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21
Mar

Mediatore Professionista civile e commerciale: da oggi anche liti condominiali e i sinistri stradali.

Il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al Mediatore, previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010 in materia di mediazione civile e commerciale, si estende – da oggi 21 marzo 2012 – anche alle liti di condominio ed agli incidenti stradali, che erano stati temporaneamente differiti di un anno.

Anche il nostro ordinamento giuridico ha dunque completamente recepito l’istituto della “Mediazione”, quale strumento alternativo per la definizione delle controversie (ADR Alternative Dispute Resolution), a costi molto contenuti ed in tempi ragionevoli (massimo quattro mesi).

Tutti gli atti sono esenti da Bollo e da ogni altra imposizione, e l’eventuale “accordo” non è soggetto a spese di registrazione fino ad un importo di 50.000 euro. Viene altresì riconosciuto un credito di imposta (commisurato all’indennità dovuta) fino a 500,00 euro, in caso di esito positivo della mediazione, che viene ridotto alla metà in caso di insuccesso.

La mediazione è facoltativa, salvo i casi espressamente previsti dalla legge. Rappresenta infatti una condizione di procedibilità dell’azione civile, la mediazione concernente le controversie in materia di condominio; diritti reali; divisione; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; comodato; affitto di azienda; risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti; risarcimento del danno derivante da responsabilità medica; risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità; contratti assicurativi, bancari e finanziari.

La norma, se per alcune fattispecie è finalizzata al tentativo di recuperare un rapporto tra soggetti appartenenti ad un medesimo contesto sociale (condominio, eredità, patti di famiglia, ecc.), per altre ha il dichiarato intento deflattivo e cioè quello di diminuire il carico di cause pendenti nei nostri Tribunali (sinistri stradali, responsabilità medica, ecc.).

Il Mediatore agisce quale facilitatore nel rapporto fra le parti di una controversia, assistendole e conducendole, se possibile, ad una soluzione concordata della vertenza.

La mediazione, insomma, si pone come alternativa ragionevole, duttile e fortemente improntata ad uno spirito concreto e realistico, che ricerca soluzioni pratiche, rapide e convenienti a problemi che possono, in alternativa, divenire sempre più ostici e creare complicazioni gravi agli affari e alla vita privata avvelenando, per così dire, i rapporti fra le persona.

20
Mar

Ci sono ancora storie da libro “Cuore”?

Mi ha molto emozionato, stamattina, la lettura di un articolo del giornalista Massimo Gramellini su “La Stampa” di Torino.

Una storia semplice, quasi insignificante, ma di grande spessore.

 

In un mondo in cui si stenta, tra violenze gratuite e morti ammazzati, a ricercare e intercettare valori veri e condivisi per una corretta vita di relazione tra gli individui del nostro tempo, ecco che spuntano episodi da libro “Cuore”.

Il giornalista Massimo Gramellini ha voluto parlarcene, ed io ho ritenuto di riportare il suo articolo, pari pari, anche sul mio Blog “Come la penso io!”.

Buona lettura!

In memoria di Fata Prosciutto (di Massimo Gramellini)

” Fra i tanti articoli indispensabili che uno si illude di aver scritto, il Buongiorno che ha avuto storicamente il maggior numero di reazioni da parte dei lettori è uno squarcio di vita quotidiana pubblicato nel novembre del 2008. Raccontava della salumiera di un mercato di Torino, la signora Kathy, che ogni giorno, alle 13 e 40, riceveva la visita degli alunni di una scuola media poco distante e a ciascuno offriva un sorriso e una fetta di prosciutto. La signora Kathy non era una missionaria e i ragazzini non erano dei bisognosi. Eppure quel rito quotidiano di assurda e gratuita bontà aveva una sua magia e ogni giorno, alle 13 e 40, i clienti del mercato posavano le borse della spesa e guardavano in direzione della scuola, chiedendosi: ma i ragazzi quando arrivano? Arrivavano, arrivavano sempre. E continuarono a farlo anche dopo l’uscita dell’articolo. Finché un giorno, alle 13 e 40, sono corsi al bancone ma non hanno più trovato ad accoglierli il sorriso della signora Kathy, ribattezzata Fata Prosciutto. Si era ammalata. I ragazzini hanno continuato lo stesso a recarsi al bancone: non più per il prosciutto, ma per avere sue notizie. Le mandavano saluti, pensieri, preghiere. E quando l’altra settimana la Fata se n’è andata – perché le fate hanno molto da fare, non possono stare sempre con noi – la chiesa del funerale era stracolma come per una principessa e anche il prete si è commosso. Basta davvero poco per comunicare con il cuore del mondo. È un linguaggio universale che non usa le parole, ma i gesti. A volte anche una fetta di prosciutto “.

Da “La Stampa” del 20/03/2012

1
Mar

E’ morto Lucio Dalla!

Il giorno 4 marzo prossimo avrebbe compiuto 69 anni.

Lucio Dalla era nato a Bologna il 4 marzo 1943; celebre la sua omonima canzone, tratta da un testo della poetessa Paola Pallottino, che gli valse il terzo posto assoluto sul palco dell’Ariston di Sanremo nel 1971.

Un artista unico nel suo genere, amato da tanti italiani di diverse generazioni.

E’ morto di infarto questa mattina a Montreux, in Svizzera, dove era impegnato in una tournée europea.

Un cantautore eclettico; tante belle canzoni … da “Piazza Grande” a “Caruso”, sfiorando i 50 anni di carriera artistica. Mezzo secolo di poesia e di geniali successi, regalando al mondo emozioni intense e durature.

La sua ultima apparizione quest’anno a Sanremo, accompagnando il giovane cantautore Pierdavide Carone con il brano “Nanì”, del quale era anche co-autore. La sua ultima poesia!

Lucio Dalla pugliese adottivo

Era cittadino onorario delle isole Tremiti dove risiedeva per lunghi periodi all’anno nella casa che aveva acquistato a San Nicola nell’Arcipelago; ed è li che sono nati alcuni dei suoi testi più belli, come ad esempio “Com’è profondo il mare”.

Famose le sue battaglie ambientali contro le trivelle. Nella sua isola adottiva il 30 giugno scorso organizzò un concerto in difesa del mare e contro le ricerche di petrolio nei fondali dell’Adriatico.

Ma Lucio Dalla era anche cittadino onorario di Manfredonia, la città dove era nata sua madre. Un foggiano doc, Renzo Arbore, oggi così ricorda l’artista e l’amico: “Sono tremendamente rattristato – dice – ho un ricordo piacevole, incantevole di Lucio, un episodio che proprio lui mi aveva fatto ricordare: da Manfredonia, sua madre veniva a casa mia, a Foggia, per vendere i vestiti a mia madre. E lei portava con se quel fagottino, che io cullavo. Soltanto molti anni dopo, quando ci siamo rincontrati grazie alla nostra carriera artistica, Lucio mi disse: ‘Ti ricordi di me? Sono il figlio della signora Ferrara di Manfredonia. Mamma mi ha detto che mi tenevi in braccio’. Un ricordo tenero di un grande amico, che avevo visto da poco a Siponto, a pochi chilometri da Manfredonia. Ci eravamo incontrati per un pranzo a base di pesce” (1).

E noi vogliamo ricordarlo come quel “Gesù bambino” della sua canzone “4 marzo 1943”, un capolavoro sull’amore e sulla guerra, passato alla storia come uno dei pezzi più celebri e commoventi del cantautore scomparso, che … sotto sotto …. era forse un grande credente!

4 marzo 1943

di Lucio Dalla

Dice che era un bell’uomo

e veniva, veniva dal mare…

parlava un’altra lingua…

però sapeva amare;

e quel giorno lui prese

mia madre sopra un bel prato..

l’ora più dolce

prima di essere ammazzato.

Così lei restò sola nella stanza,

la stanza sul porto,

con l’unico vestito

ogni giorno più corto,

e benché non sapesse

il nome e neppure il paese

m’aspetto’ come un dono d’amore

fino dal primo mese.

Compiva sedici anni

quel giorno la mia mamma,

le strofe di taverna le cantò a ninna nanna!

e stringendomi al petto

che sapeva sapeva di mare

giocava a far la donna

col bimbo da fasciare.

E forse fu per gioco,

o forse per amore

che mi volle chiamare

come nostro signore.

Della sua breve vita,

il ricordo, il ricordo più grosso

e’ tutto in questo nome

 che io mi porto addosso.

E ancora adesso

 che gioco a carte e bevo vino

per la gente del porto

 mi chiamo Gesù bambino.

E ancora adesso

 che gioco a carte e bevo vino

per la gente del porto

 mi chiamo Gesù bambino.

La scomparsa di Lucio Dalla lascia un vuoto incolmabile; con lui se ne va un’epoca, una generazione, una corrente di pensiero e, a modo suo, uno stile di vita di cui è stato padre e creatore.

 

(1) Informazioni riportate su diversi siti internet, tra cui: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/.

 Foto: L’Arcipelago delle Tremiti, settembre 2011, di Lorenzo Bove

13
Feb

Festa di San Valentino a Vico del Gargano

In provincia di Foggia, a Vico del Gargano per la precisione, nella settimana di San Valentino si svolgono i festeggiamenti in onore del patrono della città e protettore degli agrumeti dell’Oasi Garganica.

Si tratta …nemmeno a dirlo … proprio di San Valentino!

I festeggiamenti hanno luogo in maniera del tutto particolare: dopo la Santa Messa, la processione per le vie della città accoglie il Santo patrono, tra addobbi di arance, limoni e foglie di alloro su case e balconi.

Una secolare tradizione racconta che mangiare le arance benedette dal patrono San Valentino e berne il succo, esaudisca tutti i desideri di gioia e felicità, come una miracolosa pozione d’amore.

Lo sanno bene i garganici, ma anche i turisti provenienti da ogni angolo della Puglia e delle Regioni limitrofe, che ogni anno si incontrano a Vico per percorrere lo strettissimo “Vicolo del bacio”, largo soltanto 50 centimetri e lungo 30 metri, per recarsi ad una piazzetta dove ci si promette eterno amore sotto la statua del Santo.

Un momento simbolico, ma carico di attese, che si consuma ogni anno il 14 febbraio a Vico del Gargano, la città degli innamorati e dei fiori d’arancio, il cui Santo patrono è proprio il Santo degli innamorati!

E poi … concerti di musica popolare di grande livello, feste di piazza e mercatini del gusto completano l’evento.

 

 

Foto: San Valentino a Vico del Gargano

http://bari.repubblica.it/cronaca/2011/02/14/news/vico_festteggia_il_suo_san_valentino-12441645/

 

 

 

10
Feb

Ma che freddo fa! Cronaca di un febbraio polare.

Milano si è svegliata stamane nuovamente sotto la neve!

Come ampiamente previsto, questa notte ha fioccato su tutta la città e relativo hinterland milanese. Ci siamo quindi svegliati nuovamente sotto un manto bianco di una decina di centimetri, che è andato ad aggiungersi alla neve caduta nei giorni scorsi ed ancora presente sui tetti delle case, nei parchi e nelle campagne.

Al momento non risultano grossi problemi alla viabilità e le strade sono abbastanza praticabili. La temperatura è sotto lo zero: le minime in lieve aumento, tra -10 e -5, e le massime in lieve diminuzione tra -2 e 1.

Ma in questi giorni, a causa della neve, c’è allerta in tutta Italia e nell’intera Europa.

Temperature polari e forti nevicate continuano ad imperversare in buona parte delle Regioni italiane. La Protezione civile ha lanciato un nuovo allarme ed il numero delle vittime di questa nuova sciagura continua ad aumentare: siamo vicini alla cinquantina e tanti sono i clochard morti per il freddo.

Persistono i disagi negli spostamenti aerei, ferroviari, marittimi ed automobilistici e in alcune località manca ancora l’energia elettrica e l’acqua potabile a causa delle tubazioni che si spaccano per il gelo. Molte sono le strade interrotte e parecchi paesi sono ancora isolati in Basilicata, Abruzzo e Romagna. Diversi i crolli dei tetti di abitazioni ed aziende che si sono registrati e tante le famiglie evacuate.

Un nuovo fenomeno sta in queste ore interessando la popolazione, si tratta dell’allarme lupi che, ormai privi di cibo, si avvicinano alle abitazioni, creando panico. Ma anche il problema del randagismo e cioè dei “cani inselvatichiti” non è da meno.

Scuole di ogni ordine e grado ed uffici pubblici sono chiusi in molti centri e, al momento, per l’emergenza maltempo, le Regioni Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria sono interessate dalla chiusura preventiva di alcune linee ferroviarie a carattere locale, in relazione al previsto peggioramento delle condizioni meteorologiche.

I consumi di gas e di energia elettrica sono saliti alle stelle, raggiungendo i livelli di guardia rispetto alle scorte disponibili su scala nazionale. I beni di prima necessità cominciano a scarseggiare per difficoltà negli approvvigionamenti.

E’ stato mobilitato anche l’Esercito per il soccorso alle popolazioni e, a Roma, anche alcuni detenuti di Rebibbia sono in azione per spargere sale ed evitare che la neve possa attecchire e recare pregiudizi.

Diecimila trattori degli agricoltori della Coldiretti sono mobilitati nella pulizia delle strade dal ghiaccio e dalla neve per affrontare la nuova emergenza. Il presidente nazionale della Coldiretti ha lanciato un appello a tutti gli agricoltori associati, dotati di mezzi idonei, affinchè collaborino con le Amministrazioni Comunali e Provinciali per garantire condizioni di sicurezza ai cittadini nei paesi, nelle città e nelle campagne.

In Trentino Alto Adige, a causa dell’arrivo della corrente polare, alla stazione meteo di Cima Libera a quota 3.400 è stata misurata quest’oggi la temperatura da brivido di -30.3 gradi. Freddo intenso anche nelle vallate con raffiche di vento fino ai 50 chilometri all’ora.

Un febbraio davvero polare che non dimenticheremo facilmente!

 

Foto: neve a Sesto San Giovanni, Milano, febbraio 2012

1
Feb

I Panettèlle de San Biàse (le pagnottelle di San Biagio)

Il 3 febbraio si celebra la festività di San Biagio invocato come protettore della gola.

La leggenda narra che Biagio, medico, vescovo e martire, guarì miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola.

E, a quell’atto, risale il rito della “benedizione della gola”, compiuto con due candele incrociate.

I miei ricordi di infanzia mi riportano al profumo e al sapore delle Panettèlle de San Biàse (pagnottelle di San Biagio), che un tempo venivano preparate a Poggio Imperiale, in provincia di Foggia, proprio per il giorno di San Biagio.

Era tanta l’attesa … ma, ahimè, non si potevano toccare … dovevano prima essere benedette dal prete durante la messa del mattino del 3 febbraio, e poi a casa … per la loro consumazione.

Si portavano in Chiesa in un cestino di vimini coperto con un panno bianco ricamato.

Solitamente era un pezzo pregiato del corredo della nonna o della mamma.

Ma è possibile ancora oggi, con un po’ di buona volontà, rinverdire quei lontani ricordi e provare a preparare questo antico e semplice pandolce tradizionale.

Questa la ricetta delle “Panettèlle de San Biàse”

Ingredienti

500 g. di farina 00

4 uova

1 dado di lievito di birra

50 g.di burro (a temperatura ambiente)

200 g. di zucchero

 un pizzico di sale fino

1 cucchiaio raso di lievito Bertolini

latte tiepido q.b. per impastare

Procedimento

Impastare tutti gli ingredienti in una ciotola (o su di una spianatoia) con il latte tiepido.

L’impasto deve risultare omogeneo e morbido al tempo stesso.

Foderare una teglia a bordi alti con carta da forno.

Ricavare delle pagnottelle rotonde del diametro di 5/6 cm.

Deporle nella teglia una vicina all’altra fino ad occupare tutto lo spazio.

Lasciare lievitare per circa 2 ore in ambiente caldo.

Prima di infornarle pennellarle con uovo sbattuto.

Mettere in forno già caldo a 180° per 15 minuti circa.

Controllare con uno stecchino la cottura e regolarsi di conseguenza.

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Queste le nostre “Panettèlle de San Biàse”, ma, come si dice, ogni mondo è paese.

Nel milanese, ove risiedo da molti anni, c’è per esempio un’usanza radicata nel territorio che è quella di mangiare il 3 di febbraio, festività di San Biagio, il panettone.

Infatti, all’inizio di febbraio, passeggiando per Milano e relativo hinterland è del tutto normale trovare nelle vetrine delle pasticcerie, panetterie e gastronomie, panettoni in vendita con forti sconti (per la verità, la tradizione imporrebbe di vendere per San Biagio due panettoni al prezzo di uno, ma non tutti la rispettano).

Si dirà: è un banale tentativo di liberarsi degli avanzi del dolce natalizio per eccellenza!

Niente di più errato, infatti si tratta in realtà di un’usanza che ha una lunga storia.

Una statua di San Biagio svetta su una delle guglie del Duomo di Milano, la città dove in passato il panettone natalizio non si mangiava mai tutto intero, riservandone sempre una parte per la festa di quel Santo.

E dunque ancora oggi si vende a Milano il “panettone di San Biagio” per mantenere viva quella tradizione.

30
Gen

I saldi, questi sconosciuti!

 

 

 

Ma chi ci crede più!

Per moltissime famiglie, specialmente in un momento particolarmente difficile sotto il profilo economico, il periodo dei saldi appare a volte come l’unica possibilità di poter effettuare qualche necessitato ricambio nel proprio guardaroba.

Eppure, chi di noi non ha mai avanzato dubbi sui tanto attesi saldi?

I saldi sono davvero tali oppure le (a volte esagerate) percentuali di sconto paventate nelle vetrine dei negozi rappresentano semplicemente i reali prezzi di mercato delle merci?

Alcune operazioniposte in essere quest’anno in diverse città italiane dalla Guardia di Finanza hanno messo in luce che spesso la truffa si maschera da buon affare.

Meno male che non è sempre così e che nella nostra bella Italia ci sono ancora commercianti onesti e coscienziosi, tuttavia il fenomeno non risulta circoscritto a semplici casi isolati.

Le foto dei prezzi esposti, scattate nel periodo precedente agli sconti, hanno permesso alle Fiamme Gialle di accertare che alcuni negozi di calzature e abbigliamento avevano gonfiato i prezzi originari su cui poi hanno applicato degli sconti, ovviamente fasulli.

E, malgrado i controlli siano ormai costanti e serrati, sia in occasione dei saldi invernali che di quelli estivi, ci sono ancora commercianti che tentano di imbrogliare i propri clienti con occasioni fittizie.

Nella migliore delle ipotesi il prezzo finale sarà scontato di una percentuale  inferiore rispetto a quella esposta, per esempio del 30% invece del 50% e, nella peggiore, il prezzo rimarrà uguale a quello esposto prima dei saldi.

Un altro metodo pare che sia quello di riesumare dai magazzini e dagli scantinati capi ormai sorpassati, avendo però l’accortezza di rispolverare per lo più capi firmati, attualizzando il prezzo di vendita con il medesimo sistema di gonfiamento dei prezzi.

Cosa fare?

Niente, si tratta di un fenomeno di costume del nostro tempo!

22
Gen

A Bologna un dipinto attribuito a Luca evangelista

Si tratta dell’effigie della Beata Vergine col Bambino custodita nel famoso Santuario della Madonna di San Luca.

La pittura è su tavola, alquanto deteriorata dal tempo, e mostra l’influsso dell’arte bizantina; nella forma attuale risale probabilmente al sec. XII, o prima metà del sec. XIII.

L’immagine nasconde sotto di essa un’altra effigie, molto più antica: di epoca antecedente all’anno mille. Da piccoli saggi operati si è potuto rilevare la primitiva pittura, i cui colori sono molto più intensi e brillanti di quelli attuali ed anche lo stile risulta diverso. Secondo la tradizione, comune a molte altre immagini, sarebbe stata dipinta da San Luca.

La Vergine, in espressione dolce, un po’ severa e alquanto mesta, ha uno sguardo penetrante e profondo, che colpisce il devoto. Il Bambino è solenne e maestoso e benedice con la mano destra alzata e le dita unite alla maniera bizantina.

Fra le molte immagini della Vergine, venerate dalla cattolicità, questa di San Luca, a detta dei competenti, è una delle più intense.

Si può ricordare quanto viene asserito, circa un giudizio che sarebbe stato espresso da Santa Bernardette Soubirous, la fanciulla che varie volte vide e parlò con la Madonna a Lourdes. Vennero presentate alla veggente varie immagini delle più celebri raffigurazioni della Madonna: la Santa, soffermandosi su quella del Santuario di San Luca di Bologna, avrebbe esclamato: “Questa Le assomiglia!”.

Il cardinale Domenico Svampa nel 1898 fece compiere una ricognizione della sacra effigie e dispose che venissero eseguiti alcuni restauri. Il cardinale Giacomo Lercaro, nel 1955, permise una seconda ricognizione e consentì altri restauri necessari.

L’immagine è ricoperta da un prezioso frontale, di argento, che sostituisce l’altro cesellato dal fiammingo Jan Jacobs di Bruxelles nel 1625. Su di esso sono sistemati donativi di grande valore, offerti alla Madonna; una croce di brillanti con relativo anello, dono del cardinale Viale Prelà, l’anello di Pio IX, l’anello del cardinale Svampa, e molti altri. Sopra l’immagine, sostenuta da due angeli, è collocata la corona di Pio IX.

La leggenda riguardante l’arrivo a Bologna dell’icona raffigurante una Madonna col Bambino è raccontata tardivamente nella cronaca di Graziolo Accarisi, giureconsulto bolognese del XV secolo. Secondo la tradizione il pellegrino greco Teocle Kmnega ricevette, dai canonici della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, un’immagine della Vergine dipinta dall’evangelista Luca, impegnandosi a portarla sul Monte della Guardia. Quando egli giunse a Roma seppe che quel monte si trovava a Bologna e qui il dipinto vi giunse nell’anno 1160.

In omaggio a quell’immagine fu poi costruita la Chiesa. Le origini del Santuario che sorge sul Monte della Guardia, risalgono all’anno 1192 quando Angelica di Caicle, poi Beata, donò il terreno ai Canonici di S. Maria di Reno per la costruzione di un monastero. La costruzione iniziò con la posa della prima pietra il 24 agosto 1194. All’interno si collocò l’immagine della Madonna con Bambino.

Nel 1433 il popolo portò la Madonna in processione per implorare la cessazione delle rovinose piogge e giunti a porta Saragozza la pioggia cessò; per ringraziamento gli Anziani decretarono che la processione si sarebbe dovuta ripetere ogni anno. La devozione aumentò ma la Chiesa era in uno stato di degrado tale che si decise di ristrutturarla ed ampliarla; la nuova Chiesa fu consacrata il 1 luglio 1481 dal vescovo di Sarsina. Tra il 1674 e il 1732 si costruì il portico, progettato da Gian Giacomo Monti, che si estende dalla Chiesa fino a porta Saragozza, lungo un tracciato di quasi 4 km coperto da 666 archi. Il 26 luglio 1723 su progetto dell’architetto Francesco Dotti iniziò la costruzione del nuovo Santuario che fu poi consacrato il 25 marzo1765.

Fino al 1976 si andava a S. Luca in funivia.

Ogni anno, ancora oggi, la sacra immagine che raffigura la Vergine col Bambino, attribuita da antichissima tradizione alle mani dell’evangelista san Luca, scende dal colle e ritorna in città a Bologna per i solenni festeggiamenti. La processione prende le mosse dal Santuario arroccato sul colle della Guardia, fermandosi a Porta Saragozza dove viene accolta dal Cardinale e condotta in Cattedrale, ove la sacra effige rimane esposta alla venerazione dei fedeli per alcuni giorni, prima di far ritorno nel Santuario.

Il Santuario della Madonna di San Luca, dedicato al culto cattolico mariano, si eleva sul Colle della Guardia, uno sperone in parte boschivo a circa 300 m s.l.m. a sud-ovest del centro storico di Bologna. È un importante Santuario nella storia della città di Bologna, fin dalle sue origini meta di pellegrinaggi per venerare la sacra icona della Vergine col Bambino detta “di San Luca”. E’raggiungibile da porta Saragozza attraverso una lunga e caratteristica via porticata, che scavalca via Saragozza con il monumentale Arco del Meloncello (1732) per poi salire ripidamente fino al santuario. La storia del santuario è legata all’icona sacra che vi è custodita all’interno, che diede origine alla leggenda sulla fondazione del santuario stesso, facendone nei secoli una meta di pellegrinaggi. L’icona raffigura una Madonna col Bambino secondo la classica iconografia orientale di tipo odighítria o hodigitria, cioè di “Colei che indica la Via”, considerata la “Madonna dei viaggiatori”.

15
Gen

Tra gli Amish americani

Negli Stati Uniti d’America vive una comunità di tranquilli e pacifici agricoltori fermi a duecento anni orsono.

Si tratta degli Amish americani, i quali rifiutano la società moderna in quasi tutti i suoi aspetti e si vestono, vivono e lavorano secondo regole di due secoli fa.

Io e mia moglie abbiamo avuto modo di visitare negli USA un insediamento di Amish tornando dal Canada, dopo aver visitato le Cascate del Niagara, e diretti a Washington.

E’ stato un salto a ritroso nel tempo: carrozze come mezzi di locomozione; uomini, donne e bambini che sembravano usciti da un film dell’ottocento, nei loro tipici costumi d’epoca; contadini nei campi che aravano la terra con aratri trainati da cavalli; donne assorte alle faccende domestiche in maniera rigorosamente tradizionale, ecc.

Non è ammessa elettricità, sostituita da forme alternative di energia come vento, sole ed acqua; non ci sono automobili e la principale forza motrice sono i cavalli che trainano i carri neri divenuti simbolo degli Amish.

L’abbigliamento è quello tardo ottocentesco ma molto semplificato: cappello, vesti scure e calzoni dal fondo largo per gli uomini, che appena si sposano portano la barba, e abiti privi di ornamenti con maniche lunghe, grembiuli e cuffiette attorno ai capelli per le donne.

Sono vietate tutte quelle cose che intaccano la struttura sociale e che comunque rappresentano desideri superflui e di vanità; ovunque regna la tranquillità, la pace interiore ed esteriore, la propensione al perdono e il forte senso religioso sono la base del loro vivere.

Attualmente vivono commercializzando i loro prodotti della terra, nonchè confetture, marmellate, miele, sciroppo d’acero, torte, biscotti e tante altre buone cose che noi abbiamo avuto l’occasione di degustare ed acquistare presso uno dei propri punti vendita.

Gli Amish sono un gruppo religioso protestante che affonda le proprie radici nella comunità Mennonita. Facevano parte del primo movimento anabattista europeo che si scisse dal Protestantesimo ai tempi della Riforma: perseguitati come eretici sia dai Cattolici sia dai Protestanti, furono costretti a rifugiarsi sulle Alpi Svizzere e nel sud della Germania e qui nacque la tradizione Amish di dedicarsi all’agricoltura e di radunarsi nelle case e non nelle chiese per seguire le loro funzioni religiose.

La comunità è stata fondata alla fine del 1.600 dallo svizzero Jacob Amman.

Emigrati negli Stati Uniti, principalmente in Pennsylvania, per sfuggire a persecuzioni, gli Amish, protestanti, basano la loro fede sul rigido rispetto della Bibbia e sul rifiuto del progresso. Oggi vivono in 22 stati ed in Canada. Ma l’Old Order Amish (circa 16-18mila persone) vive in Pennsylvania, tra Filadelfia e Lancaster.

In genere sono trilingue, poiché parlano la lingua del paese nel quale vivono, ma essendo di cultura normalmente germanica, parlano in famiglia anche un dialetto tedesco, che nasce dall’unione della lingua del paese ospitante col tedesco, inoltre usano la lingua tedesca nei servizi religiosi.

Le donne e le ragazze indossano abiti molto modesti con maniche lunghe e gonne mai sopra la caviglia: non si tagliano mai i capelli che portano raccolti sulla nuca coperti da una cuffia bianca se sono sposate o nera se sono single. Non hanno gioielli. Gli uomini ed i ragazzi sono vestiti per lo più di scuro con gilet e bretelle. Non hanno baffi, ma, dopo il matrimonio, si fanno crescere la barba. Gli Amish considerano tutto questo un’espressione di fede e di incoraggiamento all’umiltà che permea tutta la loro vita dedicata al duro lavoro dei campi.

Essi rifiutano la modernità, ma non in quanto tale. Oggetti che non portino valori indesiderati nella casa e non provochino crepe nella struttura sociale sono i benvenuti se si rendono davvero necessari e se non sono un desiderio vanitoso e superfluo. Usano per esempio la stufa a legna moderna, perché migliore e meno costosa di stufe più vecchie, ma non transigono sull’abbigliamento o sui consumi alimentari, che rimangono legati alla tradizione.

Per lo stesso motivo gli Amish non considerano nemmeno la televisione, sono aperti invece ai libri e alle riviste a patto però che non vadano contro la propria cultura. In genere non usano l’elettricità e non possono guidare mezzi motorizzati.

Anche il rapporto con la medicina moderna è controverso. Normalmente si curano in casa, ma se un Amish sta veramente male, allora la comunità decide di portarlo in ospedale.

La formazione dei giovani avviene in parte a scuola e in parte dentro la comunità. La vita degli adepti è segnata da un evento particolarmente importante: i giovani dopo i 16 anni entrano nella fase del ‘rumspringa’, durante il quale lasciano le loro case per andare a scoprire il mondo che li circonda. Alla fine del ‘rumspringa’, i giovani sono liberi di decidere se tornare o meno nella comunità.

In una comunità degli Amish americana è stato ambientato il famoso film ‘Witness – il Testimone’, con Harrison Ford e Kelly McGillis, di Peter Weir.

Chi non rimane incuriosito quando sente parlare di Amish; difficile non rimanere increduli sapendo che il tempo, nei loro villaggi, si è letteralmente fermato ed è proprio così come appare proprio nel film suddetto.

Tuttavia, gli Amish hanno un rapporto problematico con il governo statunitense in quanto, per le loro convezioni religiose, rifiutano di iscriversi al servizio di leva e di prestare giuramento, non possono studiare oltre l’ottavo grado del sistema scolastico degli USA e per tradizione impongono ai bambini di lavorare con i genitori. Ciò nonostante, rappresentano una realtà di rilievo sia dal punto di vista numerico che culturale negli Stati Uniti, e il loro stile di vita “alternativo” è sicuramente qualcosa che, al giorno d’oggi, porta a riflettere.

23
Dic

Una storia di “scarpèlle” (o “pèttele”) natalizie.

Le “pèttele” sono, in alcune parti della Puglia centro meridionale, le frittelle natalizie che in dialetto tarnuése [poggioimperialese] vengono chiamate “scarpèlle”, e vengono preparate con farina, acqua, lievito e sale in una consistenza morbida e poi, dopo la lievitazione, fritte in abbondante olio di oliva.

Una vera bontà. E non è Natale se la sera della vigilia non si consumano le scarpèlle, che possono tranquillamente  sostituire il pane.

Le scarpèlle potrebbero probabilmente discendere proprio dalle pèttele ed essere state portate a Tarranòve [Poggio Imperiale] dai pugliesi centro – meridionali che qui si sono nel tempo trasferiti.

Ed è proprio da quelle parti che prende corpo la storia che sto per raccontare.

Si racconta che, durante la transumanza, quando i pastori d’Abruzzo con le loro greggi scendevano in terra pugliese, muniti di zampogne, ciaramelle e cornamuse, suonavano per i vicoli della città di Taranto regalando, durante la loro questua itinerante, dolci melodie in cambio di cibo.

Il cibo che i tarantini donavano ai pastori era un prodotto povero e semplice, come loro del resto, ma allo stesso tempo gustoso e nutriente.

Erano delle frittelle di pasta di pane, le famose pèttele.

Il 22 novembre si festeggia Santa Cecilia: una data molto importante per Taranto, che in concomitanza con questa ricorrenza religiosa, inaugura il periodo delle festività natalizie.

Per Taranto e per i tarantini inizia l’Avvento, in anticipo rispetto a tutti gli altri calendari, che lo fanno iniziare dall’Immacolata o da Santa Lucia”.

Un’antica leggenda narra che: << Il giorno di Santa Cecilia, una donna si alzò come di consueto, per preparare l’impasto per il pane. Mentre l’impasto lievitava sentì un suono di ciaramelle, si affacciò e vide gli zampognari che arrivavano. Come ipnotizzata da quella melodia scese per strada e si mise a seguire gli zampognari per i vicoli della città. Quando tornò a casa si accorse che l’impasto era lievitato troppo e non poteva più essere usato per il pane, e che nel frattempo anche i suoi figli si erano svegliati e reclamavano la loro colazione. Senza lasciarsi prendere dalla disperazione, la donna mise a scaldare dell’olio e cominciò a friggere dei pezzettini di pasta che nell’olio diventavano palline gonfie e dorate che piacquero molto ai suoi figli, che con la loro tipica curiosità le chiesero: “Mà, come si chiaman’?”- e lei pensando che somigliavano alla focaccia ( in dialetto detta “pitta”) rispose: “pettel'” (ossia piccole focacce). Non ancora soddisfatti i figli chiesero: “E ‘cce sont?” – e lei vedendo che erano molto soffici rispose: “l’ cuscin’ du Bambinell” (i guanciali di Gesù Bambino). Quando finì di friggere tutto l’impasto, scese per strada coi suoi bambini, felici e satolli per offrire le pettole agli zampognari che con la melodia delle loro pastorali avevano reso possibile quel miracolo>>.

Il racconto è tratto dal libro di Lorenzo Bove “Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche” – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse, Edizioni Del Poggio, pagine 103, 104 e 105.

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