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Addio 2012 e Benvenuto 2013, nonostante la profezia dei Maya!
Il duemiladodici ormai volge al termine.
Inesorabilmente, ancora un altro anno sta per finire e – come sempre – ciò accade in pieno inverno, al freddo e di notte, allo scoccare della mezzanotte del prossimo 31 dicembre.
Ma, come il seme del grano che d’inverno, al buio, nelle viscere della terra, si decompone per poi germogliare e rinascere in primavera, perpetuando in questo modo la sua eterna missione di donarci il nostro pane quotidiano, così il vecchio anno puntualmente si dissolve per rifiorire subito dopo più giovane, più sano e più vigoroso di prima.
E, così facendo, il novello anno finisce con il mettere di buon umore tutti, grandi e piccini, contribuendo a far dimenticare, almeno per un po’, i problemi che tutti i giorni assillano l’umanità.
Non saremmo altrimenti in grado di superare le amarezze, le tristezze e le angosce derivanti dai dispiaceri, dai soprusi, dalle guerre, dalle malattie e dalla morte di persone care.
Per lo meno sotto il profilo psicologico, il nuovo anno induce a proiettarsi verso il futuro, con rinnovato spirito di iniziativa ed impegno, condizione – questa – che spesso genera benefici alla mente e talvolta anche al fisico.
Comunque, al di là di ogni ulteriore considerazione, è sicuramente meglio ragionare in maniera positiva, evitando di piangerci addosso e sforzandoci, per quanto possibile ed ognuno per la propria parte, di fare qualcosa perché il mondo migliori, perché la società migliori.
Questo è il mio modo più semplice di augurare a tutti un buon duemilatredici.
Buon Anno Nuovo, dunque, nonostante la profezia dei Maya, secondo cui la fine del mondo era prevista per lo scorso 21.12.2012: ma noi non ci avevamo creduto neanche un po’!
Foto: Calendario Atzeco, Città del Messico
Il calendario Maya, chiamato anche Calendario Azteco è in esposizione al Museo Nazionale di Antropologia e Storia situato all’interno del Chapultepec Park, a Città del Messico.
Il Calendario Azteco (Pietra del Sole) è scolpito su un monolite di roccia basaltica con un diametro di 3.54 metri e un peso di circa 24 tonnellate.
Buon Natale!
Il Santo Natale è la festività cristiana per eccellenza che ricorda e celebra la Natività del Bambino Gesù.
È la festa più sentita tra i cristiani, anche se, negli ultimi anni, ha assunto un significato piuttosto laico, legato quasi esclusivamente allo scambio di regali e a figure del folclore come Babbo Natale.
Sono strettamente legate alla festività del Natale la tradizione del presepe, di origine medioevale (San Francesco d’Assisi), e l’addobbo dell’albero di Natale, diffusosi successivamente a partire dal Nord Europa.
Ma il Natale è soprattutto, e per tutti, un giorno di pace, di amore e di serenità.
E il dono più grande che si può offrire è quello di poter dare un po’ di sé agli altri, ed in particolar modo ai più bisognosi, agli infermi e agli afflitti di qualunque specie, natura, origine e per qualsivoglia ragione.
Buon Natale!
Affresco “Adorazione del Bambino” dell’artista Beato Angelico (1395-1455), Museo di San Marco a Firenze
Ed ecco la neve a Milano!
Milano si è svegliata sotto la neve.
Dopo i primi assaggi dei giorni scorsi in occasione di Sant’Ambrogio e relativa “prima” della Scala, ecco la prima vera nevicata (questa volta per Santa Lucia).
Milano e relativo interland milanese si sono svegliati stamattina in compagnia di un manto nevoso che durante la notte aveva ricoperto case, strade, alberi, offrendo uno paesaggio prenatalizio davvero speciale.
Peccato per i disagi da affrontare per recarsi al lavoro o comunque per attendere alle normali attività quotidiane.
I fiocchi caduti si sono stratificati, al momento, per una decina di centimetri e continua ancora, piano piano, a nevicare.
E’ previsto che continuerà per tutto il giorno e anche per tutta la prossima notte, in modo più intenso in serata odierna.
In alcune zone della Lombardia, specie tra bresciano e bergamasco, ma anche in Brianza, sta nevicando ancora di più ma gli scenari offerti da Milano e dalle città dell’interland milanese sono particolarmente suggestivi.
Uno spettacolo straordinario da ammirare e, magari, anche da fotografare!
Foto, Sesto San Giovanni (Milano), Dicembre 2012, L. Bove
Oggi è Santa Lucia!
L’attesa nevicata di “Santa Lucia” prevista dai nostri metereologi è arrivata. Pare che la neve toccherà tra questa sera e domani tutto il centro settentrione d’Italia, mentre il centro sud sarà interessato da maltempo accompagnato da piogge, anche intense.
Questo è il bollettino meteorologico!
Ma la situazione non assume alcun rilievo circa l’attesa di grandi e piccini delle località ove i festeggiamenti di Santa Lucia sono sempre molto attesi, poiché è Lei che porta i doni, anticipando in questo modo Gesù Bambino, Babbo Natale e la Befana.
Infatti, in alcune città d’Italia, é Santa Lucia che ogni anno porta i doni ai bambini.
La leggenda.
Si racconta che Lucia fosse una bella fanciulla siciliana, figlia di un ricco nobile di Siracusa e tutti la conoscevano per la sua dolcezza ed amorevolezza. A quel tempo in Sicilia imperversava il paganesimo e Lucia mostrando un certo interesse per il Vangelo, decise di convertirsi al cristianesimo. I suoi genitori avevano deciso di farla sposare, ma Lucia non ne volle sapere per ben due motivi: il futuro sposo non era cristiano e perché lei aveva deciso di dedicare la sua vita al Signore. Questa risolutezza, però, non venne rispettata dai familiari della ragazza ed iniziò per lei una vera e propria persecuzione, con l’intento di farle cambiare idea. Quando furono certe le intenzioni della fanciulla, che non intendeva piegarsi minimamente al volere altrui, né rinnegare la propria fede, le vennero prima strappati gli occhi e poi venne uccisa miseramente. Da allora Santa Lucia fu considerata la protettrice degli occhi e della vista, ed il giorno del suo martirio, che cade il 13 dicembre, inizia il suo viaggio col suo affabile e fedele asinello portando i doni ai bambini buoni.
E, dunque, le visite di Santa Lucia presso le abitazioni dei bambini bravi continuano ogni anno, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche … anche se nevica!
Ma dove si trova, oggi, la reliquia del corpo di Santa Lucia?
Per logica deduzione, i più sono convinti che si trovi a Siracusa, in Sicilia, ma così non è.
Il corpo di Santa Lucia riposa nella chiesa dei Santi Geremia e Lucia a Venezia presso l’altare di Santa Lucia.
Il corpo è conservato in un’urna di cristallo. Il 7 novembre 1981 il corpo fu rubato e successivamente restituito: in quella occasione fu studiato, identificato e autenticato come il corpo della Santa.
Nel 1955, l’allora cardinale Roncalli, divenuto poi papa Giovanni XXIII ed in seguito proclamato Beato, fece preparare una maschera d’argento per coprire il volto delle spoglie mortali.
Una delle chiese più importanti per quanto riguarda il culto di Santa Lucia è la chiesa di Venezia dedicata ai Santi Geremia e Lucia. Qui è conservata la reliquia del corpo di una giovane martire che secondo l’opinione di autorevoli studiosi risulta essere proprio il corpo di Santa Lucia.
La chiesa si affaccia sul Canal Grande: da lì possiamo leggere l’iscrizione:
“Lucia vergine di Siracusa in questo tempio riposa.
All’Italia ed al mondo ispiri luce e pace”.
L’attuale chiesa è stata nel luglio 1998 bersaglio di un incendio doloso.
Il “tesoro” della Santa contiene anche la sua corona e una sua veste.
Santa Lucia è considerata dai devoti la protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti e degli scalpellini e viene spesso invocata nelle malattie degli occhi.
Il corpo della Santa, prelevato in epoca antica dai Bizantini a Siracusa, è stato successivamente trafugato dai Veneziani che conquistarono Costantinopoli (l’attuale Istanbul) ed è quindi attualmente conservato e venerato nella chiesa di San Geremia e Lucia a Venezia. Le sacre spoglie della santa siracusana tornarono eccezionalmente a Siracusa per sette giorni nel dicembre 2004 in occasione del 17º centenario del suo martirio.
L’arrivo e la partenza delle spoglie furono salutati da una incredibile folla di siracusani; riscontrata l’elevatissima partecipazione e devozione dei devoti, siracusani e non, da allora si è fatta strada la possibilità di un ritorno definitivo tramite l’avvio di alcune trattative tra l’Arcivesvovo di Siracusa Giuseppe Costanzo e il Patriarca di Venezia Angelo Scola.
Foto, Venezia 2012, L.Bove
“Amore e Psiche” a Milano, in un contesto incantato!
Una scultura e un dipinto, congiuntamente, in un’esposizione straordinaria che rievoca il mito di “Amore e Psiche”, attraverso due capolavori neoclassici: l’opera scultorea “Amore e Psiche stanti” di Antonio Canova e la tela “Psyché et l’Amour” di François Gérard.
Un confronto inedito tra pittura e scultura, due meraviglie del Louvre esposte per la prima volta insieme nel cuore di Milano, protagonisti “Amore e Psiche” e la loro storia d’amore.
I due capolavori dell’arte neoclassica, messi a disposizione dal Museo del Louvre di Parigi, sono ospitati presso la prestigiosa Sala Alessi di Palazzo Marino di Milano dal 1 dicembre 2012 al 13 gennaio 2013.
Il mito di “Amore e Psiche” raccontato in due opere straordinarie, la scultura di Antonio Canova “Amore e Psiche stanti” del 1797 e “Psyché et l’Amour” il dipinto di François Gérard, realizzato un anno dopo, nel 1798.
Per la prima volta esposti insieme, in un contesto incantato, all’interno di Palazzo Marino, la nota sede del Comune a Milano.
E, in effetti, quando si entra nella cinquecentesca Sala Alessi si stenta quasi a riconoscerla, trasformata per l’occasione in un giardino notturno, idealmente quello in cui Zefiro porta Psiche per volere di Cupido. Una bellissima favola.
Per il quarto anno consecutivo, il Comune di Milano rinnova la partnership con il Louvre di Parigi, offrendo al pubblico milanese l’opportunità di ammirare, a Milano, capolavori del Louvre.
I capolavori protagonisti delle precedenti edizioni sono stati: “L’Adorazione dei pastori” e il “San Giuseppe falegname” di Georges de la Tour (lo scorso anno), “Donna allo Specchio” di Tiziano (nel 2010) e “San Giovanni Battista” di Leonardo da Vinci (nel 2009).
Quest’anno, due opere di straordinaria bellezza ispirate al mito greco di “Amore e Psiche”; due capolavori che, seppur in modo diverso, rievocano la celebre leggenda mitologica.
La favola, contenuta nel libro “Le metamorfosi” di Apuleio (II secolo d.C.), narra la storia della giovane Psiche, una fanciulla talmente bella da scatenare la terribile gelosia di Venere e l’amore appassionato di Cupido.
Prima di potersi ricongiungere al suo divino consorte, la giovane è costretta a compiere una serie di prove, al termine delle quali otterrà l’immortalità.
Come in una sorta di percorso iniziatico, Psiche supera le prove che incontra lungo il suo cammino e riesce a raggiungere l’Olimpo, dove potrà finalmente sposare il suo Amore.
L’OPERA DI ANTONIO CANOVA: “AMORE E PSICHE STANTI”.
Antonio Canova (1757-1822) è uno degli scultori più apprezzati del Neoclassicismo italiano, figlio di uno scalpellino, muove i suoi primi passi nella bottega dello scultore G. Bernardi. Le sue prime opere rivelano riferimenti “berniniani”, che vengono presto superati con il gruppo scultoreo di “Dedalo e Icaro”; un’opera, anch’essa ispirata alla mitologia classica, che permette al giovane Canova di compiere un viaggio a Roma, dove rimane folgorato dalla bellezza dei marmi d’ispirazione classica e ha l’opportunità di farsi conoscere sulla scena artistica internazionale. La sua capacità d’interpretazione si manifesta nel “Teseo sul Minotauro”, eseguito su commissione dell’ambasciatore veneziano in visita a Roma. Il successo della scultura frutta all’artista prestigiose commissioni nel mondo aristocratico ed ecclesiastico. Fra queste spiccano i monumenti funebri, nei quali la morte è sviluppata su un duplice registro: quello civile della memoria dell’eroe come “exemplum virtutis” (come il monumento di Vittorio Alfieri) e quello elegiaco del ricordo degli affetti e delle virtù personali (il monumento funebre a Maria Cristina d’Austria ne è un esempio). Dopo aver affrontato il tema della morte, Canova realizza opere a sfondo mitologico. La più famosa è senza dubbio “Amore e Psiche”, commissionata nel 1797 dal colonnello scozzese John Campbell e successivamente acquisita da Napoleone. Ispirato alla favola di Apuleio, il gruppo scultoreo ritrae l’attimo in cui la fanciulla, drappeggiata in un sottile velo, prende la mano di Amore per deporvi una farfalla, simbolo della propria anima. Il giovane dio, di poco più basso, poggia la testa sulla spalla della donna, cingendole il collo con il braccio destro. Il gesto d’amore, immortalato dallo scalpello in un non-tempo immaginifico, è sorretto da un piedistallo decorato con ghirlande e farfalle, che coniugano la precisione tecnica con il fascino delle favole antiche.
L’OPERA DI FRANÇOIS GÉRARD: “PSYCHÉ ET L’AMOUR”.
François Gérard (1770-1837) è un pittore e incisore francese, ma nato a Roma nel 1770 e trasferitosi con la famiglia a Parigi appena dodicenne, dove iniziò la carriera artistica che lo vide presto allievo del famoso Jacques-Louis David, per poi prenderne le distanze nel corso del suo percorso artistico. Lo stile di Gerard si distingue per la serenità compositiva e la delicatezza cromatica, che improntano i suoi quadri mitologici quanto i dipinti storici, apprezzati soprattutto in età napoleonica. Dopo anni di travagli e difficoltà a seguito della morte del padre, espone al Salon del 1798 il suo “Psyché et l’Amour”, ispirato all’opera di Canova, ma più denso di erotismo. Il dipinto, considerato da Ingres come “il più bel quadro della scuola dopo David”, gli assicura un successo di pubblico tale da portarlo in brevissimo tempo a diventare il Primo Ritrattista di Francia. Secondo i critici d’arte, “Psyché et l’Amour” raffigura l’istante in cui Psiche immagina di ricevere il primo bacio di Amore (per volere di Venere alla donna era, infatti, impedito di vedere il dio). La freddezza solo apparente della composizione, le forme ben definite dai contorni e la resa minuziosa dei dettagli evidenziano la purezza della rappresentazione e la raffinatezza della sua ispirazione.
Gruppo “Amici di Tarranòve” della Lombardia, Natale 2012
Il Gruppo “Amici di Tarranòve” della Lombardia si è incontrato anche quest’anno, nell’imminenza delle Festività Natalizie, per trascorrere insieme, come di consueto, una festosa giornata in compagnia e, come sempre, all’insegna dell’amicizia.
Il “motto” di questa tornata, coniato liberamente dagli organizzatori (gli straordinari coniugi Angela Fusco e Giuseppe Castellano) è stato il seguente: “Tutt(e) quill(e) d(e) Tarranòv(e): Chiù sim(e) e megl’ijè” che, tradotto in lingua italiana, significa semplicemente: “Sono invitati al nostro incontro tutti i poggioimperialesi che gravitano nei dintorni (siamo in Lombardia), per stare insieme in piacevole compagnia e, dunque, più persone aderiranno all’invito e più gioiosa sarà l’atmosfera”.
E, senza alcuna retorica … veramente gioiosa si è poi rivelata l’atmosfera della giornata di domenica 2 dicembre 2012 trascorsa insieme, nel mentre echeggiavano ricordi, proverbi, modi di dire, usi, costumi e tradizioni della nostra terra di origine.
Poggio Imperiale, la nostra cara “Tarranòve”!
E, anche quest’anno, la grande tavolata al Ristorante dell’Agriturismo “Molino di Santa Marta” di Casterno, nei pressi di Robecco sul Naviglio in provincia di Milano.
Alcune coppie sono state impossibilitate a partecipare (assenti giustificate!), ma con – sommo piacere – si è registrata la presenza di qualche nuova coppia, che si è aggiunta al gruppo.
Molto bene, soprattutto se si considera che si tratta di coppie giovani e con bambini in tenera età.
Il pranzo è durato fino a sera e, dopo le foto di gruppo, i saluti, gli abbracci e gli Auguri di Buon Natale …. tutti a casa, con un arrivederci …. alla prossima!
Qualche cenno sulla località dell’incontro.
Agriturismo Molino Santa Marta
Casterno di Robecco Sul Naviglio (Milano)
L’Agriturismo Molino Santa Marta, immerso nel Parco del Ticino, offre, in un ambiente tranquillo e rilassante, piatti tipici della tradizione culinaria locale. La cucina dell’Agriturismo Molino Santa Marta utilizza ingredienti genuini di provenienza aziendale della famiglia Cairati, che da sempre opera con passione nell’ambito dell’agricoltura, dell’allevamento e della ristorazione. Le ricette classiche, le carni dei loro allevamenti, la selvaggina, i dolci, vengono proposti dallo Chef con creatività e fantasia. Le sale ristorante sono particolarmente adatte per banchetti, matrimoni, e cerimonie in genere.
Il Ristorante si compone di due sale, al piano terra la sala “Il Molino”, al piano superiore la sala “Panoramica”.
Riassunto della puntata precedente (9 dicembre 2011)
L’articolo integrale, con relative foto a colori, è visibile su questo stesso sito www.paginedipoggio.com (mese: dicembre 2011).
Il Gruppo “Amici di Tarranòve” della Lombardia
9 dicembre 2011 Lorenzo Blog Edit
Sito/Blog www.paginedipoggio.com pagina http://www.paginedipoggio.com/?p=3020
Abbiamo cominciato qualche anno fa con la promessa di vederci … su a Milano … al rientro dopo le vacanze, magari per una pizza, e pian piano, con il passare del tempo, gli incontri sono divenuti un appuntamento rituale ed il gruppo diventa sempre più numeroso.
Anche quest’anno ci siamo incontrati per trascorrere insieme una giornata all’insegna dell’amicizia.
Domenica scorsa 4 dicembre 2011, appuntamento alle ore 12,30 davanti casa del nostro carissimo compaesano Giuseppe Castellano che, unitamente alla gentile consorte Angela Fusco, rappresentano il punto di riferimento organizzativo degli incontri.
Sono loro che mantengono i contatti e si incaricano delle prenotazioni e di quant’altro necessario per la buona riuscita degli appuntamenti.
E poi, una bella colonna di macchine verso l’Agriturismo “Molino di Santa Marta” di Casterno, nei pressi di Robecco sul Naviglio, per il pranzo.
Chi siamo?
Siamo un gruppo di poggioimperialesi (in stretto dialetto: “tarnuise”) residenti in Lombardia.
Non abbiamo ancora uno “statuto” formale, ma possono far parte del Gruppo “Amici di Tarranòve” soggetti rigorosamente nativi di Poggio Imperiale (“Tarranove”) con rispettive/vi consorti ed eventuale prole, anche se di altra provenienza.
Negli incontri si deve parlare prevalentemente in dialetto poggioimperialese (“tarnuese”) e mettere a fattor comune, per quanto possibile, storie, usanze, proverbi, modi di dire, ricette di piatti tipici e di dolci del nostro paese di origine.
Il pranzo è durato fino a sera e, dopo le foto di gruppo, tutti in macchina per Magenta per finire con un giro fra le bancarelle del “Mercatino di Natale” e con un … arrivederci alla prossima!!!!
Nota: nel dialetto di Poggio Imperiale la vocale “e” finale di sillaba o di parola è muta, se non accentata.
“Poggio Imperiale Anno 1759”
Antonietta Zangardi risponde ad alcune domande sul suo ultimo libro.
La foto storica riportata a fianco, risalente all’anno 1930, ritrae il vecchio monumento dedicato al Principe Placido Imperiale, un tempo collocato al centro della piazza Imperiale del comune di Poggio Imperiale.
Sotto il busto del Principe è ben visibile una lapide commemorativa, di cui si è oggi persa ogni traccia.
“Ogni pensiero o atto di cui s’è persa la traccia, è perduto per la storia, come se non fosse mai esistito”.
Personalmente, trovo questo aforisma di Charles Seignobos (storico francese, 1854 -1942) di una profondità immensa, soprattutto se lo si coniuga con un altro interessante e significativo aforisma del medesimo storico, del seguente tenore: “Non vi è nulla che possa surrogare i documenti: niente documenti, niente storia”.
E , da ciò, ritengo possibile poter agevolmente dedurre che, nella ricerca storica, non vi è nulla di più importante dei documenti … e della memoria.
Buona lettura!
(l.b.)
INTERVISTA
Riportiamo un’intervista fatta alla prof.ssa Antonietta Zangardi autrice del libro: Poggio Imperiale Anno 1759, pubblicato nel mese di maggio 2012 per i tipi delle Edizioni del Poggio. Dopo una attenta lettura le ha rivolto alcune domande un suo ex alunno, il dott. Pasquale Guidone, laureato ed abilitato in Psicologia clinica alla Sapienza di Roma, ha conseguito alla Pontificia Università Gregoriana la Licenza in Filosofia e la Laurea in Teologia morale. Attualmente sta conseguendo il dottorato in Teologia presso l’Università Pontificia “Regina Angelorum” di Roma ed è 1° Maresciallo presso il Ministero della Difesa.
My Prof. Le voglio rivolgere alcune domande sul suo libro.
1. Cosa l’ha spinta, Professoressa Zangardi, a scrivere questo libro su Poggio Imperiale? D’altronde già ne avevamo altri in cartolibreria? (Così credo pensano in molti, anche se la cosa non centra niente)
Nella pagina 92 del libro non capisco bene se dall’articolo di quel giornalista Ella avesse già appreso la notizia di una nuova data o altro.
R. Non avevo intenzione di scrivere un libro su Poggio Imperiale, anche perché vi sono altre pubblicazioni, che conosco molto bene in quanto in alcune ho collaborato alla stesura e sono stata relatrice nelle presentazioni. Però, nel 2011 si organizzarono a Poggio Imperiale i festeggiamenti per i 250 anni, partendo dal 1761, una data di fondazione superata già dal 1979, quando l’archivista Beniamino Gabriele pubblicò sul giornale “Gargano nuovo” (alle pagine 92 e 96 del mio libro si può vedere una copia del giornale) un articolo su di un documento particolare: la visita pastorale che il vescovo di Lucera, mons. Giuseppe Maria Foschi fece alla chiesa di Poggio Imperiale nella primavera del 1761. Nella copia di questa relazione apprendiamo molte notizie sul nostro paese, anche sugli albanesi che, come meteore passarono nel nostro territorio. Sarebbe bastato far riferimento solo a questo documento e la fantomatica festa poteva essere fatta come anniversario del Patto del Principe con gli albanesi, singolare perché ritroviamo un principe illuminato benevolo e generoso. Avendo insegnato Storia per un trentennio nel nostro paese, sono intervenuta nel dibattito che si era stabilito, facendo riferimento ad un mio articolo sui documenti della nostra storia, pubblicato su “Capitanata.it”il 3 gennaio 2011. Non potevo farmi fermare dalla scortesia, che è sempre di casa in chi vuole avere ragione a tutti i costi, e dall’arroganza di chi crede di “fare Storia” pur non possedendone le dovute qualifiche, scambiando la” verità dei documenti” per “zizzania”. Chi mi conosce sa che nelle cose in cui credo sono sempre stata tenace e combattiva, ecco perché ci ho tenuto a precisare che alcuni studi o tesi di laurea erano stati fatti in quanto io personalmente avevo passato l’articolo del dott. Gabriele a don Nannino, nostro compianto Parroco. Malgrado studi e tesi di laurea il documento fu declassato ed ignorato.
Per avvalorare la tesi della fondazione nell’anno 1759, iniziammo la ricerca di altri documenti ma, non potevo assolutamente nascondermi dietro nessuno: toccava a me rispondere agli attacchi del chiacchiericcio pseudo politico di chi pretendeva di sapere tutto e toccava a me quindi scrivere il libro su documenti vecchi e nuovi. Le fruttuose ricerche hanno avvalorato la tesi che gli albanesi, arrivati col famoso patto del Principe Placido Imperiale del 1761, avevano trovato già impiantato un nucleo urbano e che, quindi non sono stati gli artefici della fondazione.
Cosa singolare è che nei documenti da me pubblicati ritroviamo non solo “il principe illuminato, benefattore, nato per il bene del genere umano” ma anche “il feudatario” che doveva trarre profitti dalle sue terre. Non era mia intenzione fare l’apologia del Principe o continuare a scrivere la solita “favola del principe”, ma dovevo descrivere territorio e società dell’epoca attraverso i documenti ricercati negli Archivi. Molto particolari ed interessanti sono i nuovi documenti sulla vicina Lesina.
In quanto poi al fatto che vi sono altre pubblicazioni, è giusto che sia così e penso che bisogna continuare a scrivere in quanto la storia non finisce con gli ultimi documenti studiati. Se ne troviamo altri, utili a modificare o ampliare le nostre conoscenze, ben vengano! Tutti possiamo scrivere e, vista da più angolazioni, la storia si arricchisce a seconda della nostra cultura e della nostra conoscenza, perché quando noi scriviamo vengono fuori subito le nostre abilità costruite con lo studio e l’impegno. Essere appassionati significa innanzitutto studiare. E tu che lavori e studi sai quanti sacrifici comporta questa scelta. In fondo sappiamo che la memoria è una dote, prima di essere il nostro futuro noi siamo il nostro passato, sia come persone che come società.
2. Qual è stato quindi l’obbiettivo prioritario del suo lavoro?
R. Obiettivo prioritario del mio lavoro è stato quello di individuare la data di fondazione di Poggio Imperiale, partendo dalle origini, quindi dall’acquisto del feudo di Lesina nel 1751. Ho riportato il contesto storico in cui si inseriva la fondazione del nostro paese ed ho descritto come era il territorio in quell’anno:
– a Napoli, Carlo III di Borbone e il suo riformismo illuminato;
– a Foggia la ripresa economica e il fervore di ricostruzione nelle attività dopo il terremoto del 1731.
All’atto di compravendita con cui il Ceto dei Creditori dell’A.G.P. cedeva il feudo di Lesina, nell’ambito del quale sorgerà Poggio Imperiale, era allegata la splendida relazione, un apprezzo compilato dal tavolario Donato Gallarano, il 4 ottobre 1730. In essa viene descritto il territorio del feudo e gli abitanti.
Nei nuovi documenti da me pubblicati, il territorio è descritto dal notaio Giuseppe Nicola Ricci di Torremaggiore quando riporta la presa di possesso del feudo da parte di don Baldassarre Stabile, governatore generale rappresentante del Principe. Partire da due documenti che descrivono il territorio, uno già conosciuto e studiato (la perizia Gallarano), l’altro un nuovo documento (la presa di possesso del Governatore Generale) significa immettersi nel vivo della storia. E poi sappiamo che nella Storia un anno non vale l’altro e anche solo due anni sono importanti, e gli albanesi non c’entrano nulla con la fondazione di Poggio Imperiale, non lo dico io, ma i documenti. Nel 1759 Carlo III di Borbone lasciò Napoli per la Spagna ed il potere passò al figlio, troppo piccolo per governare. Quante cose cambiarono in due anni!!! Bisognerebbe armarsi di umiltà e saper dire di aver preso un abbaglio e farsi promotore di una rettifica!
3. Mi incuriosisce, Professoressa, il fatto che in merito al cognome Imperiale lei abbia optato per Imperiale in luogo di Imperiali …, lo ha dedotto in base al numero di volte in cui compare maggiormente Imperiale rispetto ad Imperiali?
E che dire, come Lei sostiene, che dalla firma dello stesso principe compare “i”? Non è forse più rilevante la “i”?
R. I documenti riportano indifferentemente sia Imperiale che Imperiali. Nella firma del Principe leggiamo “Imperiali”, ma il nostro paese è “Poggio Imperiale”, quindi ho concluso con un discorso grammaticale, in quanto essendo il sostantivo “poggio” maschile singolare, era ovvio concordarlo con “ Imperiale”.
4. Cosa emerge dunque dai settantadue nuovi documenti?
R. Secondo i settantadue nuovi documenti d’archivio studiati nella pubblicazione si ribadisce l’anno fondamentale per la storia di Poggio Imperiale, il 1759, quando, insieme alle “caselle” si costruì la Chiesa ad opera dei mastri foggiani Leonardo e Francesco Saverio Romito, famosi per aver ricostruito Palazzo Dogana a Foggia, oggi sede della Provincia.
Avevo già da parecchi anni una copia del documento di Antonio Scarella richiesta all’Archivio di Stato di Napoli, secondo il quale il Principe era nel nostro territorio nella S. Pasqua del 1759. Poi la ricerca di archivio ha fatto il resto. Ci si fa prendere dalla novità dei documenti e ci si “ammala” di ricerca. Auguro a tutti i giovani di essere infettati da questa “malattia” della ricerca storica. Ti puoi spiegare anche il perché ho voluto inserire nella pubblicazione la tecnica che ho seguito nel “fare ricerca”. Invito i giovani ad amare gli Archivi e a rispettarli, perché non si deve mai fare ricerca saccheggiando la memoria storica.
5. Il libro, nella sua esposizione, e nel primo impatto di lettura sembra avere un carattere esortativo a prendere coscienza della correttezza delle informazioni. Ritengo la cosa utile e doverosa giacché si tratta del nostro paese ed anche per un atto di carità nei confronti del pubblico, dei posteri e in onore della storia. Ma Ella cosa si aspetterebbe dai lettori del nostro amato paese?
Prima di tutto mi aspetterei che prendessero coscienza del nostro passato e si organizzassero a ripulire il paese dai “falsi della storia”, cioè da quei messaggi fuorvianti come:
– il cartellone nella Chiesa che illustra la storia, scritta da chi non ha avuto l’umiltà di chiederne le vere notizie o di leggere le pubblicazioni scientifiche;
– rimuovere il cippo in via Foggia, o almeno modificarlo sottolineando che la data del 18 gennaio 1761 si riferisce al Patto che il Principe stipulò con gli Albanesi ed i 250 anni si riferiscono a questo avvenimento storico, che poche ripercussioni ebbe per la storia della nostra comunità ;
– aggiungere alla via 18 gennaio la dicitura “patto con gli albanesi”;
– ricordare le date fondamentali della nostra storia nella toponomastica;
– dedicare una via, perché no, al Principe Placido Imperiale.
Devi sapere che alcune vie storiche sono state ripristinate nel 1993 dietro mia specifica sollecitazione.
I documenti studiati nel mio lavoro ci descrivono come e chi eravamo e noi dobbiamo avere il coraggio di ricordarlo per non perdere di vista le qualità dei nostri antenati e bisogna farlo ora, proprio in questo momento storico che vive di rimozioni, perché non possiamo sederci sul nostro passato senza comprenderlo e senza ritrovare le giuste motivazioni per organizzare il nostro futuro.
Nel mio libro rendo protagonisti assieme al Principe anche tutte le maestranze, che, con le loro opere e la loro attività, hanno permesso la formazione della colonia agricola.
Il personaggio – chiave del nostro lavoro è senz’altro il principe di Sant’Angelo, che con la sua formazione umana e culturale ed il suo spirito pragmatico ha voluto mettere in atto ciò che a Napoli era in teoria, cioè la formazione di una colonia agricola che rispecchiasse i canoni e le teorie economiche proprie dell’illuminismo.
Ma ho voluto presentare tutti i protagonisti della piramide feudale formata da pochi patrizi, agenti feudali, notai, governatori generali ( i documenti ci presentano le nomine di quattro governatori dal 1751 al 1765, anni della nostra ricerca, aventi facoltà di amministrare la giustizia col potere di vita e di morte sui sudditi, “mero mixtoque imperio et potestate gladii” ).
Alla base della piramide la massa di lavoratori che chiedevano lavoro ed elemosinavano diritti, una microstoria silenziosa, artefice della fondazione di Poggio Imperiale e che nella foga del racconto storico spesso dimentichiamo di presentare.
6. Mi incuriosisce anche sapere come ha fatto a raccogliere così tante notizie quali fonti dirette delle fasi di inizio della fondazione. Credo sia stato “un lavorone”. Sarebbe gratificante sapere quali azioni ha compiuto, dove si è recata, come si è mossa, insomma. Perché ritengo che solo un atto di amore verso il suo paese, di carità verso i suoi compaesani e di precisione verso i dati storici la possano aver stimolata! Insomma io ritengo che Ella vada ringraziata giacché ha fornito a tutti la possibilità di avere sottomano le citazioni sulle nostre origini e non è poco e credo che anche altri dovrebbero ringraziarla. La cosa andrebbe “immortalata” istituzionalmente dal Comune del paese e non so come … e resa pubblica ad ogni costo.
Ti ringrazio per la comprensione. Il lavoro è stato oneroso, pensa che non ho pubblicato tutti i documenti in mio possesso. La ricerca è stata effettuata negli archivi di Stato: nell’Archivio di Stato di Napoli, in quello Notarile e in quello Storico del Banco di Napoli. Poi nella sezione dell’archivio di Stato a Lucera. Nel mio libro faccio riferimento a tutti gli archivi visitati e nelle prime pagine ringrazio i miei collaboratori, anche perché non potevo affrontare da sola una ricerca così variegata. I documenti sono stati da me trascritti e commentati uno per uno in uno studio analitico e di comparazione. Il lavoro di ricerca è durato un anno e mezzo, senza contare i documenti che avevo studiato in precedenza, per passione.
Sono stati preferiti i documenti d’archivio, anche se non disdegno le biblioteche che sono luoghi di ricerca e di cultura di cui non possiamo fare a meno. Ho voluto pubblicare la trascrizione dei documenti perché il lettore potesse leggere gli avvenimenti dalle fonti dirette e nello stesso tempo fornire ai giovani ricercatori il materiale per le loro ricerche.
Conoscere da dove veniamo e chi eravamo è un modo per migliorare la nostra vita.
Questa pubblicazione, non mi vergogno di dire, è un atto d’amore verso un paese che sta andando alla deriva ed è votato al degrado. Ecco perché gli Archivi storici ci sono serviti per sottolineare l’importanza di essere cittadini di un paese le cui origini e la cui storia è legata a quella di tanti paesi del circondario e i cui primi abitanti portavano cultura, modi di pensare e di agire diversi, eppure stavano insieme, si aiutavano e si organizzavano. La maggior parte delle maestranze e degli affittuari per “disboscare e smacchiare” il territorio erano di S. Severo, e la “Valle di S. Severo” nella posta di “tre valli” era il luogo dove poi sarebbe sorta Poggio Imperiale.
Ricordare le qualità dei nostri antenati significa ripartire e riacquistare ciò che abbiamo perduto col passare del tempo.
Il suo lavoro, prof.ssa Zangardi, è diventato punto di partenza imprescindibile per ogni futura ricerca su Poggio Imperiale e modello da imitare per fare ricerca storica. In realtà anche io sono appassionato di storia ed ho in mente un metodo – per ora tutto mio – con cui procedere che non trascura ovviamente le fonti ma che tiene anche conto della centralità dell’uomo con tutte le sue dimensioni, opportunità questa che anche la S.V. ha ribadito a pag. 34 del suo testo.
Infatti Ella ha accennato oltre alle vicende storiche, anche alla possibile personalità del principe Imperiale come si andava esprimendo negli affari amministrativi della nostra terra e non ha dimenticato neppure la popolazione generale, i campagnoli che si rivolgevano al principe con “suppliche” per ottenere favori economici. Questo mi fa pensare a un collegamento con le nostre abitudini ormai tramontate di rivolgerci a signori benestanti o laureati di Poggio Imperiale anteponendo il “don” davanti al nome. Oggi un medico non è più un giudice insindacabile che cura poveri ignoranti; egli invece è uno dei tanti professionisti; oggi il medico o l’avvocato o il professore sono contestati nelle loro decisioni se non trasparenti con l’appellarsi ai propri diritti da parte del paziente, del cliente o dello studente, e, con le conoscenze adeguate anche di altre discipline, si può controllare/criticare la posizione e l’operato del medico o di altre persone un tempo considerate “signori” verso le quali ci si rivolgeva con il “don”.
Tra i vari interessi che coltivo da anni, mi è sempre piaciuto studiare tutto quanto è occorso da Adamo ed Eva (o dalla preistoria), ai giorni nostri, fino alle origini di Poggio Imperiale. Come lei dice, noi siamo prima di tutto il nostro passato. Io considero infatti la conoscenza storica e quella del mio paese in particolare quasi un altro tipo di “utero materno” in cui sono stato concepito, che mi restituisce la conoscenza delle mie radici e pertanto parte della mia identità.
In questo senso il suo libro rappresenta per me un primo “anello” di concatenazione tra il passato e il mio presente, giacché ho in mente di coltivare proprio l’acquisizione di una conoscenza storica di questo tipo cioè di una conoscenza che tenga conto non solo ad esempio di avvenimenti come le guerre mondiali ma anche del modo in cui tra le due grandi guerre si è sviluppata la filosofia dell’esistenzialismo con grandi personaggi quali Heideger, Sartre, ecc. Per cui è necessario dare uno sguardo all’arte del tempo, alle opere letterarie, ai monumenti, alle testimonianze di ogni genere. Cercare anche per esempio di inquadrare il temperamento di Hitler attraverso le fasi decisionali che determinarono lo scatenamento della seconda guerra, ecc. ecc..
Ella con il suo libro mi è venuta incontro donandomi un anello mancante al processo di ricostruzione storica che sto tentando più prossimo al mio ambiente, quello del mio paese, per questo la ringrazio.
La studio della storia non deve essere per così dire “statico” cioè mera ripetizione di eventi, di date senza poi avere la capacità e la gioia di intuire i collegamenti con le opere letterarie, il pensiero, le ideologie e perfino fare una critica storica. Credo.
Ti devo ringraziare per la passione che hai profuso nella lettura della mia pubblicazione: “Poggio Imperiale Anno 1759”. Voglio ricordare la casa editrice “Edizioni del Poggio”, sita a Poggio Imperiale e voglio ringraziare anche l’editore Giuseppe Tozzi che ha creduto nel lavoro svolto e mi ha incoraggiato nei momenti più faticosi. Voglio ribadire che bisogna sempre mettere a disposizione della comunità i propri studi. Nel mio libro invito i giovani a studiare e sono contenta che persone come te che con tenacia si impegnano e mettono in atto questo consiglio. In trentotto anni di insegnamento, di cui trenta nel mio paese, posso orgogliosamente affermare che ho tanti ex alunni lettori e studiosi che lavorano e sono ben inseriti nella nostra società, (certo qualcuno mi sarà pur “venuto male”, purtroppo). A questo proposito voglio ringraziare anche il giovane professore, mio ex alunno, esperto e studioso della storia del nostro territorio, Salvatore Primiano Cavallo, il quale vanta numerose pubblicazioni specialmente sulla sua Lesina, che in una sua mail mi ringrazia per aver posto fine “alla bagarre piena di insipienti toni campanilistici”, lo ringrazio per aver apprezzato il mio lavoro d’archivio, (e lui è un esperto di archivi) dove i documenti fanno la storia e non le opinioni. Il guaio del nostro paese è che abbiamo ipotecato il futuro permettendo a tanti giovani di andar via, ma è il destino di tutti i piccoli paesi del sud Italia. Le nuove tecnologie ci permettono di restare in contatto e comunicare le nostre conoscenze e i nostri studi.
A te Lino, auguro di attuare i tuoi progetti di vita e di essere sempre orgoglioso delle tue radici. Ho risposto con piacere alle tue domande. Spero d’essere stata esaustiva. Sentirsi “terranovesi” deve essere sempre un onore, pur riconoscendo i limiti e gli errori che, come persone umane possiamo commettere. Ritrovare le proprie radici significa, però rispettare sempre quelle degli altri.
Dopo il dottorato, ad maiora nunc et semper!!!
A Pasquale Guidone da Antonietta Zangardi
A Milano, la donna nella pittura italiana dell’800
Il capoluogo lombardo dedica una mostra alla “donna” nella pittura italiana dell’Ottocento.
Il percorso dell’interessante rassegna allestita a Milano, dall’8 novembre al 23 dicembre 2012, si snoda in due distinti ambiti, il primo riferito al periodo che va “Dalla Scapigliatura alla Belle Epoque” e l’altro che riguarda aspetti pittorici che si profilano “Tra ritratto e paesaggio”, con la “donna” sempre in primo piano.
La centralità della rassegna è dunque la “donna”; un omaggio all’universo femminile e alla sua rappresentazione da parte dei principali artisti italiani del secondo Ottocento, quali Giovanni Boldini, Mosè Bianchi, Pellizza da Volpedo, Domenico Induno, Giuseppe De Nittis (il nostro corregionale pugliese, nato a Barletta il 25 febbraio 1846 e morto a Saint-Germain-en-Laye – Francia – il 21 agosto 1884, un pittore italiano vicino alla corrente artistica del Verismo e dell’Impressionismo), Vincenzo Irolli, Alessandro Milesi, Stefano Noto, Ettore Tito e tanti altri ancora.
Location della rassegna:
La sezione “Dalla Scapigliatura alla Belle Epoque” è stata allestita alla Galleria “Bottegantica” di Milano, via Alessandro Manzoni 45;
La sezione ”Tra ritratto e paesaggio” è stata allestita alla Galleria d’Arte “Ambrosiana” di Milano, via Vincenzo Monti 2.
Qualche assaggio delle opera esposte:
“Prega il suo innamorato di perdonarla con mani incrociate e posizione di supplica”
(Titolo del quadro: “Litigio amoroso” di Vincenzo Irolli);
“Sospira accostando il suo volto a quello di un piccolo figlio da accudire e amare”
(Titolo del quadro: “Maternità” di Alessandro Milesi);
“Dipinge incurante di tutto, affondando il suo sguardo in una tela”
(Titolo del quadro: “La pittrice” di Mosè Bianchi).
Queste sono solo alcune delle figure femminili che compongono la galleria di volti, sguardi ed espressioni raccolti per la a mostra ed esposti nelle due sedi espositive.
“La donna nella pittura italiana dell’800” è un progetto ideato e firmato da Enzo Savoia e Francesco Luigi Maspes, che vuole documentare, in un percorso che collega la Galleria Bottegantica e la Galleria d’Arte Ambrosiana di Milano, il ruolo di protagonista che la donna ebbe nella seconda metà dell’Ottocento nelle opere dei grandi artisti di quel periodo. Un percorso con cinquanta opere suddivise nelle due sedi (rispettivamente, 30 e 20), che offre l’opportunità di ammirare quadri di intensa suggestione, tra i quali – ad esempio – i lavori del pittore Giovanni Boldini, straordinario interprete della bellezza femminile e protagonista assoluto della Belle Epoque parigina, attraverso una preziosa selezione di dipinti, tra cui Nudo di donna con calze nere, Donna in riposo, Giovane signora nell’atelier e le figure di Madame Lantelme e Irene Catlin: opere in cui la “donna” è rappresentata in sfolgoranti ritratti ufficiali, a volte in pose ardite e sofisticate, quasi teatrali.
Così come ci si può soffermare sul paesaggio bucolico di Ettore Tito in Prato in fiore (Bambini sull’altopiano di Asiago), dove donne e bambini sono immersi nel verde dell’altopiano, per l’appunto, di Asiago; un quadro che riesce letteralmente a far inchiodare l’occhio del visitatore sul dipinto.
E che dire dell’olio su tavoletta, dal titolo Ora del pasto, di Giuseppe De Nittis, raffigurante una gentile fanciulla intenta a lanciare pezzetti di cibo ad alcune anatre, ai bordi di un laghetto.
Le venti opere esposte presso la sezione della Galleria d’Arte Ambrosiana documentano, nello specifico, l’evoluzione dell’immagine femminile, sempre nella seconda metà dell’Ottocento, nei generi del ritratto e del paesaggio, in particolare, con artisti quali Mosè Bianchi, Enrico Crespi, Giuseppe De Nittis, Domenico Induno, Gaetano Previati, Daniele Ranzoni ed altri.
In estrema sintesi, la mostra si è prefissato – a quanto pare – l’obiettivo di intercettare e mettere in risalto un fenomeno che, nel periodo temporale cui si fa riferimento, aveva assunto grande risalto per quanto attiene alla posizione della “donna” nella pittura. Infatti, i movimenti intellettuali, i mutamenti politici, sociali e culturali che hanno investito l’Italia, particolarmente tra il 1800 e il 1900, hanno portato le donne (aristocratiche, nobili o popolane che fossero) ad assumere ruoli di primo piano nella nascente nuova società italiana, cambiamento che si è riflesso anche nell’arte.
Quindi, non più (solo) donne raffigurate con abiti sfarzosi, ingioiellate e colte nel momento migliore della loro bellezza, ma (pure) donne raffigurate in ogni occasione della vita, in ogni attimo della quotidianità e inserite nella vita del tempo, che testimoniano i cambiamenti dei tempi. Donne scoperte nei loro momenti più personali ed intimi, nella maternità, a volte anche nel lavoro umile; donne che assumono anche un ruolo ed una posizione diversa nei confronti dell’uomo.
“Charleston”, una city car da collezione …davvero speciale!
Alla stessa stregua della 2CV (la mitica due cavalli) che, in versione moderna, aveva brillantemente rimpiazzato, anche la C3 Pluriel della Citroën è stata da qualche tempo affidata alla storia e sostituita dalla nuova “cabrio” DS3.
Ma il pezzo forte della C3 Pluriel è rappresentato dalla versione “Charleston”, davvero unica e seducente.
La Citroën Special Edition C3 Pluriel Charleston, una versione speciale della city car francese (ved. foto a lato), venne presentata al Salone Mondiale di Parigi nel 2008, per celebrare i sessant’anni dalla nascita della 2CV, anch’essa a lungo prodotta nella versione Charleston con gli stessi colori, già a partire dal 1980. E le vendite di questa serie speciale iniziarono verso la fine dello stesso anno 2008 in Francia e all’inizio del 2009 in altri Paesi europei.
Passati 28 anni esatti dal suo debutto mondiale, la 2 cavalli Charleston saliva sulla macchina del tempo e riappariva al pubblico travestita da C3 Pluriel Charleston. Dal salone di Parigi del 1980 a quello del 2008, quasi per magia.
Alla sua uscita di scena, la C3 Pluriel risultava essere stata prodotta in soli 109.682 esemplari, di cui 30.000 in Italia e con un limitatissimo numero di pezzi in versione “Charleston”, il che può rilevarsi interessante per gli intenditori ed appassionati di “pezzi unici … e rari”.
Il binomio C3 Pluriel – 2CV in versione Charleston volle essere un omaggio a un mito, voluto da Citroën e reso possibile dalla somiglianza fra i due modelli.
2cv (due cavalli) Charleston
Così come la Citroën 2CV Charleston, anche la C3 Pluriel Charleston ha mantenuto la colorazione bicolore nero e bordeaux, sebbene con nuovi e più confortevoli interni, dai sedili in pelle alle finiture, commisurati al top della gamma di riferimento.
Seducente e complice, grazie al suo stile, al tetto apribile elettrico, ai quattro posti effettivi e alla versatilità d’uso, C3 Pluriel Charleston ha giocato apertamente la carta della seduzione, incurante del tempo che, inesorabilmente trascorre: la storia Citroën riscritta in chiave moderna.
Dal suo lancio è diventata un oggetto del desiderio, che ha catturato lo sguardo e suscitato emozioni.
C3 Pluriel ha colto l’occasione del Salone Mondiale di Parigi 2008 per sorprendere e guadagnare le luci della ribalta, vestendo la livrea Charleston, versione storica della 2CV.
C3 Pluriel ha ereditato dalla illustre sorella maggiore i valori di creatività, ottimismo, design, versatilità e differenziazione, e si è permessa di strizzarle l’occhio per celebrarne i 60 anni.
Perché “Pluriel”?
Alla lettera, tradotto dal francese, significa “plurale, ma più semplicemente perché si tratta di un’autovettura che si trasforma in quattro modelli, con piccole e semplici operazioni manuali:
- Una Berlina;
- Una Cabriolet;
- Uno Spider;
- Un Pickup.
Capito bene! Proprio così : quattro macchine in una sola autovettura!
Sin dal lancio, C3 Pluriel Charleston ha toccato un registro emotivo forte, identico a quello della sua illustre sorella maggiore, la 2CV, con la quale condivide i geni di creatività, ottimismo, design, versatilità e distinzione.
C3 Pluriel Charleston, in effetti, strizza l’occhio alla storia e fa un viaggio nel tempo, riscrivendo con modernità e qualità la storia Citroën e, per le sue caratteristiche che hanno attratto più generazioni nel tempo è riuscita a conquistare una buona fascia di amatori. Dal nostalgico della 2CV all’appassionato di design, che vuole viaggiare in un veicolo particolare, C3 Pluriel Charleston ha saputo attrarre e sedurre.
In verità, si tratta in genere di autovetture – quelle della Citroën – che non ammettono mezze misure, nel senso che, sul piano del gradimento, o piacciono da impazzire o non piacciono affatto e quindi non se le fila nessuno.
Ma, un fatto è certo: in Italia e all’estero proliferano “Fans Club Citroën” che organizzano raduni di auto d’epoca e che mantengono assidui rapporti tra loro.
E, dunque, come recita il vecchio andante, … non è bello quel che è bello, è bello quel piace!
Giovanni Saitto presenta a Poggio Imperiale il suo nuovo libro
“La rivoluzione agraria di Placido Imperiale e la fondazione di Poggio Imperiale”.
Questo il titolo dell’ultimo libro scritto dal nostro compaesano Giovanni Saitto, la cui presentazione avrà luogo domenica prossima 11 novembre presso i locali della Biblioteca Comunale di Poggio Imperiale, sita nella locale Via Cavour, con inizio alle ore 17,30.
Relatori:
– prof. Francesco Barra, Ordinario di storia moderna presso l’Università di Salerno;
– prof. Michele Vespasiano, Storico di Sant’Angelo dei Lombardi;
– prof. Pasquale D’Avolio, Presidente Associazione “Amici della Laguna” di Lesina.
Moderatore: Loris Castriota Skandenberg, giornalista
Nel corso dell’evento sarà altresì celebrato, nel nome del comune “padre fondatore” Placido Imperiale, il gemellaggio tra l’Associazione Culturale Terra Nostra Onlus di Poggio Imperiale e la Pro Loco Alta Irpinia di Sant’Angelo dei Lombardi, attraverso la formale sottoscrizione, da parte dei due rispettivi Presidenti, della “Magna Carta” che ne stabilisce le finalità e gli intenti reciproci.
Nell’occasione verrà donata alla Pro Loco Alta Irpinia una stupenda tela raffigurante il Principe Imperiale.