose e mimose, dando vita a una parata "profumata" ed elegante. Ma il clou della festa è di martedì grasso: un’immensa sfilata di maschere e carri inizia nel primo pomeriggio e continua fina a tarda notte, quando il rogo di Re Carnevale, i fuochi d’artificio e il veglione all’Hotel Plaza concludono il Carnevale nizzardo.
Un altro Carnevale folle e incredibile è quello di New Orleans (Stati Uniti), chiamato “Mardi Gras”. I festeggiamenti nella città del jazz raggiungono l’apice l’ultimo giorno, il 24 febbraio, che è appunto martedì grasso, ma iniziano già tre settimane prima. La gente sembra lasciarsi prendere da un sorta di follia collettiva: mezzo milione di persone ballano per le strade, tutti si mascherano, le sfilate di carri sono infinite… dal tramonto all’alba è un’esplosione continua di musica e danze. E veniamo a quello che insieme a Venezia è il Carnevale più famoso del mondo: Il Carnevale di Rio.
Si tratta della più straordinaria espressione dell’arte e della cultura popolare del Brasile, ed è una delle feste più celebri in assoluto. Questo incredibile evento si protrae dal 19 al 24 febbraio tra danze, parate, musiche e follia. Le migliori scuole di samba della città offrono uno spettacolo unico, ma lo spettacolo è dato anche dalle migliaia di persone che arrivano da ogni parte del globo…
Ebbene, nel mentre Carnevale entra nel suo epilogo, ognuno può riscoprirsi artigiano del proprio divertimento, realizzando in casa in maniera fantasiosa e originale costumi, maschere, coriandoli, addobbi; magari cimentandosi anche tra forno e fornelli per preparare qualche dolce tipico del Carnevale.
Chiacchiere, tortelli, zeppole, castagnole, struffoli e cicerchiata: ancora più buoni se fatti in casa!
CARNEVALE “TARNUÉSE” DI UN TEMPO!
Si rinvengono nella storia “tarnuése” ricordi legati ad avvenimenti particolari, tipo Carnevale, ove i giovani si travestivano “ce mascijcuriàvene” (si mascheravano) ed in gruppi andavano di casa in casa improvvisando scenette esilaranti con curiosi strumenti musicali.
Ad esempio, l’assicella di legno per la lavatura dei panni “a lavatóre” veniva utilizzata come chitarra sfregando su e giù sulla parte intagliata un pezzo di legno che fungeva da plettro (detto anche penna); così il mortaio di legno per macinare il sale grosso “u murtàle” con il suo pestello “u pesature” fungeva da tamburo ed i coperchi delle pentole da piatti, con invenzione ed esecuzione estemporanea di stornelli paesani.
In verità c’erano anche bravi "tarnuíse" che suonavano strumenti musicali veri, tipo chitarra, fisarmonica, armonica a bocca, ecc. (a Poggio Imperiale un tempo c’era una Banda musicale molto apprezzata, diretta dal Maestro Colella)*.
Il padrone di casa offriva da bere (solitamente vino rosso paesano) e “rócchijle de sausicchije e de fedacazze, vendrésche, supprescijate, fèlle de cascijcavalle e àveti còse da rróste e da magnà”.
Si diceva che “jévene facènne a rrùste”, andavano cioè in giro per raccogliere salsiccia, fegatazzo (salsiccia di fegato), pancetta ed altra roba da arrostire e mangiare in compagnia.
Lo stornello che i gruppi ritmavano con il loro strumenti improvvisati faceva così:
Rrùste
Rrùte
Rrùste, rrùste e rrùste
E ddàcce ‘nu pòche de rrùste
Ka se tu mó ‘n ‘nge la vù dà
Nuije da sùle ce la jàmme a peglijà”.
(Arrosto…arrosto…dacci della carne da arrostire….perchè se non lo fai…ce la prendiamo da soli).
In tarda serata, alla fine della questua i gruppi si riunivano e facevano “a cummenèlle”, consistente in un vero e proprio banchetto che terminava all’alba del giorno dopo con una “passatèlla” (tipico gioco collettivo ove il vino viene distribuito in modo disuguale secondo l’arbitrio delle persone favorite da una combinazione vincente in un gioco di carte, dalla quale la maggior parte dei presenti veniva fuori con una sbornia colossale.
Eccezionalmente, i pochi che ne uscivano ancora sobri lo dovevano al solo fatto che “jévene state fatte ùlme” in quanto, colpiti dalla malasorte, i “padroni del gioco” li avevano tenuti a bocca asciutta.
* Nella nota 13 a pag. 47 del libro è riportato erroneamente "Maestro Cicolella" anzichè "Colella".
Dal libro di Lorenzo Bove
“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse
Edizioni del Poggio, 2008
LA PRESENZA DELLA LINGUA SPAGNOLA NEL DIALETTO “TARNUÉSE”
Si è detto che il dialetto “tarnuése” (di Poggio Imperiale) risente dell’influenza di un numero considerevole di dialetti e lingue, dovuta alla variegazione della provenienza della sua popolazione e che, al primo posto, può essere annoverato il dialetto o “lingua napoletana”.
E si è detto pure che a Napoli, così come in tutto il Mezzogiorno, si è alternata la presenza di vari popoli dominatori, tra cui gli spagnoli, per cui si è avuto anche un afflusso di “ispanismi”, creando sovrapposizioni che rendono a volte difficoltosa l’individuazione sicura dell’origine dei diversi termini.
In proposito, molto interessante si è rivelato uno studio che l’Università di Trieste ha effettuato e pubblicato nel 2005, riguardante l’influsso della lingua spagnola sul lessico del dialetto napoletano. Si tratta di “Ispanismi nel dialetto napoletano” di Giovanna Riccio, a cura di Marcello Marinucci.
Si riscontrano, nel testo citato, termini napoletani corrispondenti o molto simili a quelli “tarnuíse” (poggioimperialesi).
Proviamo anche qui a ricercare, con altrettanta pazienza e curiosità, alcune assonanze tra i due dialetti, confrontandone prima i rispettivi significati per poi avventurarci alla scoperta della loro possibile origine.
Abbascio (napoletano)
Abbasce (tarnuése)
“Giù”
In dialetto tarnuése si dice anche “Capabbàsce” per indicare una strada in discesa
Dallo spagnolo abajo
Abbuscà (napoletano)
Abbuscijcà (tarnuése)
“Essere bastonato, buscarle”
Dallo spagnolo buscar
Abbrammata (napoletano)
Sbramàte /tarnuése)
“Affamato”
Dallo spagnolo bramar e anche dal francese bramer
Accaglià (napoletano)
Squaglijà (tarnuése)
“Scomparire, allontanarsi, non farsi più vedere”
In dialetto tarnuése si dice “Jè squaglijàte d’a cerculaziòne” per indicare qualcuno che non si vede più in giro da parecchio tempo
Dallo spagnolo callejear
Accapato (napoletano)
Capàte (tarnuése)
“Scelto, squisito, perfetto”
In dialetto tarnuése si dice, ad esempio, “Càpeme……duije precòchele bbone” per significare “Sceglimi delle pesche buone”
Dallo spagnolo acabar
Acciavattare (napoletano)
Acciavattà/’cciavattà (tarnuése)
“Fare le cose alla meno peggio, lavorare senza cura”
Dallo spagnolo zapata
Addonne (napoletano)
‘Ndó/andó/addó (tarnuése)
“Dove”
In dialetto tarnuése anche “Dind’a ‘ndó stà?” (alla lettera:“Dentro dove sta?”)
Dallo spagnolo donde/adonde
Aggrappà (napoletano)
Mètte i ràppe (tarnuése)
“Congiungere legna, pietre o altro con grappe”.
In dialetto tarnuése le “grappe” venivano chiamate “i ràppe”
Dallo spagnolo grapa
Aguanno (napoletano)
Auànne (tarnuése)
“Quest’anno”
Forse, dallo spagnolo osanna o ogaño/hogaño
Ammarrà (napoletano)
Ammarrà (tarnuése)
“Occupare, opporre, turare, coprire”
Dallo spagnolo amarrar e anche dal francese ammarrer
Ammascà (spagnolo)
Ammascecà (tarnuése)
“Addentare, masticare, assaggiare”
Dallo spagnolo mascar
Ammassà (napoletano)
Ammassà/’mmassà (tarnuése)
“Impastare”
Dallo spagnolo amasar
Ammulà (napoletano)
Ammulà/’mmulà (tarnuése)
“Arrotare, affilare”
In dialetto tarnuése “’Mmulà a fróffece/u curtélle” = “Affilare un paio di forbici/un coltello” ; l’arrotino viene definito “u ‘mmolafròffece”
Dallo spagnolo amolar
Amoerro/amoerre/Amuerro (napoletano)
Moère (tarnuése)
“ Drappo di seta ondato”
Dallo spagnolo muer (dal fr. moire e dall’ingl. mohair)
Aparare/aparamiènto (napoletano)
“Addobbare chiese, edifici pubblici, case private, ornare; addobbo, ornamento”
Apparàte/a ‘ppàrate (tarnuése)
“Particolare addobbo del letto nuziale consistente in una finitura ricamata sopra la quale si posizionano i cuscini che a loro volta vengono coperti con due panneggi con gli stessi ricami”
Dallo spagnolo aparar
Appostare (napoletano)
“Scommettere”
A pòste (tarnuése)
“Somma che si punta al gioco o che si impegna in una scommessa”
In dialetto tarnuése“Ffà a pòste” significa anche “Attendere qualcuno con propositi ostili, cercando di sorprenderlo all’improvviso” [anche qui s’intravvede l’alea della scommessa: “Riuscirà o meno l’interessato nell’intento?”]; si dice inoltre “Mpòste/’mbòste “ per indicare la quantità (lotto) di un prodotto da sottoporre a trasformazione (esempio: olive da trasformare in olio presso un frantoio): anche in questo caso si scorge una sorta di scommessa rispetto alla resa di olio che ne potrà risultare.
Dallo spagnolo apostar
Arrassare/arrassà (napoletano)
Arrassà/’rrassà (tarnuése)
“Allontanare, discostare, scostare; farsi in là”
Dallo spagnolo arrastrar
Arravogliare/arravuglià (napoletano)
Arrauglijà/’rrauglijà (tarnuése)
“Avvolgere, involgere, arrotolare”
Dallo spagnolo arrebujar
Arrecentare/arricentare/arrecentà/recentare (napoletano)
Rescijcarà (tarnuése)
“Risciacquare il bucato; rinnovare l’acqua nel lavare i piatti e i bicchierie”
Dallo spagnolo arrebujar
Arrennamiento (napoletano)
“Appalto di gabelle fatto per azioni; imposta diretta di consumo (restata in vigore a Napoli fino al 1806)”
Rrennemènte/ a rrènne (tarnuése)
“Prestito, cessione di un quantitativo di merce o di beni di consumo contro l’impegno di restituzione di un quantitativo equivalente o maggiore”.
Dallo spagnolo arrendamiento
Arreventare (napoletano)
‘Rreventà/ a ‘rreventà (tarnuése)
“Ridurre a mal termine”
In dialetto tarnuése “Madonna mije come sì ‘rreventàte” ed anche “ Cóme sì rraddútte” = “Madonna mia come sei ridotto”.
Dallo spagnolo reventar
Arrognare/arrugnarse/arrunchiarse (napoletano)
Arrungenàte (tarnuése)
“Contrarsi, restringersi in sé, rimpicciolirsi, raggranchiarsi, rattrappirsi, rannicchiarsi”
Forse, dallo spagnolo arrugar
Arronzare/arrunzà (napoletano)
Arrunzà/’rrunzate (tarnuése)
“Abbozzare, acciabattare, fare le cose in fretta e furia, non rifinire”
Dal dialetto di Maiorca arronsar o dallo spagnolo roncear e dal catalano arronçar
Assentare/assiènto (napoletano)
Segnà (tarnuése)
“Iscrizione, registrazione, scritturazione”
In dialetto tarnuèse “C’è jùte a segnà” = “E’ andato ad iscriversi”.
Dallo spagnolo asiento/asentar
Bàzzeca (napoletano)
Bàzzeche (tarnuése)
“Gioco di bigliardo e di carte simile alla briscola”
Dallo spagnolo báciga e anche dal francese bésigue
Boccia (spagnolo)
Boccije (tarnuése)
“Palla di legno per giocare a bocce”
Forse, dallo spagnolo bocha
Borraccia/vurraccia (napoletano)
Vurràccije (tarnuése)
“Borraccia, fiasca”
Dallo spagnolo borracha
Buttéglia (napoletano)
Buttìglije (tarnuése)
“Bottiglia, boccia di vetro”
Dallo spagnolo botella ma anche dal francese bouteille
Buffettone (napoletano)
Buffettone (tarnuése)
“Ceffone, schiaffo”
Dallo spagnolo bofetòn
Calandrèlla/calandrèlla/calandriello (napoletano)
Calandrèlle (tarnuése)
“Sole ardente, solleone”
Dallo spagnolo calenturilla diminutivo di calentura (febbre)
Capaddozzio (napoletano)
Capatàzze (tarnuése)
“Capintesta, capo, principale”
Dallo spagnolo capataz
Càpere/capè (napoletano)
Capè (tarnuése)
“Entrare, essere contenuto”
In dialetto tarnuése “Ce càpe o ‘nge càpe” = “C’entra o non c’entra”
Dallo spagnolo caber
Capezza (napoletano)
“Capo, testa”
Capèzze (tarnuése)
“Redini, briglie” (che si legano alla testa del cavallo)
Dallo spagnolo cabezza
Capësciòla/capisciòla (napoletano)
Capesciòle (tarnuése)
“Fettuccia, nastro”
Dallo spagnolo capichola
Capozziéllo/capuzzièllo (napoletano)
Capuzzèlle (tarnuése)
“Arrogante, prepotente, testardo”
Dallo spagnolo cabezudo
Chìcchera (napoletano)
Chìchere (tarnuése)
“Piccola tazza per bevande”
Uno scioglilingua tarnuèse recita così:
“Tazze, chichere, chichere e tazze; tazze, chicchere, chichere, chichere e tazze”
Dallo spagnolo messicano xícara
Ciaccà/Sciaccà (napoletano)
Scijaccà (tarnuése)
“Percuotere, colpire, ferire”
Dallo spagnolo achaque
Ciappa/ciappètta (napoletano)
Cciappètte (tarnuése)
“Fermaglio, gancio, fibbia, borchia”
Dallo spagnolo chapa
Ciòffa (napoletano)
“Nastro di seta o stoffa normale cucita in modo da simulare gonfiezza (sbuffi in manica, ecc.)
Ciòffe/‘ngiuffate (tarnuése)
“Di abito femminile con gonfiezze e sbuffi/di persona che indossa un abito con gonfiezze e sbuffi”
Dallo spagnolo chofe
Compremento (napoletano)
Cumplemènde (tarnuése)
“Attenzione, regali, generosità usata in occasione ordinariamente di feste, visite, ospitalità, momenti d’allegria, ecc.”
Dallo spagnolo cumplir
Comprìanno (napoletano)
Combleànne (tarnuèse)
“Compleanno, anniversario”
Dallo spagnolo cumpleaños
Cosere (napoletano)
Còscije (tarnuése)
“Cucire”
Dallo spagnolo cosèr
Crianza (napoletano)
Creanze (tarnuése)
“Educazione,maniere civili, buona educazione”
Dallo spagnolo crianza
Desditta/disdetta (napoletano)
Desdètte/sdètte (tarnuése)
“Disgrazia, infortunio; sfortuna, sventura”
Dallo spagnolo desdicha
Don/donno/donna (napoletano)
Don/donna (tarnuése)
“Titolo onorifico che si premette ai nomi propri di persona”
Dallo spagnolo don e doña
Fanfarone/fanfarone (napoletano)
Fanfarròne (tarnuése)
“Chiacchierone, vanesio, ciarliero, faccendone, millantatore”
Dallo spagnolo fanfarrón
Friso (napoletano)
Frìse (tarnuése)
“Fregio, fregio per abiti, ornamento, laccio, trina”
Dallo spagnolo friso
Frìsole/frìsule/fasùle/ (napoletano)
Fascijùle (tarnuése)
“Denaro, denari, monete”
In dialetto tarnuése “Fascijùle cucìvele” = “Denaro contante”
Dallo spagnolo frìsoles
Fùnneco (napoletano)
“Fondaco, specie di corte abitata tutt’intorno da povera gente, così detta dall’essere già stata ognuna di esse ricetto di esercenti uno stesso mestiere o traffico”
Fùneche (tarnuése)
“Negozio di tessuti”
A Poggio Imperiale c’era “ U fùneche de Pagliapaglie”
Dallo spagnolo fóndago
Giarra (napoletano)
Ggiàrre (tarnuése)
“Giara, brocca”
Dallo spagnolo jarra
Gnògno (napoletano)
Gnògnere (tarnuése)
“Chi fa l’indiano, lo gnorri”
Dallo spagnolo ñoño
Grancascia (napoletano)
‘Rancascije/ ‘rangascije (tarnuése)
“Grancassa, grande tamburo”
In dialetto tarnuése “U ‘rangascijere” corrispondeva al suonatore di grancassa.
Dallo spagnolo gran caja
Guappo (napoletano)
“Bravaccio, smargiasso, camorrista”
Uàppe (tarnuése)
“Smargiasso; ostentare coraggio, eleganza; sfoggiare”
Dallo spagnolo guapo
Incartamènto (napoletano)
‘Ncartaménde (tarnuése)
“Fascicolo, inserto”
Dallo spagnolo encartamiento
Lazzaro (napoletano)
“Plebeo, becero, ragazzo lacero e scostumato, costretto a tutti i mestieri per vivere”
– Lazzarièllo = monello, scostumato, fanciullo della plebe;
– Lazzaróne = uomo rozzo e scostumato.
Lazzaróne (tarnuése)
“Persona dominata da furbesca avidità o da un’indisponente pigrizia”
Dallo spagnolo lázaro
Limpeto (napoletano)
Lìmpete (tarnuése)
“Limpido, pulito”
Dallo spagnolo limpiar
Linto (napoletano)
Lìnde (tarnuése)
“Lindo”
Linde e pinde = “Curato nel vestire, tirato a lucido, in ghingheri”
Dallo spagnolo lindo
Mandiglia/Mantiglia (napoletano)
“Sorta di mantellina, mantellina di seta nera; copertina per avvolgere i bambini in fasce” dallo spagnolo mantilla
O anche “zinale in pelle o tela forte; grembiule” dallo spagnolo mandil
Mandère/Mantère (tarnuése)
“Zinale di tela pesante” per lo più utilizzato dagli artigiani (muratori, calzolai, ecc.) dallo spagnolo mandil
Matta (napoletano)
Màtte (tarnuése)
“Nel gioco delle carte napoletane la “matta” è il sette di denari cui si assegna il numero dei punti che si vuole, da uno a dieci”
Dallo spagnolo mata
Mazzamauriéllo (napoletano)
Scazzamaurèlle (tarnuése)
“Piccolo demonio; spirito folletto, burlone e dispettoso, delle credenze e del folclore popolare”
Dallo spagnolo matamoros
Mazzamórra (napoletano)
Zavórre (tarnuése)
“Tritume, frantumi, sbriciolatura di qualsiasi cosa”
In dialetto tarnuése è usato soprattutto per indicare frantumi di tufo, mattone, ecc.
Dallo spagnolo mazamorra
Mmerrezzare/’mmerrezzà/’mmerrezzuto (napoletano)
‘Mbreggijate (tarnuèse)
“Andare in caldo, imbizzarrito, eccitato”
Forse, dallo spagnolo bizarrear/bizarro
Mpattare/’mpattà (napoletano)
Appattà/ppattà (tarnuése)
“Andar del pari, di pari passo; uscire a buone condizioni, a buoni patti; aggiustare qualche controversia; termine di gioco: ‘pattare, fare patta, chiudere la partita alla pari’ ”
Dallo spagnolo empatar
Mpellecciare/mpellecciatura (napoletano)
‘Mpellecciàture/’mbellecciàture (tarnuése)
“Coprire di legno più gentile i lavori di legno dozzinale; impiallacciatura”
Dallo spagnolo empelechar
Maccaturo (napoletano)
Maccature/maccutrèlle (tarnuése)
“Fazzoletto da naso; fazzoletto in generale”
Dallo spagnolo mocador
Muntone/ammontonare/ammuntunà (napoletano)
Mendóne/ammundenà (tarnuése)
“Mucchio, ponticello, piccola massa di checchessia; ammucchiare”
Dallo spagnolo montón
‘Ncarrare/’ncarrà/’ngarrà (napoletano)
‘Ngarrà (tarnuése) “Andare dritto allo scopo, imbroccare, indovinare, prendere la giusta via in un dubbio o problema”
In dialetto tarnuése “Sgarrà” significa invece l’esatto contrario.
Dallo spagnolo engarrar
‘Ngrifare(se)/’ngrifàrse (napoletano)
‘Ngrefà (tarnuése)
“Impennarsi, erigersi, rizzarsi; alterarsi, stizzirsi”
In dialetto tarnuèse “Ce sonne ngrefàte i carne” = “M’ è venuta la pelle d’oca”.
Dallo spagnolo engrifarse
‘Ntroppecare/’ntruppecà/’ntruppeco (napoletano)
‘Ndruppecà/’ndrùppeche (tarnuése)
“Inciampare, intoppare; inciampo intoppo, pietra d’inciampo”
Dallo spagnolo trompicar
Nturcigliare/’nturciglià (napoletano)
‘Nturcelijà /’ndurcelijà/’ndurcenijà (tarnuése)
“Attoricigliare, torcere”
Dal casigliano antico entorcer
Pacca (napoletano)
Pàcche (tarnuése)
“Natica”
In dialetto tarnuése a volte si dice:“A pàcche de sòrdete” (alla lettera “alla natica di tua sorella”) per fare un complimento alla sorella di un amico, mentre in altre circostanze la medesima
espressione assume un tono (volgare) ed offensivo.
Dallo spagnolo paca, ma forse più propriamente dal longobardo pakka corrispondente al tedesco Becke (coscia [del cavallo]; natica).
Padejare/padià (napoletano)
Pedeijàte/Peteijàte (tarnuése)
“Sopportare, patire, soffrire”
In dialetto tarnuése “Na zampane m’è pedeijàte tutt’a nuttate”= “Una zanzara mi ha tediato per l’intera nottata”.
Dallo spagnolo padecer
Paliare/palià/paliàta/paliatòne (napoletano)
Palià/paliàte/paliatòne (tarnuése)
“Bastonare, percuotere; bastonatura; solenne bastonatura”
Dallo spagnolo apelear, evoluzione dello spagnolo antico padir
Palomma (napoletano)
Pàlomme (tarnuèse)
“Farfalla”
– palùmmo (napoletano)
– palùmme (tarnuése)
“Colombo”
Forse, dallo spagnolo paloma
Papello (napoletano)
Papìlle (tarnuése)
“Decreto, carta, documento”
Dallo spagnolo papel
Paragge (napoletano)
“Vicinanze, dintorni, luoghi vicini”
Paràgge (tarnuése)
“Pari d’età”
Dallo spagnolo paraje
Paraguànto (napoletano)
Parauànte (tarnuése)
“Retribuzione per i servigi ottenuti o per amorevolezza e cortesia; presente, mancia”
Dallo spagnolo para guantes
Nota: In origine serviva per poter acquistare un paio di guanti.
Passiare/passià (napoletano)
Passià (tarnuése)
“Passeggiare; passeggiare lentamente senza meta”
Dallo spagnolo pasear
Pastìglia (napoletano)
Pastìglije (tarnuése)
“ Medicinale in pillole di forma rotonda o ovaloide”
Dallo spagnolo pastilla
Pellècchia (napoletano)
Pellècchije (tarnuése)
“Pelle aggrinzata, flaccida”
Dallo spagnolo pelleja
Percalla (spagnolo)
Percalle (tarnuése)
“Tela di cotone, specie di tela di bambagina pregiata”
Forse, dallo spagnolo percal ma anche dal francese percale
Pistàgna (napoletano)
Pestàgne (tarnuése)
“Collaretto, colletto”
Dallo spagnolo pestaña
Porfìa/proffediare/proffedià (napoletano)
Preffedià (tarnuèse)
“Ostinarsi, contrastare, perfidiare”
Dallo spagnolo porfìa
Priézza (napoletano)
Priézze (tarnuése)
“Viva gioia, allegrezza, contentezza”
Dallo spagnolo prear ma anche dal francese preisier
Primèra/premmera (napoletano)
Premère (tarnuése)
“La primiera nel gioco di carte del tressette”
Dallo spagnolo primiera
Quagliata (napoletano)
Quaglijàte (tarnuése)
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“Latte rappreso”
In dialetto tarnuése (in tono ironico sarcastico) si dice:“Mó l’à pròpije (o pròbbete) quaglijàte”, per significare: “Ora hai proprio concluso l’opera”.
Dallo spagnolo cuajada
Retrètto (napoletano)
“Camerino per bisogni corporali, gabinetto, ritirata”
Retrè (tarnuése)
“Pannelli leggeri che consentono di tenere divisi ambienti diversi “
Dallo spagnolo retrete ma anche dal francese retrait
Salimòja (napoletano)
Salamòrije (tarnuése)
Acqua salata per conservarvi pesci, olive, ecc.”
Dallo spagnolo salmuera
Sbalanzà/sbalanzo (napoletano)
Sbalanzà/sbalànze (tarnuése)
“Lanciare, risospingere violentemente, scrollarsi di dosso; spinta, urto che si prende per reggersi in mancanza di equilibio”
Dallo spagnolo abalanzar
Sbarejare/sbareà (napoletano)
Sbalijà (tarnuése)
“Vaneggiare, delirare, farneticare”
Dallo spagnolo desvariar
Scamozze/scamorza (napoletano)
Scamorze (tarnuése)
“Sorta di caciocavallo fresco a forma di piccola borsa allungata” ed anche “Persona assai sciocca, babbeo”.
Dallo spagnolo escamocho
Scampare/scampà (napoletano)
Scampagnà (tarnuése)
“Cessare di piovere, tornare il sereno”
Dallo spagnolo escampar
Scapéce/ascapéce (napoletano)
Scapéce (tarnuése)
“Modo di condire fritture di zucchine, di pesci ed altri cibi con aglio, aceto ed erbe aromatiche”
Dallo spagnolo escasbeche
Scapezzare (napoletano)
Scapezzà (tarnuése)
“ Piegare la testa, chinare il capo; tagliare il collo”
In dialetto tarnuése “Scapezzà” o anche “Scapezzà de sonne” vuol dire “Cader morto di sonno, cascar dal sonno”.
Forse, dallo spagnolo descabezar
Sciàrra/fà sciàrra (napoletano)
Scijàrre/ffà scijàrre (tarnuése)
“Rissa, briga, contesa; prendere briga, entrare in contrasto, rompere un’amicizia”
Improbabile derivazione dallo spagnolo charrada, più probabile derivazione dall’arabo šarra
Scorriato/scurriàto (napoletano)
Scuriàte (tarnuése)
“Frusta, sferza”
U scuriàte veniva utilizzato per incitare i cavalli a correre più forte, senza frustrarli, ma solamente facendolo “scruccà” (schioccare) nell’aria.
Dallo spagnolo zurriaga
Sòga (napoletano)
Zòche (tarnuése)
“Fune, corda”
Dallo spagnolo soga
Spantare/spantà/spanto (napoletano)
Scijecantà/Scijecantàte/Scijecànte (tarnuése)
“Meravigliare, stupire; meravigliarsi, spaventarsi; sbalordimento, stupore, meraviglia; spavento, orrore”
In dialetto tarnuése “Me sònghe peglijàte ‘nu scijecànte” = “Ho preso uno spavento”
Dallo spagnolo espantar/se
Supressàta (napoletano)
Supprescijàte (tarnuése)
“Salame piccolo, salamino assai compresso”
Dalla spagnolo sobrasada
Tabbàcco (napoletano)
Tabbàkke (tarnuése)
“Tabacco”
Dallo spagnolo tabaco
Tavùto/taùto (napoletano)
Taùte (tarnuése)
“Bara, cassa mortuaria”
Dallo spagnolo ataúd e anche dall’arabo tabut
Terróne/torróne (napoletano)
Terróne (tarnuése)
“Torrone, dolce fatto con mandorle, nocciole, miele, pistacchi e
zucchero”
Dallo spagnolo turrón (altri sostengono che la voce sia un prestito dal francese touron, dal nome della città di Tours in cui nel giorno di S. Martino Turonense si usava mangiare questo dolce).
Tosello (napoletano)
“Baldacchino con sedia regale”
Tusèlle (tarnuése)
“Addobbo di chiese in occasione di particolari festeggiamenti”
Dallo spagnolo dosel
Trezzejare/terzejare/trezzià (napoletano)
“Scoprire, tirare su a poco a poco le carte da gioco”
In dialetto tarnuése a tale significato corrisponde il termine “Prezzechijà”
Trezzià (tarnuése)
“Centrare, colpire nel segno”
Dallo spagnolo terciar
Usemà/uòsemo/ìrsene a uòsemo (napoletano)
Usemà/ùseme/ìrcene a ùseme (tarnuése)
“Fiutare; fiuto, annaspamento, traccheggio; conoscere a fiuto”
Dallo spagnolo osmar
Valànza (napoletano)
Velàngele (tarnuése)
“Bilancia”
– valanzèlla (napoletano)
– velangelèlle (tarnuése)
“Bilancetta, bilancino del farmacista”
Dallo spagnolo balanza
– valanzìno (napoletano)
– mulangìne (tarnuése)
“Terzo cavallo (o asino) aggiunto al tiro a due come rinforzo”; “traversa cui tale cavallo si attacca mediante le tirelle”
Dallo spagnolo balancìn
Vorzillo/vurzillo (napoletano)
Vurzìlle (tarnuése)
“Borsellino, taschino”
Dallo spagnolo bolsillo
Vuózzo (napoletano)
Vòzze (tarnuése)
“Gonfiore, bozzo, bitorzolo”
Dallo spagnolo boza
Zembrillo (napoletano)
Zeperìlle (tarnuése)
“Omiciattolo, ragazzaccio, fanciullo”. In dialetto tarnuése è anche l’equivalente di “scazzamaurèlle”.
Dallo spagnolo hombrecillo
Zito/zita (napoletano)
Zìte (tarnuése)
“Sposo novello, sposa novella”
Dallo spagnolo cito/cita
Zurro (napoletano)
Zurròne (tarnuése)
“Villano, zotico, rozzo”
Dallo spagnolo zurron
Dal libro di Lorenzo Bove
“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse
Edizioni del Poggio, 2008
LA PRESENZA DELLA LINGUA FRANCESE NEL DIALETTO “TARNUÉSE”
E’ noto che il francese è la lingua che nel corso dei secoli ha maggiormente influito sull’italiano.
Anche a Napoli, così come in tutto il Mezzogiorno, la presenza dei francesi si è alternata con quella di altri popoli dominatori, per cui si è avuto un afflusso di “francesismi” che si sono amalgamati con quelli di altre lingue (soprattutto lo spagnolo), creando sovrapposizioni che rendono a volte difficoltosa l’individuazione sicura dell’origine del termine.
Interessante, al riguardo, si è rivelata nella ricerca uno studio effettuato e pubblicato nel 2005 dall’Università degli Studi di Trieste. Si tratta di “Francesismi nel dialetto napoletano” di Alessia Mignone, a cura di Marcello Marinucci.
Si riscontrano, nel testo citato, termini napoletani corrispondenti o molto simili a quelli “tarnuíse”.
Proviamo a ricercare quindi, con un po’ di pazienza e con un pizzico di curiosità, le assonanze tra i due dialetti, confrontandone prima i rispettivi significati per poi avventurarci alla scoperta della loro possibile origine.
Accattare (napoletano)
Accattà (tarnuése)
“Comprare, acquistare”
– Accatt’e binne (napoletano)
– ‘Ccatt’e vènne (tarnuése)
“Compra e vende, bottegaio”
Una derivazione dal normanno acatar
Adacciare (napoletano)
‘Ddaccià (tarnuése)
“Tagliuzzare la carne, ridurre la carne a pezzi”.
Adattamento del francese antico hachier
Allum(m)are (napoletano)
“Accendere una luce, il fuoco, una candela e simili”
U lumìne (tarnuése)
“Fiammifero per accendere il fuoco, una candela e simili”
Dal francese antico a(l)lumer
Ammarrà(re) (napoletano)
Ammarrà (tarnuése)
“Socchiudere, accostare o chiudere del tutto porte, finestre, ecc.”
Dal francese amarrer
Ammuccià (napoletano)
Ammuccià (tarnuése)
“Tacere, essere costretto a fare silenzio, subire un’offesa senza protestare; nascondere”
Dal francese antico soi mucier (francese se musser)
Argentière (napoletano)
“Chi lavora o vende oggetti d’argento, inargentatore di oggetti”
‘A ‘rgendière (tarnuése)
“Credenza contenente cristalleria, posateria ed altro”
Dal francese argentier
Arrangià (napoletano)
‘Rrangià (tarnuése)
“Accomodare, aggiustare alla meno peggio, rabberciare, cercare di trarre il miglior partito da una circostanza o da un affare; cercare alla meglio di uscire da un malanno o da una situazione scomoda”
Dal francese arranger
Assisa (napoletano)
“Calmiere, prezzo imposto dal magistrato comunale ai commestibili di uso comune”. Il detto “mettere l’assisa a le cetrole” significa “ valutare male, giudicare senza competenze”
Scèse (tarnuése)
“Mmètte a scèse ‘u pèsce” (svegliarsi prestissimo); il detto dialettale tarnuèse deriverebbe dalla tassa (francese: accise) applicata il mattino presto al pesce appena pescato.
Dal francese accise “tassa, tributo indiretto a carico del
produttore, che grava sulla produzione di determinati beni”
Bombò (napoletano)
Bombò (tarnuése)
“Dolce di zucchero, caramella”
Dal francese bon bon
Brilocco (napoletano)
Berlòcche (tarnuése)
“Ciondolo per ornamento sul petto o al collo”
Dal francese breloque
Buatta (napoletano)
Buatte (tarnuése)
“Scatola”
Dal francese boîte
Buchè (napoletano)
Buchè (tarnuése)
“Fascio di fiori”
Dal francese bouquet
Bùccolo (napoletano)
Bòcchele (tarnuése)
“Ciocca di capelli arricciati, boccolo, ricciolo”
Dal francese boucle
Buffè (napoletano)
Buffè (tarnuése)
“Credenza, mobile per riporvi bicchieri, tazze”
Dal francese buffet
Cemmenèra (napoletano)
Cemmenère (tarnuése)
“Camino, fumaiolo di un’abitazione”
Dal francese cheminée
Ciammuòrio (napoletano)
Ciamòrije (tarnuése)
“Forte raffreddore dell’uomo”
Dal francese chamoire
Ciaràvolo (napoletano)
Ciaràvele (tarnuése)
“Ciarlatano, imbroglione od anche incantatore di serpenti”
Dal francese antico charaut
Cola (napoletano)
Cole (tarnuése)
“Gazza”
Dal francese colas
Commò (napoletano)
Chemò (tarnuése)
“Cassettone”
Dal francese commode
Cótra/e (napoletano)
Cùtre (tarnuése)
“Coltre, coperta”
Dal francese antico coltre
Cricco (napoletano)
Crìcche (tarnuése)
“Martinetto, binda, arnese che serve a sollevare pesi”
– ‘ncriccà/rse (napoletano)
– ‘ngreccà/rce (tarnuése)
“rizzare/arsi,sollevare/arsi; agghindare/arsi;abbellire/arsi, adornare/arsi”
Dal francese cric
Dammaggio (napoletano)
Dammaije (tarnuése)
“Danno”
Dal francese antico damage
Gajóla/ca (napoletano)
Caijòle (tarnuése)
“Gabbia, trappola per uccelli; prigione”
Dal francese antico aiole
Giacchètta (napoletano)
Giacchètte (tarnuése)
“Giacca (da uomo e, nei tailleurs, da donna)”
Dal francese jaquette
Guarzòne (napoletano)
Uarzòne/Varzòne (tarnuése)
“Dipendente di un bottegaio, fattorino, commesso, garzone”
Dal francese antico garçon
Guatto (napoletano)
Uatte (tarnuése)
“Ovatta”
Dal francese ouate
Jettecìa/iettecìa (napoletano)
“Tisi, cattiva salute”
Jettecà (tarnuése)
“febbre convulsiva, spaventarsi”
Dal francese hectisie poi passato a èthisie: da éthique
Lampa (napoletano)
Lampe/lambe anche Lampine/Lambine (tarnuése)
“Lampada, lume acceso in cimitero o in casa dinnanzi a immagini di santi o di defunti”
Dal francese lampe
Lettèra (napoletano)
Lettère (tarnuése)
“Letto di paglia per bestiame; intelaiatura del letto, lettiera (se di legno), fusto (se di ferro)”
Dal francese litière
Mallardo (napoletano)
Mallarde (tarnuése)
“Anatra selvatica”
Dal francese antico malart/malard
Mam(m)à (napoletano)
Mammà (tarnuése)
“Mamma”
Dal francese maman
Marchèse (napoletano)
Marchèse (tarnuése)
“Mestruazione, regole femminili”
Dal francese marquis
Maysone/masone (napoletano)
Mascione (tarnuése)
“Casa, tenda, pollaio”
Detto tarnuése: “Au mascione” = rientrare a casa, mettere a dormire, portare a letto qualcuno” [Ammasunare (napoletano) = mettere a dormire, portare a letto qualcuno]
Dal francese maison
Mèccia (napoletano)
Mmèccije (tarnuése)
“Calettatura, commettitura (tra due tavole di legno o d’altro materiale)”
Dal francese mèche
‘Nciarmà(re) (napoletano)
‘Ngiaremà (tarnuése)
“Incantare, ammaliare”
Detto tarnuèse: “C’è ffàtte ‘ngiaremà fine fine/bèlle bèlle” (di chi si è fatto abbindolare come un allocco)
Dal francese antico (en)charmer
‘Nguaggio (napoletano)
“Pegno, scommessa”
‘Nnoglia (napoletano)
“Salsiccia ripiena, anziché di carne scelta, di tritume di carni scadenti e di interiora di bestie macellate”
‘Nnoglije (tarnuése)
“Budelle di suino trattate con sale e peperoncino ed essiccate”
Dal francese antico andouille
‘Ntramèsa (napoletano)
“Intermezzo”
‘Ntramèze o tramèz (tarnuése)
“Divisorio”
Dal francese entremise
‘Nzerrà (napoletano)
‘Nzerrà (tarnuése)
“Serrare, chiudere”
Dal francese antico enserrer
Paràggio (napoletano)
Paràggije (tarnuése)
“Paragone, agguagliamento”
Detto tarnuése: “Pàre paraggije (o anche parìggije), pàre d’ànne, pàre de perzòne e pàre de condezione”.
Dal francese pariage
Parèglia (napoletano)
Parìglije (tarnuése)
“Contraccambio, pariglia, coppia o paio di oggetti uguali; uguale trattamento (nella locuzione “rendere la pariglia” =“Ricambiare allo stesso modo un torto, un’offesa, ecc.”).
In dialetto tarnuése: “’Na parìglije de fèdere de cuscìne” per indicare due federe per cuscini, ecc. Ma viene usato anche il termine “cócchije”: ad esempio “Na cócchije d’òve” per indicare due uova.
Dal francese pareille
Pasmà (napoletano)
“Spasimare”
Pasemùse (tarnuése)
In dialetto tarnuése “pasemùse” veniva usato in particolare per indicare (in modo offensivo) un soggetto asmatico, tisico e similare.
Dal francese antico pasmer
Peccióne (napoletano)
Peccióne (tarnuése)
“Pippione (piccione, giovane dei colombi; pulcino degli altri volatili)”
In dialetto tarnuése la locuzione “U peccióne de sòrdete”rappresenta una sorta di complimento rivolto alla bella sorella di qualcuno.
Dal francese antico pigeon
Pecuózzo (napoletano)
Bezzòche (tarnuése)
“Converso, frate laico addetto ai servizi del convento; persona eccessivamente legata a pratiche religiose, bigotto”.
Dal francese antico bigoz
Pènza (napoletano)
Pènze (tarnuèse)
“Piega cucita che serve a dar forma a un vestito”
Dal francese pince
Percàlla (napoletano)
Percàlle (tarnuése)
“Tela di cotone, specie di tela di bambagina, pregiata”
Dal francese percale ma anche dallo spagnolo percal
Perciare (napoletano)
“Forare, passare da parte a parte con il succhiello”
– Perciatièlle (napoletano)
“Foratini, maccheroncini bucati”
– Preccelijatelle (tarnuése)
“Bucatini, spaghettoni”
Dal francese antico percier
Priézza (napoletano)
Priézze (tarnuése)
“Viva gioia, allegrezza, contentezza”
Dal francese preisier ma anche dallo spagnolo prear
Quaquìglia (napoletano)
“Conchiglia (nome generico)”
Cuchìglije (tarnuése)
“Telline”
Dal francese coquille
Recùoncolo (napoletano)
Rrecòne (tarnuése)
“Ricetto, tana, angolino, cantuccio”
Dal francese recoin
Retrè(tto) (napoletano)
“Camerino per bisogni corporali, gabinetto, ritirata”
Retrè (tarnuése)
“Pannelli leggeri che consentono di tenere divisi ambienti diversi “
Dal francese retrait ma anche dallo spagnolo retrete
Sanfasò (napoletano)
Sanfasò (tarnuése)
“Con superficialità, senza criterio”
Dal francese sans façon
Sargènte (napoletano)
Sargènde (tarnuése)
“Morsa, arnese per stringere pezzi di legno incollati”
Dal francese sergent
Sarvietto (napoletano)
Salvijette (tarnuése)
“Tovagliolo, salvietta”
Dal francese serviette
Scemise (napoletano)
Scijamise (tarnuése)
“Paltò di stoffa leggera”
Dal francese chemise
Sciabbò (napoletano)
Ggiabbò (tarnuése)
“Davantino di stoffa, rigonfiamento di tessuto all’altezza del collo, merletto”
Dal francese jabot
Sciarabballo (napoletano)
Scijarrabbà (tarnuése)
“Calesse, barroccio”
Dal francese char a bancs
Scignò (napoletano)
Scijgnò (tarnuése)
“Ciocca di capelli finti inseriti tra quelli veri”
Dal francese chignon
Sciovè (napoletano) “Mal riuscito”
– sciuè sciuè (napoletano)
– scijuè scijuè (tarnuése)
“Alla buona, superficialmente, con semplicità”
Dal francese èchouè
Sgarrà(re) (napoletano)
Sgarrà (tarnuése)
“Sbagliare, commettere un errore”
Dal francese antico esg(u)arer; francese moderno égarer/s’egarer
Spingula (napoletano)
Spingule (tarnuése)
“Spilla”
Dal francese espingle
Spionà(re) (napoletano)
“Far la spia, osservare indiscretamente ciò che si fa in casa d’altri”
Spijà (tarnuése)
“Guardare”
Dal francese espionner
Tirab(b)usciò (napoletano)
Tirabbuscijò (tarnuése)
“Cavatappi”
Dal francese tire-bouchon
Tulètta (napoletano)
Toilètte (tarnuése)
“Mobile fornito di cassetti e specchio, che si usa per pettinarsi e truccarsi; abbigliamento, acconciatura; l’insieme dei capi di abbigliamento occorrente per vestirsi”
Il mobile con specchi fornito di bacile e brocca in porcellana in dialetto tarnuése veniva chiamato anhe “u lavàbbe”
Dal francese (table de) toilette
Tuppo (napoletano)
Tuppe (tarnuése)
“Ciuffo di capelli che le donne portano annodato e fermato dietro la testa”
Dal francese toup
Turnése (napoletano)
Turnése (tarnuése)
“Tornese (antica moneta napoletana); denaro”
Dal francese antico torneis (coniato nella città di Tours)
Zénzole (napoletano)
Céncele (tarnuése)
“Cenci, stracci di panno”. In dialetto tarnuése si dice anche “cenciòne” (vecchio indumento)
Dal francese antico cince
Dal libro di Lorenzo Bove
“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse
Edizioni del Poggio, 2008
IL DIALETTO “TARNUÉSE” (di Poggio Imperiale)
Il dialetto “Tarnuése” (di Poggio Imperiale) risente dell’influenza di un numero considerevole di dialetti e lingue dovuta alla variegazione della provenienza della sua popolazione.
Al primo posto viene il dialetto o “lingua napoletana”, non foss’altro che per l’appartenenza del territorio al Regno di Napoli.
Non si deve, poi, dimenticare lo specifico apporto del Principe Placido Imperiale e del suo “entourage" campano in tutto il processo di costituzione del nuovo insediamento, che ha ulteriormente esaltato l’integrazione del dialetto napoletano nella parlata “tarnuése” originaria, piuttosto che nei dialetti parlati negli altri paesi viciniori.
Ne è prova il fatto che i dialetti parlati a Lesina, Apricena, San Nicandro Garganico e San Paolo Civitate, presentano ancora oggi delle diversità rispetto al “tarnuèse”, nonostante la naturale tendenza all’omogeneizzazione.
Il “napoletano” si è ulteriormente affermato a Poggio Imperiale in relazione alle frequentazioni dei suoi abitanti a Napoli per motivi di studi, ma anche per l’apprendimento delle arti e dei mestieri.
Ragione per cui il “napoletano“ ha cominciato con il rappresentare il modo di parlare “forbito” del ceto più abbiente.
La destinazione a Poggio Imperiale di famiglie provenienti da diverse destinazioni da parte del Principe Imperiale, ha finito comunque con l’influenzare e dunque modificare nel tempo lo stesso dialetto napoletano.
Sono giunte a Poggio Imperiale famiglie provenienti dall’Albania, dalla Campania, dalla Basilicata e dalla Calabria oltre che da diversi paesi della stessa Puglia.
Già da ragazzo, mi incuriosiva la ricerca delle assonanze con il dialetto napoletano quando al “Cinema Imperiale” – una sorta di ”Nuovo Cinema Paradiso” (dal film di Giuseppe Tornatore, vincitore dell’Oscar nell’anno 1990 quale miglior film straniero, prodotto da Franco Cristalli, musiche di Ennio Morricone, Titanus Distribuzioni) – proiettavano i film di Totò, Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, Dante, Beniamino e Pupella Maggio.
Altrettanta curiosità mi destavano alcuni termini dialettali del tipo:
Accattà = comprare
Addaccià = tagliuzzare la carne
Ammarrà = chiudere, sprangare
Ammuccià = nascondere
Au mascìone = a casa
Buàtte = barattolo
Buffè = credenza
Chemò = cassettone
Retrè = divisorio
E, ciò, fintanto che non ho avuto poi modo di poter appurare che si trattava di “francesismi” che avevano in origine influenzato il dialetto napoletano e, conseguentemente, il dialetto “tarnuèse”.
Mi incuriosiva, inoltre, il fatto che i “tarnuìse” (i miei concittadini poggioimperialesi) abitualmente, nella pronuncia, non facessero molta distinzione tra la lettera “B” e la “V”.
Infatti, nomi propri di persona, come Berardo, Berardino, in dialetto "tarnuèse" venivano pronunciati rispettivamente “Velàrde” e “Velardìne”.
Così anche molti termini, aventi iniziale per “B”, che subivano la medesima sorte, come ad esempio:
Bacio = Vuàscije
Barbiere = Varevère
Barca = Vàrche
Basso = Vàscije
Basta = Avàste
Beato = Vijàte
Bilancia = Velàngele
Bosco = Vòsche
Botte = Vótte
Braccia = Vràccije
Braciere = Vrascère
Braghe = Vràche
Broccolo = Vròcchele
Boragine = Vurràijene
Borraccia = Vurràccije
Sicuramente ciò è dovuto all’influenza della lingua spagnola nel dialetto napoletano che ha a sua volta influenzato quello “tarnuèse”.
In particolare, la “B” e la “V” in spagnolo hanno, tra loro, sempre lo stesso suono, diversamente dai due corrispondenti suoni italiani che sono invece ben differenziati tra loro.
In realtà una leggera differenza di suono c’è anche nella lingua spagnola, a seconda del contesto in cui la “B” e la “V” si trovano, anche se la distinzione fonetica non risulta così marcata come nella nostra lingua.
La “b” si chiama “be” lunga o “be de buro”, la “v” invece “be” corta o “be de vaca” (pronunciata baca). In Catalogna parlano di “be” [alta] e di “be” [baixa] per “v”.
La circostanza che la pronuncia della “B” e della “V” sia identica comporta tutta una serie di problemi ortografici anche per gli stessi spagnoli.
E’ caratteristica, a questo proposito, la domanda: “¿Còme se escribe, con be o con uve”?
Peraltro la cosa rappresenta una delle maggiori difficoltà degli spagnoli nell’affrontare la lingua italiana, ove è marcata la distinzione fonetica tra la “bi” e la “vi”.
Ma l’influenza spagnola nel dialetto “tarnuèse” non si limita solo ad aspetti legati alla semplice pronuncia di alcune consonanti, ma va ben oltre. Infatti, considerevole è la presenza nel nostro dialetto “tarnuése” anche di termini di lingua spagnola.
Dal libro di Lorenzo Bove
“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse
Edizioni del Poggio, 2008
“Dind’a ‘ndó”: la musicalità del dialetto tarnuése
Nel dialetto tarnuése, dall’unione degli avverbi “dentro” (dinde) e “dove” ("andó" o anche ‘ndó” o "addó", dallo spagnolo “donde/adonde”), si è formato “Dind’a ‘ndó” (dentro dove).
Proviamo ad assistere ad un simpatico duetto domestico ove qualcuno cerca qualcosa che non riesce a trovare.
Personaggio A:
“Pìglijme nu pòche quèlla còse”
[Prendimi per favore quella cosa…citando il nome dell’oggetto ricercato]
Personaggio B:
"Ndó stà?”
[Dov’è?]
Personaggio A:
“Dind’a lò…(buffè, chemò, ecc.)”
[E’ dentro lì…(credenza, cassettone, ecc.) vicino a te]
Personaggio B:
“Dind’a qua?”
[Proprio dentro qui?]
Personaggio A:
“Sine, dind’a lò”
[Si, proprio dentro lì]
Personaggio B:
“M’a qua ‘nge stà”
[Ma qui non c’è]
Personaggio A:
“ Allóre vide dind’a là…(a rrmàdije, u baùglije, ecc.)”
[Allora guarda in quell’altro posto…(armadio, baule, ecc.)]
Personaggio B:
"Nge sta manghe dind’a là”
[Non cè neanche là (lontano da chi parla e da chi ascolta)]
Personaggio A:
“Allóre, se ‘nge stà qua,‘nge stà lò e mànghe a là…dind’a ‘ndó stà?"
[Allora, se non è qui, non è lì e nemmeno là…dentro dove sta?]
Come si può notare “Dind’a ‘ndó” (dentro dove) possiede una musicalità assimilabile al suono di campane
<< …Din…dan…dó ! >>
Dal libro di Lorenzo Bove
“Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse
Edizioni del Poggio, 2008
QUMRAN: IL MISTERO DEI ROTOLI DEL MAR MORTO
Non poteva mancare, nell’occasione del mio viaggio in ISRAELE della primavera dello scorso anno con mia moglie, una visita a QUMRAN, in prossimità del Mar Morto, alla “scoperta” dei ROTOLI DEL MAR MORTO.
Un’avventura veramente interessante.
Il sito archeologico è ben attrezzato sia sotto il profilo del comfort che della logistica in generale.
Prima della visita vera e propria, viene proposta – in una apposita saletta dedicata – la proiezione di un filmato che ripercorre la storia di Qumran, degli “Esseni” e del ritrovamento dei famosi Rotoli.
Successivamente si passa a visitare la (ricostruzione della) grotta nella quale i Rotoli vennero effettivamente rinvenuti.
Qumran, situata ad ovest della strada Kaliah-Sodoma, a nord-ovest del Mar Morto, era abitata da Ebrei già nell’ottavo secolo a.C.
La fama di Qumram viene dagli “Esseni” che lì abitarono e studiarono nel corso di due secoli (dalla fine del periodo di Hashmonaim fino alla grande rivolta contro i romani).
Questi lasciarono nelle grotte situate nei dintorni magnifici manoscritti che conosciamo oggi come i “Rotoli del Mar Morto”
Gli “Esseni” arrivarono a Qumran verso la fine del secondo secolo a.C. e nel 31 a.C., durante il periodo Erodiano, si verificò un forte terremoto e il luogo fu abbandonato.
Circa 250 anni dopo, durante il periodo di Archelao (figlio di Erode il Grande, 4 a.C. – 6 d.C.) gli “Esseni” ritornarono a Qumran e la ricostruirono.
Nel 68 d.C. i romani conquistarono Qumran ma poi lasciarono il posto.
Le ultime tracce di abitazione risalgono al periodo della ribellione di Bar-Kochba (132-135 d.C.) quando membri del governo romano vi si insediarono nuovamente.
Allorchè anche questi ultimi lasciarono definitivamente il sito, Qumran venne complemente abbandonata e dimenticata.
Solo in epoca recente, e più precisamente nel 1947, un beduino in cerca di una pecora smarrita gettò un sasso all’interno di una grotta del luogo, colpendo casualmente alcuni antichi vasi di terracotta contenenti dei rotoli, che cominciarono poi a passare di mano senza alcuna particolare rilevanza.
Si chiamava Mohammed el-Hamed – detto “il Lupo” – l’autore della sensazionale scoperta, che avvenne in quella vallata rocciosa e inospitale nei pressi del Mar Morto, allora appartenente alla Palestina sotto mandato britannico.
Il giovane beduino udì, dopo aver lanciato il sasso, un rumore sordo, come di un vaso rotto ed il giorno dopo trovò il coraggio di inoltrarsi nella grotta e lì trovò decine di giare, alcune intere, altre spezzate contenenti rotoli scritti in lingue antiche, parole che lui non poteva comprendere.
Fu invece il Frate Roland de Vaux, venuto a sapere della scoperta, a dare inizio agli scavi nella zona dal 1951 al 1956, accompagnato da un gruppo di archeologi francesi.
Cominciò così la ricerca sull’attività degli “Esseni”.
Vennero rinvenuti altri rotoli e delle costruzioni antiche che rafforzarono la teoria che Qumran era di fatto il nucleo dell’attività “Essena”.
Le grotte sono localizzate in dirupi di difficile accesso (adatto a nascondigli per manoscritti) e le varie costruzioni servivano per i vari usi. I rotoli, trovati in vasi di terracotta, si conservarono per duemila anni (grazie al clima particolarmente arido); essi contengono brani del Vecchio Testamento, gli Apocrifi e altri scritti “Esseni”.
Una parte dei rotoli trovati sono visibili nel EICHAL HA’SEFER (museo del libro) che è parte del museo di Israele.
Gli “Esseni” erano asceti che davano grande importanza alla purità (e quindi ai bagni e alle abluzioni rituali). Conducevano vita comunitaria, ma ciò non impediva loro di costruire capanne e tende per una vita di isolamento.
Avevano sale per assemblee, refettorio, cucina comune, bagni rituali ed anche camere per lavanderia.
Non mancava infine il cimitero della comunità.
Caratteristica era la loro sala di scrittura, con tavoli e portapenne: qui gli “Esseni” evidentemente scrissero la maggior parte dei rotoli trovati nelle grotte.
I rotoli di Qumran sono pergamene scritte in aramaico, greco ed ebraico. La loro datazione viene collocata tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C.
Con ogni probabilità questi scritti di ambiente giudaico sono la migliore fonte che abbiamo per conoscere la Palestina ai tempi di Gesù.
In tutto furono scoperte 11 grotte, l’ultima nel 1956, e i frammenti rinvenuti circa 15mila appartenenti a 800-850 manoscritti.
Le autorità giordane che avevano appena guadagnato il controllo del territorio, costituirono un team di studiosi di varia nazionalità che monopolizzò lo studio dei Rotoli.
Durante tutti gli anni ’50 le migliaia di frammenti vennero ricongiunti, identificati e infine tradotti.
Nel 1967 Qumran e le terre circostanti cambiarono nuovamente di mano. Il controllo della Cisgiordania passò ad Israele e con esso anche l’intera collezione dei rotoli.
Scoppiarono diverse incomprensioni tra le autorità israeliane e alcuni membri del comitato di ricerca, la cui direzione venne interamente sostituita.
Infine l’Autorità dei Parchi Nazionali destinò il sito a Parco Archeologico aperto al pubblico.
In loco c’è un comodo parcheggio, locali di ristoro, servizi e negozietti di souvenir.
Il percorso archeologico e ben segnalato e ricco di tavole esplicative plurilingue.
La stella di Betlemme
Natale è alle porte e i convulsi preparativi che vedono coinvolti giovani, vecchi e bambini nella corsa ai regali e agli acquisti per le imminenti Festività di Fine Anno sono in dirittura d’arrivo, in un’atmosfera di consueta gaiezza e partecipazione, nonostante la crisi finanziaria ed economica che sta interessando e preoccupando il mondo intero.
Le previsioni, stando ai soloni dell’informazione, erano addirittura catastrofiche e prefiguravano un Natale senza luminarie, niente regali e tutti a casa a lume di candela.
Ma, a quanto pare, così non è!
Anche le abbondanti nevicate dei giorni scorsi fanno ben sperare per un pienone nelle località turistiche invernali e le prenotazioni di viaggi, verso le capitali europee e le altre località esotiche, sembrano mantenere il livello degli altri anni.
I centri urbani dei paesi e delle città sono festosamente illuminate di luci scintillanti e tanti alberi di Natale sono stati issati nelle piazze e nelle case, in molte delle quali offre la sua testimonianza il Presepe, con la sua grotta, i pastori, le pecorelle, i Magi, ecc.
Ma c’è un simbolo che accomuna tutte queste manifestazioni esteriori natalizie: è la “stella cometa”.
E la troviamo nelle luminarie, sugli alberi di Natale e naturalmente nei Presepi.
Ma cos’è e cosa simboleggia la “stella cometa”?
Il Vangelo di Matteo è l’unica fonte del Nuovo Testamento che parla di questo oggetto, indicandolo col nome di «stella». Il testo completo riporta che «Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese […]. Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi» (Mt 2,1-12.16).
Quindi per “Stella di Betlemme”, impropriamente detta “stella cometa”, si intende il fenomeno astronomico che, secondo il racconto del Vangelo di Matteo, guidò i Re Magi a fare visita a Gesù appena nato.
Il fondamento storico del racconto è discusso. Storici laicisti e alcuni biblisti cristiani lo vedono come un particolare leggendario. Altri biblisti cristiani ne ammettono la veridicità, e in particolare sarebbe da identificare con una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C. Il particolare ha comunque avuto una straordinaria fortuna artistica, in particolare nelle rappresentazioni della Natività e del Presepe.
La comune denominazione di “stella cometa” risale al fatto che Giotto, a inizio XIV secolo, la disegnò appunto come una cometa, impressionato dal recente passaggio della Cometa di Halley.
Ho avuto l’opportunità di visitare con mia moglie in Terra Santa, in primavera dello sorso anno, a Betlemme, il luogo dove è nato Gesù.
Il punto preciso della “Natività” è contrassegnato da una “stella”.
Dopo i vangeli, la più antica testimonianza sul luogo della nascita di Gesù è del filosofo e martire Giustino, originario di Flavia Neapolis, odierna Nablus, in Palestina: “Al momento della nascita del bambino a Betlemme, poiché non aveva dove soggiornare in quel villaggio, Giuseppe si fermò in una grotta prossima all’abitato e, mentre si trovavano là, Maria partorì il Cristo e lo depose in una mangiatoia, dove i Magi, venuti dall’Arabia lo trovarono”.
Questa medesima grotta fu circondata dalle magnifiche costruzioni dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena non molto dopo il 325 d. C., come narra lo storico Eusebio di Cesarea, contemporaneo ai fatti.
Nel 386, san Girolamo si stabilì nei pressi della basilica, con la nobile matrona romana Paola e altri seguaci, vivendo vita monastica, dedicandosi allo studio della Bibbia e producendo la sua celebre versione latina (Vulgata), che divenne poi ufficiale nella chiesa d’Occidente. Il suo sepolcro, così come quello dei suoi compagni e compagne, fu scavato nelle immediate vicinanze della grotta medesima.
La basilica del IV sec. fu sostituita nel VI sec. da un’altra di dimensioni maggiori, che è quella ancora oggi in piedi.
In epoca crociata (XII sec.) le pareti furono abbellite di preziosi mosaici dai fondi incrostati d’oro e di madreperla, dei quali rimangono ampi frammenti con scene del nuovo Testamento (nel transetto, con iscrizioni latine) e la rappresentazione simbolica di concili ecumenici (nella navata, con iscrizioni greche). Al di sopra delle colonne della navata in una fila di medaglioni sono raffigurati gli antenati di Gesù (con diciture latine). Uno degli angeli adoranti della parete sinistra ha ai piedi una iscrizione (in latino e in siriaco) con il nome dell’artista, il pittore Basilio.
Scavi fatti negli anni 1934-35 (dal governo mandatario inglese) hanno riportato alla luce considerevoli resti dei mosaici pavimentali della basilica costantiniana, alcuni dei quali sono visibili tanto nella navata che nel transetto della basilica.
I francescani, che dimorano a Betlemme dal 1347, posseggono accanto alla basilica della Natività il proprio convento e una chiesa (dedicata alla santa martire Caterina) che serve principalmente per le necessità della comunità cristiana cattolica locale di rito latino.
La nostra visita a Betlemme si è conclusa con un pranzo preparato da frati francescani.
La gastronomia “tarnuèse” (di Poggio Imperiale)
I piatti della tradizione paesana “tarnuèse” (di Poggio Imperiale) sono quelli tipici della cucina pugliese in generale, ma risentono molto dell’influenza molisano-abruzzese dovuta, non solo alla vicinanza del paese alla Regione Molise, ma anche agli antichi rapporti che intercorrevano tra i due popoli ai tempi della “transumanza” delle pecore dalle montagne abruzzesi alle pianure pugliesi e viceversa.
Si tratta di piatti semplici preparati per lo più con i prodotti locali che fanno esaltare la genuinità dei cibi.
All’elencazione che segue deve essere attribuito un semplice valore indicativo e non esaustivo, poichè molteplici sono i modi di preparare, a Poggio Imperiale, verdure, pesce, carne, dolci, ecc.
– U cavedélle (bruschetta condita con olio, sale ed eventuale aglio e peperoncino); una varietà particolare è rappresentata dallo scijcàtta muglijere che viene bagnato e rimesso sulla graticola;
– Pane e pemmedòre (pane, pomodoro, olio, sale e origano);
– A fellàte (antipasto di salsiccia, soppressata, prosciutto, caciocavallo, ecc.);
– Cozzel’a nere e cozzel’a bianche (cozze, vongole in tutte le salse);
– Cuchijglie (telline) crude o a zuppa (ciavedèlle de cuchijglie);
– Zuppe di pescije (zuppa di pesce preparata con i prodotti locali);
– Mulagname o scarcioffele a rrechijene (melanzane o carciofi ripieni);
– Menèstre d’anguille (zuppa di anguilla con verdure di campo selvatiche);
– Panecotte (pane raffermo cotto con verdure di campo selvatiche);
– Fave e cecorije (purea di fave secche con cicoria di campo);
– Recchijetèlle, cecatèlle, laine, past’a la chitarre, ‘ndorcele o trocchele, tagliuline (pasta fatta rigorosamente a mano: orecchiette, cavatelli, pappardelle, pasta alla chitarra, troccoli, tagliolini);
– U brudétte (è il piatto di Pasqua e si prepara con agnello o capretto, asparagi selvatici locali, formaggio e uova; alcune varietà ammettono anche cardi selvatici “carducce” e finocchi);
– U jallucce a rrechijne (è il piatto di ferragosto e si prepara imbottendo accuratamente il galletto ruspante con uova, formaggio ed interiora);
– I turcenélle arrestùte (speciali fagottini preparati con le interiora dell’agnello o capretto: il fegato con formaggio, prezzemolo, sale, aglio e peperoncino viene avvolto nella rézze con le budelline);
– I brascijole (involtini di manzo, di vitello o anche di cavallo al sugo (con peperoncino piccante) con il quale vengono conditi i piatti di pasta fatta in casa;
– U rote de patàne a u furne (la classica teglia pugliese al forno: agnello o capretto, patate, lampascioni, aglio, olio e sale);
– Sausicchije e fedacàccie (salsiccia con semi di finocchio e salsiccia di fegato preparati alla brace o anche al sugo per condire i primi piatti);
– I cardarélle (i funghi cardoncelli locali preparati con aglio, prezzemolo, olio, sale e peperoncino, alla griglia, o anche in umido o semplicemente fritti indorati;
– I cucuccèlle fritte ‘ndurate (zucchine tagliate a rondelle fritte indorate);
– I nèvele (dolci natalizi: rosette di pasta fritte o al forno e condite con mosto cotto locale);
– I cavezune (dolci natalizi: calzoni di pasta al forno con ripieno di ceci passati, mosto cotto, mandorle e cioccolato);
– I scarpélle (pasta lievitata e fritta a forma di bastoncini irregolari);
– I taralluccije (i classici tarallucci con i semi di finocchio che si consumano al naturale o bagnati nel vino rosso locale);
– I puperate (dolci di pasta lievitata al forno a forma di ciambelle; alcune varietà “puperate selvaggije” vengono preparate con l’aggiunta di cacao, cioccolato, mosto cotto, mandorle, arancia grattugiata e cannella);
– I puccellàte (dolci a forma di treccia con superfice lucida di colore simile al mogano ottenuta con lo spennellamento del tuorlo d’uovo sbattuto prima di infornarli).