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New York, 11 settembre 2013, dodici anni dopo
New York, la Grande Mela!
E’ bello ricordarla sempre come una città scintillante, bella e piena di vita, stendendo un velo pietoso sul tragico evento che la colpì ferocemente l’11 settembre 2001.
Il World Trade Center di New York (1) rappresentava l’enfatizzazione della grandezza politica ed economica americana e, dunque, per gli attentatori, colpire le due Torri gemelle che, maestose, si stagliavano nel cielo di Manhattan, significava infliggere un colpo mortale al cuore della più imponente superpotenza mondiale.
Le Torri gemelle prima dell’attentato
E fu così che, 12 anni orsono, si consumò l’attentato terroristico più sofisticato della storia, in un contesto che assunse nondimeno anche forme spettacolari, per proporzioni e modalità di esecuzione, grazie anche alla diffusione delle immagini in diretta televisiva in tutto il mondo.
Una carneficina; due colossi di alta tecnologia che si abbattevano al suolo, fondendosi tra le fiamme con il loro carico umano, fatto di donne e uomini che in quelle ore si trovavano negli uffici, negli esercizi commerciali, in metropolitana o, lì in zona, solamente di passaggio.
Oggi, giorno dell’anniversario della strage, il ricordo di quanti nell’evento persero la vita ma anche un ringraziamento a tutti quelli che si prodigarono nei soccorsi.
I familiari delle vittime degli attentati dell’11 settembre 2001 si sono radunati in occasione del 12esimo anniversario della tragedia. Negli attacchi a New York e Washington persero la vita quasi tremila persone. Nella cerimonia nella Grande Mela i partecipanti hanno letto, com’è consuetudine, i nomi delle persone morte nello schianto di due aerei contro le Torri gemelle.
Da Washington, nel suo discorso alle commemorazioni per ricordare l’11 settembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama ha fatto sentire, calda, la sua voce.
«È un onore essere con voi di nuovo per ricordare la tragedia» – ha detto il Presidente – «per onorare la grandezza di coloro che hanno risposto e per stare con coloro che ancora soffrono e fornire loro qualche forma di conforto». Ed ancora: «Insieme ci fermiamo e rendiamo grazie umilmente come famiglie e come nazione». «Dobbiamo avere il coraggio – come questi superstiti, come queste famiglie – di andare avanti, non importa quanto saranno buie le notti o i giorni difficili». Rivolgendosi ai familiari delle vittime e ai sopravvissuti degli attentati Obama ha poi affermato: «Più che i memorial, sono le vostre vite il maggior tributo a coloro che abbiamo perso». «Quello che conta è l’orgoglio che portate nel vostro cuore. Quello non morirà mai».
A New York, come lo scorso anno, anche oggi nessun politico ha preso la parola alla cerimonia a Ground zero, presieduta dal sindaco Michael Bloomberg, alla quale erano presenti i familiari delle vittime dell’attentato.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 sono stati quattro attacchi suicidi contro obiettivi civili e militari nel territorio degli Stati Uniti d’America, organizzati e realizzati da un gruppo di terroristi aderenti ad Al Qaeda, un movimento paramilitare e terroristico, fautore di ideali riconducibili al fondamentalismo islamico.
Ho avuto modo di visitare, insieme con mia moglie, Ground zero a New York, qualche anno dopo l’attentato del 2001, e ricordo ancora il senso di tristezza e di avvilimento che abbiamo provato alla vista di quanto accaduto!
La ricostruzione
A New York, sulle ceneri del World Trade Center, è in corso la ricostruzione: quattro torri ospiteranno negozi, uffici, spazi dedicati all’arte, un memoriale, un museo dedicato all’attentato e una nuova stazione dei mezzi pubblici, disegnata da Santiago Calatrava. L’edificio principale, detta Freedom Tower, è quasi ultimato e sarà aperto al pubblico il prossimo anno. È alto 1.776 piedi (circa 541 metri), in omaggio all’anno della Dichiarazione d’indipendenza (1776).
Il museo è ancora in fase di completamento, mentre il Memorial dedicato alle 2.974 vittime dell’attentato è stato inaugurato nel settembre 2011, in occasione del decimo anniversario della tragedia. Si tratta di un parco pieno di alberi e due enormi fontane realizzate nel punto esatto in cui sorgevano le Torri gemelle.
(1) Il World Trade Center di New York, Stati Uniti d’America, era un complesso di sette edifici per la maggior parte disegnati dall’architetto Minoru Yamasaki e dall’ingegnere Leslie Robertson e sviluppato dall’ Autorità Portuale di New York e New Jersey. Il complesso era situato nella parte sud dell’isola di Manhattan, nel Lower Manhattan ed è famoso in particolare per l’eccezionale evidenza delle Torri gemelle (Twin Towers) e per gli attentati dell’11 settembre 2001 che le distrussero. Con il crollo delle torri (denominate WTC1 e WTC2) anche gli edifici minori (WTC3, WTC4, WTC5, WTC6, WTC7) furono distrutti o danneggiati irreversibilmente e quindi abbattuti nei mesi successivi. Tra le costruzioni distrutte va ricordato anche un luogo di culto: la chiesa greco-ortodossa di San Nicola.
Il ricordo del Cardinale Carlo Maria Martini ad un anno dalla sua morte
Il 31 agosto 2012 il Cardinale Carlo Maria Martini lasciava la sua vita terrena per fare ritorno alla casa del Padre.
Milano ha ricordato oggi, con una Messa solenne in Duomo, a un anno dalla sua morte, il suo amato Pastore, che fu Arcivescovo per 22 anni, dal 1980 al 2002.
Il Papa Francesco lo ha definito “un profeta coraggioso”, mentre l’Arcivescovo Angelo Scola ha detto di lui che “fu indomito portatore di ‘speranza affidabile’ che deriva dalla fede incrollabile nella Risurrezione di Gesù”.
Sicuramente egli resterà sempre nel cuore dei milanesi, che oggi, un anno dopo, non hanno dimenticato il loro Cardinale, l’Arcivescovo della Diocesi più grande al mondo, con un pensiero speciale a lui dedicato in ognuna delle 1.107 parrocchie ambrosiane.
Il culmine delle celebrazioni in Duomo, dove, un anno fa, il corpo dell’indimenticato Cardinale venne omaggiato per due giorni e due notti dai fedeli accorsi da tutta Italia; fedeli pieni di gratitudine al Signore per il patrimonio di vita che egli ha lasciato, in special modo la sua passione e competenza per la Parola di Dio.
L’Arcivescovo Angelo Scola ha presieduto questa sera la solenne celebrazione eucaristica a suffragio.
Diecimila i fedeli intervenuti in Duomo alle 17.30, duecento i sacerdoti che hanno affiancato l’Arcivescovo nell’officiare la funzione. Nelle prime file la sorella del cardinale Martini, Maris e il nipote Giovanni.
Al termine della celebrazione il cardinale Scola e i concelebranti si sono recati in processione all’altare del crocefisso di San Carlo, dove Martini è sepolto. Sulla tomba Scola ha sostato a lungo in preghiera e si è svolta una breve ma intensa liturgia di suffragio.
“Il vecchio e il Principe, una vita” di Giacomo Fina
Ancora un libro di poesie.
In questi giorni, Giacomo Fina ha regalato ai poggioimperialesi ancora nuove emozioni, con la pubblicazione della sua ultima opera intitolata “Il vecchio e il Principe, una vita”, Edizioni del Poggio, 2013.
Un nuovo libro di poesie che si collega idealmente al suo precedente “Io e il Principe” del 2012 (*) e che, a ben vedere, rappresenta una sorta di completamento di quel “viaggio” fantastico già iniziato in tale contesto.
E, come nel suo stile, oramai consolidato, egli scava e fruga nei cassetti dei suoi ricordi offrendoci storie, aneddoti, circostanze e profili di personaggi di un tempo che non c’è più.
Storie belle ed anche meno belle, avvenimenti piacevoli ma anche vicende tristi e dolorose, in uno scenario a volte surreale dal quale sembra trasparire il desiderio dello scrittore di voler fare un bilancio della propria vita, ora, all’alba dei suoi 78 anni di età.
Ieri sera, a Poggio Imperiale, presso i locali della Scuola Elementare “ E. De Amicis” in via Oberdan, alle ore 19,00, si è svolta la manifestazione di presentazione di questo interessante nuovo libro, alla presenza dell’autore e con la partecipazione di un folto pubblico, che ha potuto così applaudire l’attore e regista teatrale Fabio Gemo, nel mentre declamava con voce calda e suadente le poesie di Giacomo Fina.
Molto avvincente si è rivelata anche la relazione della Prof.ssa Maria Rosaria Matrella dell’Università degli Studi di Foggia, che si è spinta fino a penetrare nella profondità dei sentimenti che ispirano l’opera di Giacomo Fina.
Il saluto dell’Amministrazione Comunale di Poggio Imperiale, in persona del Vice Sindaco e dell’Assessore alla Cultura, e di una rappresentanza dell’Albania, presente in paese, ha completato gli interventi della serata.
Al termine, un rinfresco per tutti gli intervenuti.
Auguri all’amico “Mimì” per tanti anni ancora … di belle poesie!
(*) Del medesimo autore:
– Dialogo postumo, Edizioni Malatesta, 2007
– Viaggio d’autunno, Edizioni del Poggio, 2009
– Il Viandante, Edizioni del Poggio, 2010
– Come le onde, Edizioni del Poggio, 2011
– Io e il Principe, Edizioni del Poggio, 2012
Foggia, 70° Anniversario dei bombardamenti
Ricorre oggi il 70° Anniversario dei bombardamenti aglo-americani sulla città di Foggia, che provocarono la morte di oltre ventimila inermi cittadini ed un numero imprecisato di feriti, riducendo la città ad un cumulo di macerie.
In particolare, morirono bruciati, senza scampo, oltre duemila persone che avevano trovato rifugio nel sottopassaggio della stazione ferroviaria, per via delle fiamme scaturite dallo scoppio di alcuni carri cisterna ferroviari in sosta sui binari soprastanti, contenenti carburante, centrati in pieno dai bombardamenti.
Foggia, città martire della Seconda Guerra Mondiale, Medaglia d’oro al Valor Civile, rappresenta l’epilogo della scelleratezza dei popoli che si ostinano a cavalcare venti di guerra anziché propendere per la pace, la tolleranza e l’amore reciproco delle genti.
Qui di seguito, uno stralcio del discorso del Sindaco di Foggia in occasione della cerimonia di commemorazione (cfr. http://www.statoquotidiano.it).
“Autorità, gentili Ospiti, Signore e Signori, sono trascorsi 70 anni dal tragico 22 luglio 1943, il giorno che, più di tanti altri, devastò la nostra città e straziò le carni e gli animi di migliaia di nostri concittadini. Oggi ricordiamo un bombardamento come pochi ne sono stati registrati dalle cronache della Seconda Guerra Mondiale per capacità distruttiva e sforzo bellico”.
“Oggi commemoriamo i nostri morti con la più profonda commozione e un’ancor più sentita partecipazione. 22mila furono le inermi vittime dei bombardamenti concentrati sulla nostra povera città. 7mila donne, uomini e bambini persero la vita nella sola giornata del 22 luglio. Sempre migliaia furono i feriti, i senza tetto, gli affamati in quella funesta estate del ’43. I loro lamenti echeggiavano in una città muta e attonita”.
“Il loro dolore era quello delle case sventrate, delle strade rese monche. Buona parte di Foggia divenne un cumulo di macerie, la sua storia cancellata quasi del tutto, la sua memoria collettiva inevitabilmente sfregiata”.
“Il triste scenario che emergeva dalla polvere e dal fumo, diventava orrido al calare del sole, quando, tra le macerie e i cadaveri, si aggiravano gli sciacalli: ladri che facevano man bassa di modesti tesori e disonoravano le vittime, finanche spogliandole di scarpe e vestiti”.
Foto di repertorio (cfr. http://www.statoquotidiano.it).
Qualcosa in più sui bombardamenti anglo-americani di Foggia del 1943
(integrazione del 22 settembre 2013)
«Paesaggio Storico di Capitanata, Quando a Foggia c’erano gli … “ americani”», Editrice Parnaso di Luigi P. Marangelli, Foggia 2012, unitamente a «Paesaggio Storico di Capitanata, L’estate del 1943 a Foggia», a cura del Comitato Commemorativo delle Vittime delle Incursioni Aeree del 1943 sulla Città di Foggia, Grafiche GERCAP Foggia-Roma, Foggia marzo 2013, offrono al lettore l’opportunità di comprendere meglio ciò che è effettivamente accaduto a Foggia durante quella terribile estate del 1943.
Le forze anglo-americane avevano l’esigenza di attaccare in maniera massiccia la Capitanata, e Foggia in particolare, considerata una roccaforte strategica delle truppe italo-tedesche, al tempo alleate tra loro. C’era infatti la presenza di aeroporti in grado di assicurare la copertura aerea verso il Nord-Europa, verso i Balcani e verso il Nord-Africa, e di un imponente scalo ferroviario che consentiva, oltre ai collegamenti tra il nord e il sud Italia (toccando punti chiave del mare Adriatico e dello Jonio), anche quelli verso Napoli e Roma (toccando punti chiave del mar Tirreno) e verso la Basilicata. Inoltre molte erano le industrie belliche dislocate in città. Ma soprattutto gli anglo-americani pensavano che un attacco dirompente su Foggia potesse finalmente provocare le condizioni per mettere in ginocchio l’esercito tedesco (il vero nemico da abbattere), costringendo nel contempo gli italiani alla resa (peraltro già riservatamente in corso di definizione per via diplomatica). E ne scaturì un vero caos, soprattutto a discapito della popolazione civile, con le forze [di liberazione] anglo-americane che bombardavano incessantemente e gli ex alleati italiani [i soldati tedeschi, che nel frattempo, dopo l’armistizio dell’8 settembre, erano divenuti nemici] in fuga, non senza disdegnare anche atti di repressione e rappresaglia.
Questi, alcuni passaggi, che si rinvengono nella pubblicazione del Comitato Commemorativo suddetto:
“…nel maggio del 1943, gli anglo-americani decisero di sferrare l’offensiva per riuscire a sbarcare in Italia. Per ottenere ciò dovevano rendere inoffensivi i campi di aviazione di Foggia, indispensabili per avere il controllo dell’Europa meridionale e del Mediterraneo. Quando iniziarono i bombardamenti su Foggia, mancavano pochi giorni alla caduta del fascismo e pochi mesi alla stipula dell’armistizio dell’8 settembre a Cassibile, ma Foggia verrà bombardata anche il 18 settembre. I bombardieri anglo-americani, in partenza dagli aeroporti del Nord-Africa, presero quindi di mira gli aeroporti foggiani, attuando la tattica del bombardamento a tappeto sulla città di Foggia, riuscendo ad essere ancora più convincenti. Ai cittadini foggiani non fu neanche risparmiato il criminale mitragliamento da parte dei veivoli nemici …”. “ … Le forze aeree anglo-americane erano, in quel frangente, sotto il comando inglese …”. “ … e quando, alla fine di settembre del 1943, gli alleati entrarono nella nostra città, trovarono solo dei fantasmi …”. “… Foggia aveva 79.000 abitanti nel maggio del 1943; ne avrà invece 59.000 nel luglio del 1945. Nessuno potrà mai dirci con certezza quante sono state le vittime dei bombardamenti del 1943 sul maggiore centro del Tavoliere. Non avevano certo voglia di parlarne gli anglo-americani, che sono rimasti nella nostra città fino al 1947…”. “… Nella seconda guerra mondiale ci sono stati 50.000.000 di morti, tra militari e civili; ogni giorno muoiono di fame, all’alba del terzo millennio, 24.000 persone, proprio quante le vittime di quella calda estate del 1943 a Foggia [si tratta di una stima personale di Lucio Pasquale Masullo del Comitato] …”. “ … Mentre attendiamo ancora il giudizio della storia sull’estate foggiana del 1943, a noi interessa contribuire … [a] … rendere onore a quelle vittime innocenti …”
E, ancora, qualche stralcio tratto da “Olocausto”, un articolo apparso sul giornale “Il Provinciale”, a firma di Luigi Iacomino, e riportato nella medesima pubblicazione sopra citata:
“… Gli alleati, quegli alleati che avevano interpretato il ruolo dei nemici nel corso di una guerra disastrosa, che si trasformarono in ‘salvatori della patria’ dopo l’armistizio dell’8 settembre e lo sbarco in Italia, capaci di ricacciare indietro il primitivo alleato [l’esercito tedesco], divenuto nemico. Alleati che soltanto qualche settimana prima avevano devastato la città di Foggia con bombardamenti di ferocia inaudita, oltraggiando una comunità laboriosa e pacifica …”. “Il 22 luglio toccò a Foggia sperimentare la teoria di Harris (teoria proposta dall’Inghilterra ed elaborata dall’Air Chief Marshal Arthur Harris, conosciuto dai suoi uomini come Harris il macellaio, in quel momento a capo del Comando Bombardieri RAF. Questa insana ed assurda teoria proponeva il bombardamento indiscriminato di obiettivi civili, al fine di colpire ‘il morale della popolazione’: alle ore 9,35 suonarono gli allarmi aerei, 82 bombardieri B17 giunsero sulla città scortati da caccia P38, la formazione, decollata dagli aeroporti dell’Algeria, bombardò inizialmente l’aeroporto di Tortorella, poi si diresse sulla città. I primi veivoli a giungere su Foggia furono i caccia P38, che scesero a volo radente sparando sulla gente che fuggiva verso i rifugi antiaerei, l’armamento dei P38 era costituito da 4 mitragliatrici Browning Cal.50 da 12,7 mm e da un cannoncino da 20 mm; queste armi letali nel combattimento contro altri aerei, usate contro la popolazione inerme ebbero degli effetti terrificanti; e furono tantissimi i foggiani che caddero sotto il tiro di queste armi, soprattutto nella Villa Comunale [gli estesi giardini pubblici di Foggia]. I caccia americani non fecero alcuna distinzione tra civili, mezzi della Croce Rossa o militari, attuando un barbaro comportamento da criminali di guerra che in seguito non è stato mai perseguito. Dopo la mattanza, effettuata dai caccia giunsero i bombardieri: le Fortezze Volanti sganciarono le loro bombe sulla stazione ferroviaria, sul deposito locomotive, sulla Villa Comunale ed a casaccio sulle altre zone della città. Tantissimi furono gli altri obiettivi colpiti, il cimitero, l’Istituto Poligrafico dello Stato, il Centro Chimico Militare, l’Acquedotto Pugliese, la fabbrica di mattoni, il deposito carburanti, i pastifici, i molini, la caserma dei Reali Carabinieri, etc.. L’episodio più grave si verificò nella stazione ferroviaria, dove alcune migliaia di passeggeri cercarono rifugio nel sottopassaggio, accanto al quale, sul 2° binario, era in sosta un treno composto da carri serbatoio destinati alla 16ª Panzer Division tedesca. L’esplosione di questi carri serbatoio colpiti dalle bombe provocò la fuoruscita di migliaia di litri di benzina, che, scivolando verso le rampe di discesa del sottopassaggio, prese fuoco. Furono almeno 2000 le persone che rimasero intrappolate in quell’inferno. La temperatura raggiunta nel sottopassaggio fu talmente elevata da rendere impossibile l’accesso ai vigili del fuoco, anche a quelli muniti di tute di amianto. Quando, quindici giorni dopo, fu possibile entrare, venne ritrovata solo cenere. Complessivamente il numero delle vittime di quel tragico bombardamento fu di 7643 morti. A quelle povere vittime non fu possibile dare una degna sepoltura: l’elevata temperatura di quei giorni e l’enorme numero di morti, fecero temere alle autorità civili e militari il diffondersi di epidemie. Venne pertanto deciso di scavare diverse fosse comuni, dove si accatastarono i cadaveri ed i poveri resti umani che venivano man mano recuperati tra le macerie. In alcune fosse su questi resti venne versato dell’acido al fine di scioglierne l’ingombro, in altre venne versata della benzina, poi data alle fiamme. E’ probabile che all’orrore si aggiunse altro orrore: vi furono anche feriti gravi gettati nelle fosse assieme ai morti. Occorsero molti giorni per poter effettuare la raccolta delle vittime; gli autocarri militari, carichi di morti, effettuarono per giorni una pietosa spola tra la città e il cimitero. Gli ospedali di Foggia e della provincia erano pieni di feriti, mentre le autorità italiane e tedesche si prodigavano per trasferire migliaia di foggiani senza casa nelle diverse località di assegnazione …”. “… Dopo solo cinque giorni da questo terribile bombardamento, i bombardieri americani tornarono nei cieli della Capitanata effettuando un’incursione all’aeroporto di Tortorella …”. ”… Pochi giorni dopo toccò nuovamente a Foggia: il 19 agosto 233 bombardieri americani effettuarono un indiscriminato bombardamento a tappeto della città, dove si ripeterono gli stessi drammi del 22 luglio. Per 95 lunghissimi minuti i Liberato e le Fortezze Volanti scaricarono su Foggia oltre 590 tonnellate di bombe. Vennero colpiti il Municipio, il Palazzo del Governo, il Palazzo delle Poste, gli Ospedali riuniti, la Cattedrale, il Museo Civico, la Caserma Miale da Troia, la Caserma Oddone e la zona ferroviaria della città …”. “… Per giorni le instancabili squadre di soccorso civile e militari effettuarono il recupero dei poveri resti delle vittime del bombardamento, dando loro sommaria sepoltura, ed erano ancora all’opera quando nella notte del 20 agosto, 15 bombardieri inglesi del tipo Wellington sganciarono oltre 50 bombe sulla già martoriata città. Gli stessi bombardieri tornarono su Foggia la notte del 21 agosto …”. “… Ormai sembrava che non ci fosse più nulla da distruggere, ma i pianificatori militari americani e inglesi avevano deciso diversamente, e la mattina del 25 agosto i bombardieri americani erano nuovamente nel cielo di Foggia. Oltre 276 veivoli, dei quali 140 Lightning e 127 tra B17 eB24, suddivisi in 5 ondate, si accanirono nuovamente sulla città, distruggendo quanto era stato risparmiato in precedenza. Gli attacchi si estesero anche sugli aeroporti di Tortorella, Schifara e Gino Lisa, furono colpiti anche lo scalo ferroviario di Rocchetta Sant’Antonio e il Golfo di Manfredonia …”. “… Nuove incursioni si ebbero su Foggia, nei giorni 7, 8 e 9 settembre, nel quadro dell’Operazione Avalanche …”. “… Il pomeriggio del 10 settembre una formazione di B24 americani bombardò gli aeroporti satelliti …”. “… Il 17 settembre la zona ferroviaria di Foggia venne nuovamente bombardata dai B24 della RAF, che sganciarono 8 tonnellate di bombe sui magazzini ferroviari. La mattina del giorno successivo una formazione di 100 P38 americani effettuò un attacco contro gli aeroporti di Foggia e, successivamente contro gli impianti ferroviari della città, si trattò dell’ultima incursione aerea su Foggia della Seconda Guerra Mondiale …”. “Foggia ha pagato un tributo altissimo alla follia della guerra. Nel corso di quella terribile estate … le vittime dei bombardamenti furono 20.293, a cui vanno aggiunti un numero imprecisato di militari italiani e tedeschi, mentre non è stato possibile accertare il numero esatto dei feriti, con ogni probabilità furono diverse migliaia …”. “… Foggia aveva subito la distruzione del 76% della superficie edificata, mentre ingentissimi erano stati i danni arrecati agli impianti militari presenti in città …”.
E, per finire, dalla menzionata pubblicazione “Quando a Foggia c’erano gli ‘americani’:
Alla popolazione foggiana
A Foggia
città – martire
ai suoi gloriosi figli
eroicamente caduti
a coloro che portano
nello spirito e nelle carni
le stimmate della violenza
alle mamme ai padri ai figli
che ricordano e piangono
nella tragedia che li ha colpiti
(Padre Odorico Tempesta dell’Ordine dei Frati Minori)
La Madonna del Carmine protettrice dei muratori
lI giorno 16 di luglio di ogni anno a Poggio Imperiale si celebra la festa in onore della Madonna del Monte Carmelo – detta “del Carmine”, equivalente dello spagnolo “Carmen” – organizzata dai muratori locali, che considerano la Vergine loro Protettrice. I festeggiamenti hanno inizio con una messa solenne celebrata nella Chiesa Matrice di San Placido Martire, alla quale segue la processione per le vie del paese e si concludono con uno spettacolo pirotecnico al termine della serata.
Anche noi – presenti a Poggio Imperiale – lo scorso martedi 16 luglio abbiamo assistito alla festa con vivo interesse.
Dopo la Santa Messa delle 18:30 officiata dal parroco Don Luca, unitamente ai numerosi fedeli presenti abbiamo partecipato alla processione al seguito del simulacro della Madonna, portato a spalla da un gruppo di giovani volenterosi muratori poggioimperialesi, fra preghiere, canti sacri e l’accompagnamento musicale della Banda Musicale di San Paolo Civitate.
All’inizio, nel corso e alla fine della processione, i tradizionali fuochi d’artificio (le cosiddette “batterie”) hanno reso ancora più incandescente il tradizionale evento.
Poi lo ”struscio” sul “viale” ed un complesso musicale, in piazza, che ha allietato il resto della serata.
Subito dopo la mezzanotte, tutti al “campo sportivo” per il coinvolgente spettacolo pirotecnico.
Una tradizione – questa della festa “del Carmine” – che rivive ogni anno il 16 di luglio, grazie all’iniziativa dei muratori di Poggio Imperiale, e più precisamente dei pochi giovani che seguono ancora oggi questo tipo di attività, che in passato rappresentava una vera eccellenza, sia in paese che fuori dai suoi confini, in Italia ed anche all’estero; “Mastri Fabbricatori” poggioimperialesi di cui ancora oggi sopravvive il ricordo.
Il legame della Madonna “del Carmine”con i muratori
Da dove discende il legame della Madonna “del Carmine” con i muratori in provincia di Foggia?
Pare che, a Foggia, il culto della Madonna ”del Carmine” sia legato alla costituzione della sua Congregazione, risalente al l’anno 1646, allorchè alcuni “Mastri Fabbricatori” edificarono la Cappella della Congregazione Carmelitana.
La costruzione della Cappella fu dettata dal pericolo dell’epidemia di colera che imperversava in tutta l’Italia meridionale.
La Cappella fu edificata sul territorio della Parrocchia di Sant’Angelo e si narra che ogni muratore contribuì alla sua edificazione offrendo i propri mezzi, che talvolta consistevano in mere giornate lavorative offerte per pura devozione.
Santa Maria del Carmelo e lo “scapolare”
Più in generale, Santa Maria del Carmelo fa riferimento al Monte Carmelo, in Galilea, dove ebbe origine un ordine monastico dedito alla meditazione e alla preghiera, il quale, in seguito alle persecuzioni, migrò sulle sponde del Mediterraneo. Una ulteriore diffusione dell’Ordine si ebbe sotto il priorato di San Simone Stock il quale riformò la regola facendo diventare l’ordine mendicante. Il 16 luglio 1251 Simone Stock ebbe in visione la Vergine che gli affidò lo “scapolare carmelitano”: chiunque l’avesse indossato sarebbe stato libero dalle tribolazioni del Purgatorio il sabato successivo alla sua morte.
E, quindi, ogni “confratello” custodiva gelosamente ed ostentava in processione il proprio “scapolare”.
Ho avuto il piacere, qualche anno fa, di recarmi con mia moglie sul Monte del Carmelo, in occasione di un nostro viaggio in Terra Santa.
Il Monte Carmelo è una catena montuosa lunga 39 km e larga circa 8 km, che si trova nell’Alta Galilea, una regione dello Stato di Israele. La catena si sviluppa in direzione nordovest-sudest da Haifa a Jenin ed è delimitata sul fianco NE dalla valle di Jezreel. Questo fianco è molto ripido, mentre quello SO digrada dolcemente. Tocca l’altezza massima di 525 metri.
In senso più restrittivo il nome di monte Carmelo è applicato alla sua estrema propaggine rocciosa a NO, che si infila nel Mar Mediterraneo. Un tempo, ai piedi del monte Carmelo si trovava la città di Haifa, mentre ora, con lo sviluppo demografico successivo alla nascita dello Stato di Israele, il Monte Carmelo è diventato uno dei quartieri della città, in cui si trova anche l’università di Haifa. La bellezza di questo Monte viene celebrata nella Bibbia in diversi passi; su di esso il profeta Elia sfidò e sconfisse i sacerdoti di Baal, e fu qui che, secondo la tradizione, la Sacra Famiglia sostò tornando dall’Egitto.
Dal 1996 il Monte è stato dichiarato dall’UNESCO riserva della biosfera.
L’”abitino”
Tutt’altra cosa era invece l’”abitino”, che si usava e (forse) si usa ancora – in maniera sicuramente inappropriata – come “amuleto” capace di tenere lontani, soprattutto i bambini e i malati, dal “malocchio”, dalle “fatture” e dai malanni in genere.
Un misto tra sacro e profano.
L’”abitino” aveva identica forma rettangolare dello “scapolare” ed al suo interno si usava inserire immaginette dei Santi invocati come protettori.
Già in epoca arcaica, l’”abitino” rivestiva una funzione “ apotropaica” (1), in quanto conteneva oggetti dalle “influenze positive” (per esempio: forbici, coltello, denti di volpe ecc.).
Successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, gli oggetti con “influenze positive” furono sostituiti dalle immaginette dei Santi.
(1) Detto di oggetti, atti, iscrizioni e formule orali che, per la loro carica magica, sono ritenuti atti ad allontanare o distruggere gli influssi malefici provenienti da persone, da cose, da animali o da avvenimenti (cfr. voce “Apotropàico”, Il Nuovo Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana di Nicola Zingarelli).
Le spoglie di Padre Pio di nuovo visibili
Anche quest’anno, come di consueto, nel corso del periodo estivo trascorso a Poggio Imperiale, abbiamo riservato una visita alla Tomba di Padre Pio a San Giovanni Rotondo.
La novità di quest’anno è nota a tutti per la risonanza che ha avuto in tutto il mondo: le spoglie di Padre Pio sono di nuovo visibili ai fedeli e lo saranno per sempre.
Infatti, dallo scorso mese di giugno a San Giovanni Rotondo l’ostensione del corpo del Santo da Pietrelcina è divenuta permanente.
I devoti di Padre Pio, in visita alla sua Tomba, dal primo giugno 2013 possono dunque di nuovo osservare le spoglie del frate delle stimmate.
Già in passato, dal 24 aprile 2008 al 24 settembre 2009, il corpo dell’umile servo di Pietrelcina fu mostrato – per 17 mesi – ai pellegrini giunti numerosi a San Giovanni Rotondo nella (vecchia) cripta del Santuario di Santa Maria delle Grazie. Si parlò di cinque milioni e mezzo di persone, commosse e stregate da quel volto “racchiuso in una maschera di silicone”. Anche il Papa Benedetto XVI compì la sua visita il 21 giugno 2009.
Da allora sono passati quasi quattro anni.
Dopo quella breve ostensione, i resti mortali di San Pio vennero racchiusi in un “sarcofago” di pregiata fattura e trasferiti nella (nuova) cripta costruita sotto l’imponente Chiesa realizzata dall’architetto Renzo Piano e, più precisamente, nell’intercapedine del plinto centrale della Chiesa Inferiore.
I fedeli potevano quindi vedere, da uno “squarcio” appositamente praticato nella parete, solamente una parte del “sarcofago”.
Pare che, in questi quattro anni, moltissime siano state le richieste giunte alle Autorità Ecclesiastiche per una nuova ostensione, tant’è che la Diocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo ha così deciso di aderire al desiderio del popolo dei fedeli, superando ogni aspettativa, nel senso che l’ostensione accordata non sarà limitata nel tempo, ma diventerà permanente.
Il corpo di San Pio è ora custodito in un’urna di vetro, che è stata collocata nello stesso luogo di prima (intercapedine del plinto della Chiesa Inferiore), con la sola differenza che adesso è ben visibile al pubblico.
E’ stato il Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, cardinal Angelo Amato, a presiedere la celebrazione eucaristica officiata a San Giovanni Rotondo per l’inizio dell’esposizione del Santo.
Migliaia di pellegrini hanno partecipato alla cerimonia religiosa.
Nel corso della sua omelia il cardinale ha spiegato che San Pio “vuole che lo guardiamo in faccia e lui vuole guardarci in faccia. La sua unica missione era e continua ad essere fare del bene ad altri”.
Tanti fedeli hanno seguito i Frati Minori Cappuccini nella cripta della Chiesa Nuova dove ora, e per sempre, sono custodite – in un’urna di vetro – le spoglie mortali di San Pio.
La 6^ Edizione del Premio Nazionale “Spiga d’Oro”
A Poggio Imperiale grandi preparativi per la 6^ edizione del Premio Nazionale “Spiga d’Oro” che si terrà il 2 e il 3 Agosto 2013.
La nota manifestazione, giunta alla sua sesta edizione, è promossa dall’Associazione Culturale “Terra Nostra Onlus” di Poggio Imperiale presieduta da Gianni Saitto che, dell’evento, è l’ideatore e l’organizzatore, con la collaborazione della Regione Puglia (Assessorato alle Risorse Agroalimentari), la Provincia di Foggia (Assessorato alla Cultura) e il Comune di Poggio Imperiale, ed il patrocinio dei Comuni di San Severo, Apricena, San Paolo Civitate e Lesina.
Il programma si snoda, come sempre, in due serate:
• Venerdi 2 agosto 2013
Ore 19:00 – Vetrina dei Prodotti Tipici di Puglia con stands gastronomici e degustazioni
Ore 21:00 – Esibizione della G.d.s. Apricena Dancemania degli insegnanti Antonio Pizzicoli e Raffaella Migliore
• Sabato 3 agosto 2013
Ore 21:00 – Cerimonia di consegna delle “Spighe”
– Premio Nazionale Spiga d’Oro: Francesco Giorgino
noto giornalista e conduttore televisivo RAI (TG1), pugliese di origine, nato ad Andria
– Premio Spiga d’Oro Capitanata: Carmen Fiano
nota campionessa nazionale di corsa su strada (ultramaratona) , nata a San Severo
– Premio Spiga d’Argento Terra Nostra: Marina Caputo
cantante di musica leggera poggioimperialese
La presentazione è a cura Stefano Bucci e Alina Shulepova
Gli affreschi di Giotto a Padova nella Cappella degli Scrovegni
Fra le tante bellezze da vedere, vi è a Padova uno dei capolavori assoluti dell’arte mondiale.
Una tappa che vale la pena programmare, magari in occasione di una visita alla celebre Basilica di Sant’Antonio.
Si tratta della “Cappella degli Scrovegni”, che rappresenta un capolavoro della pittura del Trecento italiano ed europeo, considerato il ciclo più completo di affreschi realizzato dal grande maestro toscano Giotto nella sua maturità.
Colore e luce, poesia e pathos. L’uomo e Dio. Il senso della natura e della storia, il senso di umanità e di fede fusi assieme per narrare in un modo unico ed irripetibile le storie della Madonna e di Cristo.
Il ciclo pittorico della Cappella è sviluppato da Giotto in tre temi principali: gli episodi della vita di Gioacchino e Anna (riquadri 1-6), gli episodi della vita di Maria (riquadri 7-13) e gli episodi della vita e morte di Cristo. In basso a questi affreschi, una serie di riquadri illustra le allegorie dei Vizi e delle Virtù.
La Cappella sorge tra i ruderi dell’antica Arena di Padova, risalente ai secoli tra il 60 e 70 d.C. (attualmente in loco sono in corso interessanti scavi archeologici).
Nel XIV secolo l’ area fu acquistata dagli Scrovegni, ricca famiglia padovana di banchieri e usurai, che qui nel 1300 vi fecero erigere il loro palazzo. Tra il 25 marzo 1303 e il 25 marzo 1305 fu innalzata la Cappella dedicata alla Vergine Annunziata, per volere di Enrico Scrovegni in suffragio dell’anima del padre Reginaldo, collocato nell’Inferno , proprio perchè usuraio, da Dante Alighieri nella “Divina Commedia”.
La Cappella presenta un’architettura molto semplice: un’elegante trifora gotica in facciata, alte e strette finestre sulla parete sud, all’interno un unico ambiente terminante sul fondo con un presbiterio in cui si trova il sarcofago di Enrico Scrovegni, opera di Andriolo de Santi.
Non si conosce il nome dell’architetto dell’edificio: per alcuni potrebbe essere lo stesso pittore fiorentino Giotto.
Per adornare l’edificio, destinato ad accogliere lui stesso e i suoi discendenti dopo la morte, Enrico Scrovegni chiamò due tra i più grandi artisti del tempo. A Giovanni Pisano commissionò 3 statue d’altare in marmo raffiguranti la Madonna con Bambino tra due diaconi, mentre a Giotto la decorazione pittorica della superficie muraria.
Giotto era un artista già celebre: aveva lavorato per il Papa nella Basilica di San Francesco in Assisi e in San Giovanni in Laterano a Roma, ed ancora a Padova nella Basilica di Sant’Antonio e nel Palazzo della Ragione.
A Giotto venne affidato il compito di raffigurare una sequenza di storie tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento che culminavano nella morte e resurrezione del Figlio di Dio e nel Giudizio Universale, allo scopo di sollecitare chi entrava nella Cappella a rimeditare sul suo sacrificio per la salvezza dell’umanità.
Sulle pareti laterali, sopra uno zoccolo che mostra con figure allegoriche il volto dei sette Vizi e delle sette Virtù, e sotto la suggestiva volta stellata, si succedono 38 riquadri, disposti in tre fasce di affreschi, nei quali è rappresentata la storia della salvezza, a partire dalla storia di Gioacchino e Maria.
Il racconto inizia con Gioacchino cacciato dal tempio e prosegue con andamento a spirale fino al riquadro del Giudizio Universale, in cui al centro compare ritratto lo Scrovegni mentre offre a Cristo in gloria la cappella.
Sulla parete di fronte l’Annunciazione, e al centro ancora un Cristo in Gloria, dipinto però su tavola. Un tempo era appeso nel presbiterio anche un Crocifisso di Giotto, dipinto su tavola, che però ora si trova al Museo degli Eremitani.
Infine il soffitto, completamente dipinto di blu, presenta entro tondi le immagini di Cristo tra Evangelisti e Profeti. Nel Presbiterio un pittore giottesco, intorno al 1320, ha raffigurato la Dormizione e la Glorificazione di Maria. Le due Madonne del latte sono attribuite a Giusto de’ Menabuoi.
L’opera fu ultimata in tempi molto brevi tanto che, dopo 2 soli anni di lavoro, la Cappella era tutta decorata e veniva consacrata.
Il ciclo di Giotto agli Scrovegni costituisce il più alto capolavoro del pittore e della storia dell’arte occidentale, pari solamente alla Cappella Sistina di Michelangelo in Vaticano a Roma.
Con quest’opera Giotto inizia una nuova era nella storia della pittura, superando l’astrazione formale della corrente bizantina allora dominante, per proporre forme umane più naturali e realistiche e per questo fu definito anche il primo pittore moderno.
Alla Cappella si accede, per le visite, attraverso l’entrata dei Musei Civici di Padova, in piazza Eremitani, 8.
Il biglietto di ingresso comprende, oltre alla visita della Cappella, anche la visita dei Musei, anch’essi di notevole interesse.
Un banale quanto tragico incidente!
Un banale quanto tragico incidente stradale, avvenuto nella tarda serata dello scorso venerdi 7 giugno 2013 a Poggio Imperiale, si è rivelato fatale per l’amico Paolo Preziosi.
Forse un malore o, chissà, un guasto improvviso e Paolo potrebbe aver perso il controllo della propria autovettura, finendo così in una scarpata, proprio alle porte del paese ove egli stava facendo ritorno.
Inutile ogni tentativo di soccorso: il povero Paolo è morto sul colpo.
Sono in corso gli accertamenti in merito alla dinamica dell’incidente da parte dei Carabinieri.
Paolo Preziosi, di 62 anni, aveva studiato a Torino dove aveva anche conosciuto e poi sposato sua moglie Maria; professionalmente si occupava di pubblicità con la sua azienda “Publisistem” di Poggio Imperiale, ma si dedicava anche alla vita politica e sociale a livello locale.
Era un mio vicino di casa, che conoscevo sin dall’infanzia; poi il mio trasferimento a Milano, ma è sempre rimasto tra noi un cordiale rapporto impostato sul rispetto e sulla stima reciproca, a riprova della familiarità consolidata tra le nostre rispettive famiglie di origine.
Quanti bei ricordi di un tempo lontano, che oramai sembrano risalire alla notte dei tempi: le calde serate estive poggioimperalesi, in via De Cicco, seduti “fuori al fresco” a chiacchierare; Paolo, sua sorella Lucia, i nostri rispettivi genitori e le mie sorelle, poi le rispettive mogli e cognati e, ancora, i bambini …!
Ho voluto a suo tempo testimoniare a Paolo i miei sentimenti di stima con la dedica che ho apposto di mio pugno sul libro « Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche, Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse », che gli ho donato in occasione della presentazione della mia pubblicazione a Poggio Imperiale nel 2008.
E fu felice, poi, quando gli comunicai di aver rinvenuto, tramite mia cognata Gina Palmieri, sua compagna di scuola, una foto della seconda elementare, che avevo in seguito provveduto ad inserire nella “seconda edizione” del mio suddetto libro.
Mi chiese di riprodurre una copia di quella foto su di una sua chiavetta per PC; cosa che feci con vero piacere.
Ed è con la pubblicazione su questo mio Sito/Blog www.paginedipoggio.com di quella foto che voglio ricordati e renderti omaggio, caro Paolo!
Lorenzo
Nella foto in alto è ritratta una seconda classe mista alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso presso la Scuola Elementare “E. De Amicis” di Poggio Imperiale.
Paolo Preziosi è il terzo scolaro della terza fila in alto, partendo dalla destra di chi guarda.
A Caravaggio il 581° anniversario dell’apparizione di Santa Maria del Fonte
C’eravamo già stati io e mia moglie lo scorso anno e ci siamo ritornati ancora quest’anno.
Un bel pomeriggio di sole, in questa stagione alquanto bizzarra che nelle previsioni nulla di buono prometteva, ha permesso la scorsa domenica 26 maggio lo svolgimento della bella processione all’aperto della Madonna di Caravaggio (Santa Maria del Fonte), nel giorno dell’anniversario della sua apparizione.
Apparizione avvenuta il 26 maggio 1432 proprio nel luogo ove sorge oggi il famoso Santuario.
La Madonna apparve a Giannetta, figlia di Pietro Varchi di Caravaggio (Bergamo), mentre era intenta a raccogliere erba, per consolarla dei cattivi trattamenti che da tanti anni riceveva dal marito.
E le annunziò la conversione del marito incaricandola di invitare il suo popolo alla penitenza, con la promessa che quel luogo sarebbe divenuto sorgente di grazie, simboleggiate dalla fonte miracolosa (il Sacro Fonte) sgorgata improvvisamente. E, a prova dell’autenticità dell’apparizione, la Madonna fece fiorire una verga secca.
I riti del giorno dell’anniversario dell’apparizione della Madonna di Caravaggio sono semplici ma molto toccanti.
Dopo il pontificale del mattino, le funzioni sono riprese alle 14,30 con la recita continuata del Rosario e alle 16,30 si è svolta la processione, guidata dal Vescovo di Cremona Mons. Dante Lanfranconi, con le statue di Maria e Giannetta sotto i portici del Santuario.
Alle 16,40 Mons. Lafranconi ha presieduto la memoria dell’apparizione con l’aspersione dell’assemblea con l’acqua del Sacro Fonte.
L’eccezionale sole caldo del pomeriggio che illuminava il cielo sopra Caravaggio ha consentito lo svolgimento di tutto il cerimoniale previsto in calendario, e già questo è apparso un prodigio, considerati gli acquazzoni dei giorni precedenti.
Sin dalle 14.30, quando è iniziata la recita del Rosario, la Basilica era stralcoma di pellegrini; in prima fila gli ammalati in carrozzella assistiti dalle dame e dai barellieri della sottosezione di Treviglio dell’Unitalsi.
Nel resto del grande complesso mariano era un brulicare di persone; letteralmente presa d’assalto la Cancelleria per l’acquisto di candele votive o per richieste di celebrazioni di Santa Messe.
Alle 16,00 Mons. Lafranconi, in abito corale e stola bianca, si è portato dinanzi al simulacro dell’apparizione per una breve preghiera silenziosa. Poi i volontari del Santuario hanno spinto all’esterno le statue di Maria e Giannetta.
Si è formata una lunghissima processione che ha attraversato tutti i portici del grande complesso mariano. Sembrava proprio un popolo in cammino dietro Colei che per prima e in modo mirabile ha seguito Cristo sulla via della Croce e della Risurrezione. Mezz’ora di Rosario itinerante, inframezzato dai canti proposti da una parte dell'”Unione Corale don Domenico Vecchi” diretta da don Gino Assensi e accompagnata all’organo dal maestro Giovanni Merisio. Pieni di commozione gli occhi degli anziani e dei malati in carrozzina nel vedere transitare l’imponente e soave statua di Maria a pochi passi da loro.
Conclusa la processione, clero e fedeli sono tornati in Basilica per la memoria dell’apparizione.
È stato questo certamente uno dei momenti più suggestivi dell’intera giornata, in cui ciascuno ha avuto l’opportunità di immedesimarsi nel mistero di quell’evento straordinario e di portata soprannaturale avvenuto il 26 maggio del 1432 e che, proprio lì a Caravaggio, ha scritto una storia di grazia profonda.
Mons. Lafranconi con piviale, mitra in capo e pastorale in mano ha guadagnato velocemente il presbiterio seguito da altri quattro sacerdoti in piviale: il rettore emerito don Ziglioli, l’arciprete emerito di Caravaggio Mons. Amigoni, i sacerdoti cooperatori del santuario don Bini e don Gorni.
La celebrazione si è aperta con il racconto dialogato dell’apparizione. Il popolo di Dio ha nuovamente ascoltato le richieste di Maria: l’invito alla penitenza per i molti peccati dell’umanità e alla gratitudine per i tanti doni di Dio. Quindi Mons. Lafranconi ha benedetto l’acqua del Sacro Fonte. Alle 16,53 il rettore don Assensi ha invitato ad attendere l’ora benedetta dell’apparizione: per sette minuti le centinaia di persone presenti in Basilica hanno pregato personalmente. Questo lungo tempo di silenzio è stato certamente il più toccante: tutti in attesa di poter nuovamente godere della presenza di Maria; di poter, ancora una volta, vedere il Cielo aperto sull’umanità.
Alle 17,00 in punto, ora dell’incontro prodigioso tra Maria e Giannetta, tutte le campane del Santuarioi hanno iniziato a suonare a distesa, mentre l’organista Merisio dava fiato al grande organo della Basilica.
E mentre il coro intonava l’Ave Maris Stella, il Vescovo attraversava la navata centrale aspergendo i fedeli. Gli altri quattro sacerdoti in piviale compivano lo stesso gesto nelle altre zone del sacro tempio stracolma di pellegrini e nei cortili esterni ove avevano trovato posto tutti coloro che non erano riusciti ad entrare in chiesa.