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Natale 2013 … con i “Forconi”!
In questa settimana, a pochi giorni da Natale e dalle festività di fine anno, è improvvisamente montata in tutto il territorio italiano la protesta dei c.d. “Forconi”, un movimento spontaneo e trasversale, che si sta allargando via via a diverse categorie sociali.
Agricoltori, metalmeccanici, trasportatori, studenti, commercianti, pensionati, casalinghe e chi più ne ha più ne metta.
Sicuramente sono “figli” della crisi, la grave e lunga crisi che coinvolge l’Italia, ma anche l’Europa e buona parte del mondo.
La protesta dei “Forconi” sta interessando il Nord, il Centro e il Sud dell’Italia; i manifestanti occupano stazioni ferroviarie, autostrade, piazze ed uffici pubblici, provocando l’interruzione del traffico ferroviario e stradale, con difficoltà per la popolazione negli spostamenti.
Nella giornata di ieri, inconvenienti si sono verificati anche nei collegamenti ai confini soprattutto con la Francia.
Uomini, donne, giovani e anziani, tutti insieme senza alcuna rappresentanza sindacale né politica.
Un fenomeno a quanto pare del tutto imprevisto ed imprevedibile.
Bene la protesta nelle piazze, ma attenzione agli infiltrati che approfittano della peculiare situazione per creare disordine, con esiti a volte infausti.
Il Natale è vicino e non possiamo che augurarci la fine dei disordini, ma soprattutto la fine della crisi che è all’origine di tutto questo.
Buon Natale e Felice Anno Nuovo a Tutti!
La vignetta, di Valeriano
I Forconi impediscono a Babbo Natale di portare i regali
http://www.ragusanews.com/articolo/37507/i-forconi-bloccano-babbo-natale
Nelson Mandela, il gigante!
A Johannesburg, una folla di 80.000 di persone ha partecipato oggi alla cerimonia commemorativa del leader sudafricano, morto lo scorso giovedi 5 dicembre all’età di 95 anni.
Nelson Mandela, familiarmente chiamato “Madiba” è stato salutato nel “Fnb Stadium” di Soweto alla presenza di un centinaio di Capi di Stato, giunti per l’occasione da tutte le parti del mondo.
Per gli Stati Uniti, il Presidente Barack Obama e la moglie Michelle, gli ex capi di Stato George W. Bush e Bill Clinton, con la moglie Hillary, il Presidente del Sudafrica Jacob Zuma, il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e l’ex Segretario Kofi Annan, il Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, il Presidente del Consiglio italiano Enrico Letta, e tanti altri.
Durante la cerimonia, anche Obama ha letto un elogio funebre in ricordo del defunto eroe nazionale e Premio Nobel per la Pace, Nelson Mandela.
A pochi è sfuggita la “storica” stretta di mano tra Barack Obama e Raul Castro, Presidente cubano. Sicuramente un segnale di distensione e ci auguriamo che possa poter rappresentare anche un inizio di apertura verso il superamento del “blocco” Usa-Cuba, che dura ormai da troppi anni.
Dopo l’odierna commemorazione di Johannesburg, la bara con i resti mortali di Nelson Mandela verrà trasportata ed esposta nella sede del Governo, lo “Union buildings” di Pretoria, dove il corteo funebre sfilerà poi nelle strade della capitale amministrativa del Sudafrica.
Il funerale di stato dell’eroe della lotta all’apartheid – privato della libertà personale per 27 anni e poi divenuto Presidente del suo Paese – si terrà infine domenica 15 dicembre a Qunu, il villaggio natale di “Madiba”.
L’usanza locale vuole che ciascuno ritorni alla terra natìa per essere lì seppellito, proprio come avverrà per lui.
Una giornata importante, dunque, quella di oggi a Johannesburg; una giornata che finirà sicuramente nei libri di storia: la presenza e l’emozione dei grandi della terra per Nelson Mandela; la commozione della folla sotto una pioggia battente (nella tradizione africana, si dice che la pioggia “apre le porte del cielo”); infine, il gesto di speranza, tra i due Capi di Stato degli Stati Uniti e di Cuba.
Una giornata dedicata a celebrare colui che è stato definito “gigante”, perché “le idee non possono essere rinchiuse tra le mura di una prigione, o essere uccise dalla pallottola di un assassino. Madiba mi ha reso un uomo migliore” – ha detto Barack Obama, “salutando” Nelson Mandela durante il proprio intervento commemorativo.
Nel discorso più atteso della giornata – quello di Obama – il primo parallelo tracciato è stato quello con Gandhi e Martin Luther King: perché come loro “Mandela è stato un’icona del XX secolo”. Il secondo accostamento, invece, è quello con Abraham Lincoln: “Seppe tenere insieme il suo Paese che rischiava di spaccarsi”. E’ dunque un elogio a tutto campo quello reso a “Madiba” dal Presidente degli Usa, che dice ancora: “Ringraziamo il Sudafrica per aver condiviso con noi Mandela. La sua lotta è stata la nostra lotta. Il suo trionfo, il nostro trionfo. La vostra dignità, la vostra speranza, hanno trovato espressione nella sua vita, e la vostra libertà, la vostra democrazia sono il lascito di quest’uomo. Io e Michelle abbiamo beneficiato delle battaglie di Mandela per i diritti civili. Negli Stati Uniti e in Sudafrica c’è voluto il sacrificio di innumerevoli persone per risolvere la questione del razzismo. Mandela è l’ultimo grande liberatore del XX secolo. Mandela è unico e non vedremo mai più uno come lui”. Nel ribadirlo, Obama lancia un appello ai giovani perché ne raccolgano gli insegnamenti.
A ruota, però, improvvisa arriva la sferzata: “Troppi leader nel mondo – dice il numero uno degli Stati Uniti – sono solidali con la lotta di Mandela per la libertà, ma non tollerano il dissenso dal proprio popolo”.
[Le immagini ed alcune delle informazioni riportate nel presente articolo sono desunte da servizi giornalistici pubblicati su diversi siti internet]
Tanto tuonò … che piovve!
E non si tratta soltanto di un semplice acquazzone, ma di un ciclone che a quanto pare (e si spera soprattutto) spazzerà via la vecchia nomenclatura politica italiana che, per anni, per ormai lunghi anni, ha bivaccato, occupando i palazzi del potere tra inciuci e malefatte di ogni genere … nessun partito escluso!
Come d’incanto, all’improvviso, ci si accorge che anche in Italia si può confidare per la guida del Paese nei giovani quarantenni, così come fanno all’estero. Basti citare qualche nome, come J.F.Kennedy, B.Clinton, B.Obama, T.Blair, D.Cameron, J.M.Aznar, J.L.Zapatero e tanti altri ancora.
Nel mare in tempesta, ove a malapena si mantiene a galla una nave sgangherata, malamente guidata da vecchi e malsicuri nocchieri, ecco che si ammutinano e prendono il comando i novelli “capitani coraggiosi”, giovani quarantenni che vogliono mettersi alla prova e cercare di cambiare rotta per raggiungere lidi più sereni e più sicuri.
Non è un caso che il giovane Matteo Salvini (40 anni) prenda le redini della Lega Nord, sfidando il vecchio leader storico Umberto Bossi, in un passaggio di primarie che lo vede vittorioso con l’82% dei consensi; che il giovane Angelino Alfano (43 anni) si ribelli al leader carismatico Silvio Berlusconi e fondi un nuovo partito di centro destra, prendendo le distanze da una “rinnovata” Forza Italia alla deriva populista e forse anche un po’ estremista; che la giovane Giorgia Meloni (38 anni) decida di staccarsi dal Popolo delle Libertà e metta su “Fratelli d’Italia”, con un discreto seguito di giovani simpatizzanti.
E, che dire infine del trentottenne Matteo Renzi, che a breve distanza dall’inizio della sua “battaglia di rottamazione della Leopolda”, è riuscito a conquistare la segreteria del Partito Democratico con quasi il 70% dei voti alle primarie. E non sembra che voglia fermarsi qui, visto che già alla scorsa tornata elettorale aveva sfidato Pier Luigi Bersani per la corsa alla Presidenza del Consiglio.
Presidenza oggi affidata ad Enrico Letta, un altro giovane quarantaquattrenne, che sicuramente non potrà non tener conto dei nuovi assetti che si sono andati consolidando nella compagine dei diversi schieramenti politici nazionali, soprattutto in termini di indirizzo rispetto ai bisogni e alle aspettative degli italiani.
E’ indubitabile che con questi nuovi politici quarantenni si apre in Italia una nuova stagione; staremo quindi a vedere cosa saranno capaci di fare, soprattutto rispetto alle sfide che ci attendono sia in campo nazionale che sul piano europeo. Auguriamoci, ad esempio, che venga posto termine all’annosa contrapposizione strumentale, un tempo giustificata dalle opposte ideologie, e che ci si incammini verso un futuro di confronto dialettico finalizzato esclusivamente al bene comune e all’interesse primario dell’Italia e dei cittadini italiani.
La “Madonna di Foligno” di Raffaello esposta a Milano
Il prestigioso dipinto di Raffaello, proveniente dai Musei Vaticani, esposto per la prima volta a Milano, nella splendida Sala Alessi di Palazzo Marino, sede del Comune, dal 28 novembre 2013 al 12 gennaio 2014.
Ancora un bel regalo di Natale: per il sesto anno consecutivo, il Comune di Milano in collaborazione con l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) e con i grandi musei del mondo, prosegue l’iniziativa di esporre, in occasione di Sant’Ambrogio e delle festività natalizie e di fine anno, un capolavoro di eccezionale pregio; un “pezzo unico” sul quale polarizzare l’interesse dei visitatori, con l’ausilio di guide ben preparate e di strumenti multimediali d’avanguardia.
L’evento di Palazzo Marino determina ogni anno nuovi record di affluenza di pubblico; l’esposizione di “Amore e Psiche” dello scorso anno è stata la mostra più visitata d’Italia.
E, quest’anno, grazie al contributo dei Musei Vaticani, è possibile ammirare un’opera straordinaria di Raffaello, uno dei più celebri pittori della storia.
La “Madonna di Foligno”, radiosa pala d’altare del 1512, alta più di tre metri per due circa di larghezza, in origine olio su tavola e in seguito trasportato su tela.
Il primo lavoro pubblico eseguito dall’artista a Roma per la Chiesa di Santa Maria in Aracoeli, ove traspare la bellezza dell’equilibrio armonico ed espressivo, in un insieme non affatto scontato ma che, al contrario, riserva autentico stupore.
E’ sempre un’emozione poter ammirare, de visu, un capolavoro come questo del grande maestro urbinate.
La Madonna con in braccio il Bambino Gesù appare entro un grande nimbo dorato (disco di luce posto sulla testa o dietro a essa in immagini di divinità), seduta su una nuvola e circondata da una corona di cherubini che prendono forma dalle nuvole. Angeli fatti della stessa sostanza delle nuvole.
In basso, da sinistra, sono raffigurati San Giovanni Battista, San Francesco d’Assisi (fondatore dei Frati Minori che reggevano la Chiesa di Santa Maria in Aracoeli) e San Girolamo, riconoscibile dal leone mansueto, che presenta a Maria il committente (Sigismondo de’ Conti) inginocchiato. Al centro si vede un angioletto che rivolge uno sguardo trasognato verso l’apparizione celeste; regge in mano una tabella in cui originariamente doveva (probabilmente) trovarsi un’iscrizione che ricordava il voto del committente.
Il paesaggio al centro descrive sinteticamente l’evento miracoloso, con un arcobaleno che simboleggia la protezione divina e il lieto fine. Si vede infatti un oggetto infuocato dirigersi verso un edificio, che secondo l’astronomo americano H. A. Newton, sarebbe un bolide che apparve al momento della caduta di una meteorite.
Nel paesaggio, dall’atmosfera umida e trepidante, con effetti luminosi di grande originalità, sono leggibili influenze del tonalismo veneto, nonché di autori ferraresi quali Dosso Dossi. La posizione al centro della pala per rievocare l’evento miracoloso ricorda inoltre l’impostazione della Pala Portuense di Ercole de’ Roberti. La Vergine ricorda quella dell’Adorazione dei Magi di Leonardo e il Bambino quello del Tondo Doni di Michelangelo, quasi a voler seguire una sorta di contaminatio di modelli illustri.
Il collegamento tra le due parti della pala è intensificato dall’orchestrazione cromatico-luminosa e dai numerosi rimandi di gesti e sguardi: Giovanni, Francesco adorante e l’angioletto indirizzano l’occhio dello spettatore verso Maria, che si rivolge al donatore (Sigismondo de’ Conti), ricambiata. Il gruppo della Madonna col Bambino è raccolto in un ovale sotto il mantello protettivo di Maria e, come nelle migliori opere di Raffaello Sanzio, ha quella viva naturalezza che rende l’ideale bellezza estremamente familiare allo spettatore. Il Bambino, ad esempio, non è ritratto come il Dio benedicente conscio della sua missione, ma come un vero e proprio fanciullo che sembra divincolarsi dall’abbraccio della madre per coprirsi sotto il velo.
Straordinariamente acuto è il ritratto del committente, spesso giudicato una delle migliori prove in assoluto del Sanzio in questo genere. L’anziano prelato ha il volto scavato, gli zigomi angolosi, gli occhi infossati ed espressivi, le mani ossute e grinzose.
“L’opera è uno degli apici della pittura universale” – ha commentato il prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, il giorno 27 novembre 2013 in occasione dell’inaugurazione della mostra – “Documenta il momento storico nel quale Raffaello incontra il colore veneziano. Non si può essere più bravi di così. Oltre non è possibile andare nella rappresentazione della Bellezza. Sono sicuro che gli ospiti di Palazzo Marino in questa mostra fatta di un solo capolavoro voluta da Eni, lo capiranno”.
A Milano, presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, i capolavori delle precedenti edizioni sono stati: La Conversione di Saulo di Caravaggio – dalla collezione Odescalchi – 2008; San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci (2009), Donna allo specchio di Tiziano (2010), Adorazione dei pastori e San Giuseppe falegname di Georges de La Tour (2011) e Amore e Psiche stanti di Antonio Canova e Psyché et l’Amour di François Gérard (2012), dal Museo Louvre di Parigi.
Storia
La “Madonna di Foligno” è un dipinto a olio su tavola trasportata su tela (320 × 194 cm) di Raffaello, databile al 1511 – 1512 e conservato nella Pinacoteca Vaticana nella Città del Vaticano.
Il dipinto venne commissionato da Sigismondo de’ Conti, segretario di papa Giulio II, come ex voto per il miracolo che aveva visto uscire la sua casa di Foligno illesa dopo essere stata colpita da un fulmine (o un bolide). La pala si trovava nella Chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma, luogo di sepoltura di Sigismondo, da dove nel 1565 una monaca nipote del donatore la fece trasferire nella Chiesa di Sant’Anna a Foligno, presso il Monastero delle Contesse della Beata Angelina dei Conti di Marsciano. Fu rastrellata durante l’occupazione francese nel 1797 e portata a Parigi, dove l’opera fu trasportata su tela, verso il 1800-1801, da Francois Toussaint Hacquin, lo stesso che trattò analogamente la Vergine delle Rocce. In seguito al Trattato di Tolentino il dipinto tornò in Italia (1816), ma il pontefice Pio VII, come per altre opere importanti d’arte sacra che vanta oggi la Pinacoteca Vaticana, decise di trattenerla a Roma.
L’opera venne realizzata presumibilmente nel mentre l’artista lavorava alla “Stanza di Eliodoro”, ed è il precedente più vicino alla “Madonna Sistina”.
La “Stanza di Eliodoro” è uno degli ambienti delle “Stanze di Raffaello” nei Musei Vaticani, decorato tra il 1511 e il 1514, e “La Madonna Sistina” è un dipinto a olio su tela (265×196 cm) di Raffaello Sanzio, databile 1513 – 1514 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Dresda.
Nel 1957 – 1958 la “Madonna di Foligno” venne infine restaurata da Cesare Brandi.
L’immagine ed alcune delle informazioni riportate nel testo sono tratte dal sito: http://it.wikipedia.org/wiki/Madonna_di_Foligno
John Fitzgerald Kennedy a 50 anni dalla sua morte
Il 22 novembre 1963 avevo diciotto anni e mezzo ed ero grande abbastanza per comprendere ed emozionarmi, insieme alla moltitudine delle popolazioni del mondo dell’epoca, per un evento tragico e sconvolgente al tempo stesso, che si era consumato a migliaia di chilometri dal mio paesello.
Ci piaceva molto questo nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, era giovane, un po’ stravagante, con una bellissima moglie e dei bambini che gli giravano intorno, a volte anche nei momenti più formali dei suoi incarichi istituzionali.
Proprio il contrario dei nostri “vecchi bacucchi” politici italiani del dopoguerra, che ci davano il senso di puro formalismo (probabilmente solo di facciata) e di una distanza abissale dal popolo che li aveva pur eletti e grazie al quale potevano sedere in Parlamento.
L’eco che la tragedia di Dallas propagò nel mondo fu di un effetto colossale, grazie anche alle immagini trasmesse dalla “televisione”, che proprio in quegli anni cominciava a prendere consistenza.
A memoria, forse fu proprio l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy il primo grande evento divulgato in diretta televisiva.
Restammo tutti sbigottiti per la gravità e la temerarietà di quanto accaduto.
Avevano ammazzato nientemeno che il Presidente degli Stati Uniti, la nazione più forte in assoluto del mondo, la più evoluta, la più organizzata e la più protetta da una rete invidiabile di servizi (segreti o meno che fossero).
Ma c’era anche di mezzo una questione di natura più sentimentale: quel giovane Presidente aveva comunque fatto breccia nel cuore di molta gente non solo nel suo Paese ma in molte parti del mondo, Italia compresa (antiamericanisti senza se e senza ma, a parte).
Avrà anch’egli avuto i suoi difetti, tant’è che in questi cinquant’anni la sua vita è stata rivoltata veramente come un calzino. Dalla sua vita mondana (in primis, la leggenda dei suoi amori con l’attrice Marilyn Monroe, la cui morte resta ancora avvolta in un velo di mistero), alla natura delle attività – si dice fossero poco lecite – della sua famiglia di origine; tutti alla ricerca di scoop.
Ma, al di là della buona o della cattiva sorte, tutti hanno poi alla fine, nel bene o anche nel male, contribuito a creare il mito John Fitzgerald Kennedy, di cui a cinquant’anni dalla sua morte ancora viva è la sua presenza.
Ho voluto anch’io, come tanti, far visita alla sua tomba presso il Cimitero di Arlington a Washington, in primavera del 2009, in compagnia di mia moglie.
Una semplice pietra con la sola incisione di una croce, del suo nome e di due date: 1917 e 1963.
Un Cimitero, quello di Arlington a Washington, di una semplicità unica e di una maestosità senza paragoni nel contempo.
Immensi prati verdi ben rasati e semplici lapidi bianche perfettamente allineate … niente altro.
Eppure, in quel silenzio, nel mentre effettui la tua visita, avverti una sensazione straordinaria: ti pare di percepire lo spirito degli eroi e dei grandi personaggi che hanno fatto la storia dell’America, che aleggia nell’aria e ti avvolge in un grande abbraccio.
I privilegi sono duri a morire!
L’erba del vicino è sempre più verde, recita un vecchio andante, e così sembra che la pensino la stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Forse, a volte, bendandosi volutamente gli occhi e turandosi pure le orecchie, per non guardare la realtà delle cose nella loro vera luce e per non sentire le ragioni degli altri.
Una vera e propria guerra tra poveri, quella che si sta combattendo nel nostro Paese negli ultimi tempi e nessuno s’accorge che si sta facendo il gioco di una classe politica che “predica bene e continua a razzolare male”.
Privilegi, da ogni parte e per tutti, nessuno escluso!
Dalle “ostriche e champagne” per taluni, alle “case popolari, pensioni di invalidità e tanto ancora” per altri.
E, allora, via alla caccia dei privilegiati di turno: oggi tocca ai politici, domani ai sindacalisti, dopodomani agli impiegati statali, e poi ai pensionati baby, e poi ancora ai falsi invalidi, e dopo ai pensionati d’oro, e così via all’infinito.
E’ forse giunta l’ora di dare un taglio netto al sistema e di pensare veramente al bene del Paese e dei suoi cittadini, cominciando da una riforma ragionata della nostra Carta Costituzionale, che punti soprattutto sullo snellimento e l’efficientamento della compagine politica oltre che sul contenimento dei costi relativi.
Una Camera dei Deputati più contenuta nel numero dei suoi membri da eleggere con sistema maggioritario a doppio turno (adeguando in tal senso la legge elettorale) ed un Senato formato esclusivamente da membri già eletti nelle Regioni che andranno così a rappresentare in Parlamento e dei comuni maggiormente rappresentativi, con competenze diversificate, per snellire l’iter legislativo che oggi impone il passaggio obbligatorio in entrambi i rami del Parlamento. Ripensare seriamente ad una forma di governo che ci avvicini ai paesi occidentali più evoluti, senza preclusioni anche verso ipotesi di Repubblica Presidenziale (all’americana) o Semipresidenziale (alla francese). Di ciascun politico, ad ogni livello, dovrà essere pubblico il proprio curriculum vitae e il proprio patrimonio.
Abolizione delle Province e formazione delle Città Metropolitane, prevedendo forme di consorzializzazione di Comuni di piccole dimensioni al fine di creare sinergie in termini di gestione.
Un taglio alle Società comunque partecipate dallo Stato e dagli Enti Pubblici, aprendo completamente al mercato e alla concorrenza.
Azzeramento delle consulenze esterne, con il precipuo obbligo di ricorrere agli uffici interni ovvero agli Organismi statali preposti.
I Partiti politici e i Sindacati dovranno assumere connotazioni proprie delle Società, nel pieno rispetto della regolamentazione che ne regola la costituzione, la gestione e la cessazione, con bilanci trasparenti e innanzitutto pubblici.
Eliminazione del finanziamento pubblico dei Partiti, con forme di contribuzioni volontarie da parte dei privati, debitamente documentate.
Eliminazione delle trattenute sindacali sullo stipendio, con forme di contribuzioni volontarie da parte degli iscritti, debitamente documentate.
Costi standard per gli acquisti e gli approvvigionamenti dello Stato, tanto in sede centrale che nelle sedi territoriali.
Flotta aerea e parco autovetture riproporzionati alle reali ed effettive esigenze istituzionali.
Emolumenti dei politici correlati alla media dei valori europei.
E, questo, solo per iniziare, poiché gli interventi dovranno necessariamente toccare anche altri comparti dello Stato, ove vige una pregiudiziale chiusura a qualsiasi forma di cambiamento.
Una per tutte, la Giustizia. Lo sdoppiamento della Magistratura requirente dalla Magistratura giudicante e la responsabilità dei Magistrati rappresentano temi ineludibili.
Non credo, personalmente, che con le urla e con i proclami senza costrutto si possano cambiare le cose.
Lo scrittore Francesco Alberoni sostiene che “tutti hanno privilegi da conservare, interessi da difendere, denaro da chiedere, e sebbene tutti invochino drastiche riforme, nessuno accetta di rinunciare a qualcosa di ciò che ha già”[1]
Il “do ut des” continua ad intrecciare la politica e le amministrazioni pubbliche con l’imprenditoria privata (o finta tale), generando clientele e collusioni che influenzano negativamente l’economia e la società stessa nei suoi ideali più profondi.
Altro pregiudizio è rappresentato dalla disparità di approccio tra i partecipanti al mercato, anche solo nelle richieste di sussidi o aiuti da parte di associazioni di categoria o gruppi di interesse, nel mentre taluni altri soggetti stentano ad ottenere prestiti, aree o semplicemente spazi per la vendita al dettaglio.
Ma sopravvive anche il familismo, inteso come particolare rapporto fra famiglia, società civile e Stato, nel cui quadro i valori e gli interessi della famiglia sono contrapposti agli altri momenti principali della convivenza umana, dando vita ad altrettanti squilibri nelle diverse realtà, che possono spaziare dalle Università e dal mondo della cultura in generale, alla sanità, alla politica, all’imprenditoria, al sistema economico e finanziario ed altro ancora.
Condizioni, tutte queste, che prestano poi il fianco all’insorgere e al consolidamento di fenomeni che tutti diciamo, spesso solo a chiacchiere, di voler combattere, quali la mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corona unita e chi più ne ha più ne metta.
L’attuale Governo Letta delle c.d. larghe intese riuscirà a traghettarci verso l’auspicata Terza Repubblica oppure dovremo continuare a sentir parlare ancora di privilegi duri a morire, tra proclami, falsi profeti e senza nulla di fatto?
[1] Francesco Alberoni, “La giostra del privilegio ci rovinerà. In Italia tutti cercano di far prevalere il loro potere di blocco e di ricatto”, Il Giornale di lunedi 18/11/2013, prima pagina.
“Editto di Costantino: attualità e suggestioni per il nostro oggi”
Ricorre quest’anno il 1700° anniversario dell’Editto di Costantino, detto anche “Editto di Milano”.
Secondo l’interpretazione tradizionale, Costantino e Licinio firmarono nel febbraio del 313 a Milano, capitale della parte occidentale dell’impero romano, un Editto per concedere a tutti i cittadini, e quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità.
Per l’occasione, il Decanato di Sesto San Giovanni ha organizzato una serata di approfondimento, sul tema “Editto di Costantino: attualità e suggestioni per il nostro oggi”, che si terrà presso il cinema teatro “Manzoni”, in piazza Petazzi 18, alle ore 21,00 del prossimo martedi 29 ottobre.
Interverranno: Paolo Branca, docente Università Cattolica e componente Commissione Diocesana per dialogo interreligioso; Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti Sociali; Savino Pezzotta, già segretario generale Cisl, presidente de “La Rosa per l’Italia”, portavoce del Family Day del 2007.
Coordinerà l’incontro il giornalista Giorgio Bernardelli.
L’iniziativa culturale si colloca a conclusione dell’Anno della Fede ed offre l’opportunità di riflettere e riscoprire i valori che provengono dalla storia e che sono ancora di attualità nel nostro vivere di oggi.
L’Editto di Milano (noto anche come Editto di Costantino, Editto di tolleranza o Rescritto di tolleranza) venne sottoscritto dai due Augusti dell’impero romano, Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente, in vista di una politica religiosa comune alle due parti dell’impero, ed il patto fu stretto in Occidente in quanto il senior Augustus era Costantino. Le conseguenze dell’Editto per la vita religiosa nell’impero romano furono tali, da farne una data fondamentale nella storia dell’Occidente e per l’intera cristianità.
Nella foto riportata sopra, si possono osservare alcuni resti dei palazzi imperiali che si trovano in via Brisa a Milano, che – nel IV secolo – fu capitale della parte occidentale dell’Impero Romano [Foto di Lorenzo Fratti, 2007, http://it.wikipedia.org/wiki/File:ImperialpalaceMilan.jpg]. Si scorgono le basi di un’edicola che probabilmente era dotata di colonne, con attorno un corridoio e diversi locali.
In uno di questi palazzi potrebbe essersi concretizzato l’accordo tra Costantino e Licinio.
Ma, molto più verosimilmente, ciò è avvenuto poco più in là, in una località ove ora sorge San Giorgio al Palazzo, una Chiesa cattolica del centro storico di Milano, situata in Piazza San Giorgio al Palazzo, lungo l’asse della via Torino.
Proprio all’interno di San Giorgio al Palazzo vi è una lapide del 1978 che ricorda la stesura dell’ Editto di Milano, nel 313 d.C., avvenuta nel palazzo imperiale sulle cui rovine sorge questa Chiesa, e dal quale prende il nome [Foto di Giovanni Dall’Orto, 2007, http://it.wikipedia.org/wiki/File:IMG_6735].
La Chiesa è attualmente sede della rappresentanza milanese dei cavalieri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
A Milano, una imponente statua dell’imperatore Costantino è collocata sul sagrato della Chiesa di San Lorenzo, nelle adiacenze delle colonne, dette propriamente di San Lorenzo [Foto di Lorenzo Fratti, 2007, http://it.wikipedia.org/wiki/File:Costantinomilano.jpg[].
Le colonne di San Lorenzo sono un’antica costruzione di epoca romana di Milano; situate di fronte alla Basilica omonima in prossimità della porta Ticinese medievale, e rappresentano uno dei rari reperti superstiti della Milano imperiale. Si tratta di sedici colonne in marmo con capitelli corinzi che sostengono la trabeazione [Negli ordini architettonici classici, struttura che posa su colonne, composta dell’architrave, del fregio e della cornice] che fu di un edificio romano risalente al III secolo, probabilmente delle grandi terme volute dall’imperatore Massimiano. Le colonne vennero trasportate nell’attuale locazione nel IV secolo a completare la nascente Basilica di San Lorenzo. Appoggiati alla basilica vi sono altri corpi, tra cui notevole è la cappella di sant’Aquilino con mosaici di età romana.
Le colonne rivestono un significato affettivo per alcuni milanesi in quanto testimonianza visibile dell’antica Mediolanum, che ha resistito alla furia distruttiva dei Goti, del Barbarossa, dei bombardamenti dell’ultima guerra mondiale e anche alla furia ricostruttrice dei suoi cittadini.
Fino al 1935 lo spazio tra la Chiesa e le colonne era interamente occupato da vecchi edifici popolari, a ridosso della facciata stessa della Basilica, che di fatto era interamente circondato da vecchie case.
Nonostante i progetti per salvare questo angolo cittadino estremamente pittoresco, il piano di rinnovazione decise di aprire la piazza demolendo le strutture fatiscenti, liberando la Chiesa frontalmente.
Il bombardamento della città nel 1944 e nel 1945 rese inagibili anche molte case sul retro, e nel dopoguerra si decise di lasciare libera l’area allestendo un parco, che prese il nome di Parco delle Basiliche grazie alla presenza di San Lorenzo da un lato, e della Basilica di Sant’Eustorgio dall’altro.
Nell’attuale parco vi era una depressione con dell’acqua, e forse vi era anche un porto. L’area era chiamata “via della Vetra” forse dal nome dei conciatori di pelli (“vetraschi”), forse da “Vectra”, canale trasportatore delle acque a Sud di Milano, alimentate da Nord attraverso i fiumi Seveso e Nirone. In ogni caso si trattava di acque maleodoranti. Il luogo divenne poi un’area dove si tenevano supplizi, impiccagioni ed esecuzioni capitali.
A ricordarlo un monumento settecentesco in sostituzione della croce precedente. Ora si chiama “piazza Vetra”.
Caravaggio a Roma nella Cappella Contarelli
A Roma, in pieno centro, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, nei pressi di piazza Navona e nelle immediate vicinanze di Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica Italiana, si trovano tre bellissime tele di Caravaggio realizzate per la Cappella Contarelli tra il 1599 e il 1602 e che rappresentano anche un importante punto di svolta nello stile del grande maestro.
Le tre opere sono dedicate a San Matteo e raffigurano, rispettivamente, “San Matteo e l’angelo”, la sua “vocazione” e il suo “martirio”.
Il primo dei tre dipinti che Caravaggio realizzò fu quello del “martirio di San Matteo”. La tela rappresenta il Santo sopraffatto da un soldato etiope mandato dal re Hirtacus per impedire che egli proseguisse la sua opera di proselitismo. Un angelo si sporge da una nuvola per porgere al Santo la palma simbolo di martirio. Tutto intorno vi è un aprirsi della folla che assiste inorridita a quanto sta avvenendo. Tra le persone ritratte si riconosce in fondo a destra un uomo con barba e baffi che probabilmente è lo stesso Caravaggio. L’intera scena è circondata dal buio, come se il tutto stesse avvenendo di notte, con una luce che rischiara l’immagine dall’oscurità. Da questo momento Caravaggio userà sempre il fondo scuro per le sue immagini.
Sicuramente il quadro della “vocazione di San Matteo” risulta più efficace e compiuto. Motivo principale del quadro è il fascio di luce che proviene da una finestra che non si vede, posta sulla destra dell’immagine. Questa luce ha un valore altamente simbolico. Essa proviene dalle spalle di Gesù, quasi forza che lo precede, ed è tale la sua intensità che la finestra aperta sulla parete di fronte non emana alcuna luce. Se questa finestra non emana luce perché è notte, a maggior ragione la luce da destra che rischiara l’ambiente ha un valenza prettamente simbolica. Il fascio di luce lascia intravedere la figura di Gesù, parzialmente coperta da quella di San Pietro. Entrambi stanno indicando San Matteo, ma il gesto di Gesù ha una maggiore forza e determinazione. San Matteo, al momento della chiamata di Gesù, era un gabelliere, cioè un esattore di tasse. Incarico sicuramente odioso e non esente da una componente violenta. Quando Gesù lo incontrò, gli disse di seguirlo e San Matteo abbandonò tutto per obbedirgli. Caravaggio trasforma questo episodio in una scena dei suoi tempi. San Matteo, e gli altri gabellieri seduti con lui a contare i denari raccolti, hanno abiti seicenteschi, ed anche l’ambiente somiglia molto ad una taverna della Roma di quegli anni. Come a dire che il sacro non ha una collocazione lontana nel tempo e nello spazio, ma è sempre presente tra di noi. E una sua chiamata può sempre giungerci. Ovviamente il crudo realismo di Caravaggio ebbe un ruolo determinante per giungere a questo risultato. Da questo momento in poi la pittura di Caravaggio acquista un carattere sempre più drammatico, sia nei soggetti sia nel suo stile che accentua in maniera violenta i contrasti tra luci ed ombre. Tuttavia la prevalenza è sempre dell’oscurità, e le immagini si riducono all’essenziale rischiarate da una luce che ha sempre un valore più simbolico che reale. Per questo i quadri di Caravaggio producono sempre una forte risonanza interiore in chi guarda: sono il frammento di un mistero che non si riesce mai a rischiarare.
La luce che illumina la scena rappresenta una delle “inquadrature” più famose della storia dell’arte, ragione per cui molti sono i visitatori che provengono da ogni parte del mondo per poterla ammirare di persona, dal vivo.
Il terzo quadro con “San Matteo e l’angelo” fu realizzato da Caravaggio in un secondo momento, dopo che i committenti (gli eredi del Cardinale Contarelli) decisero di rimuovere una statua realizzata dallo scultore fiammingo Jacob Cobaert. Caravaggio realizza una prima versione, ma gli eredi la rifiutarono, in quanto San Matteo appariva con l’aspetto di un popolano quasi analfabeta, al quale l’angelo dirigeva la mano per farlo scrivere. Anche in questo caso ciò che non fu compreso fu l’eccessivo realismo del pittore, il quale non aveva la predisposizione a trasfigurare la realtà ma a rappresentarla in maniera nuda e cruda. La seconda versione apparve invece più accettabile. Qui il Santo scrive da solo, mentre l’angelo gli dà dei suggerimenti. In questo modo si salvava la tradizione, che voleva San Matteo ispirato da un angelo, ma al contempo si vedeva un santo con l’aspetto di un vecchio saggio, di certo non analfabeta.
La Cappella Contarelli
La Cappella Contarelli, ubicata nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, era stata acquista dal Cardinale francese Mathieu Cointrel (il cui nome è stato poi italianizzato in Matteo Contarelli) nel 1565. Il suo intento era di decorarla con storie dedicate a san Matteo, di cui egli portava il nome. Il piano iconografico fu da lui stesso definito: al centro vi doveva essere la pala d’altare con l’effige del santo e ai due lati le immagini con la vocazione del santo e con il suo martirio. Dei lavori fu incaricato il pittore bresciano Girolamo Muziano, il quale in vent’anni non realizzò alcunché. Nel 1585 il Cardinale morì e i suoi eredi decisero di rivolgersi ad altri. Nel 1587 diedero incarico allo scultore fiammingo Jacob Cobaert di realizzare un gruppo scultoreo, che egli effettivamente consegnò quindici anni dopo; gruppo che però non incontrò i favori dei committenti. Nel 1591 decisero infine di rivolgersi al Cavalier d’Arpino per la decorazione pittorica della cappella, ma questi, in circa due anni, realizzò solo l’affresco della piccola volta. Così, all’approssimarsi dell’anno santo del 1600, la cappella risultava ancora disadorna e, anche grazie alle sollecitazioni del Cardinal Del Monte, nuovo protettore di Caravaggio, essi decisero di rivolgersi al Caravaggio, pittore di origine lombarda, che nel giro di meno di due anni, consegnò le due tele raffiguranti il “martirio di San Matteo” e la “vocazione di San Matteo”.
Due anni dopo, nel 1602, anche il gruppo scultoreo di Jacob Cobaert fu consegnato, ma di lì a poco rimosso e quindi i committenti si rivolsero nuovamente al Caravaggio, il quale realizzò una tela in cui era raffigurato San Matteo con un libro aperto poggiato sulle gambe, e di fianco un angelo che gli dirigeva la mano per scrivere sul libro. Poco dopo anche questa tela fu rimossa, perché non era stata gradita (il dipinto è poi finito a Berlino dove è stato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale), e al suo posto Caravaggio realizzò una seconda versione, che è quella che tuttora si trova nella Cappella.
Una bella e piacevole visita, per ammirare la bravura di un nostro grande artista, apprezzato in tutto il mondo, in uno scorcio dell’affascinante centro storico di Roma.
A Poggio Imperiale la 5ª Edizione del Premio Letterario “Emozioni in bianco e nero”
Anche quest’anno Poggio Imperiale, per una serata, si è posto al centro dell’interesse culturale internazionale.
Grazie alle “Edizioni del Poggio”, ma soprattutto al Dott. Giuseppe Tozzi che lodevolmente le rappresenta, il Premio Letterario “Emozioni in bianco e nero” è giunto alla sua quinta edizione.
Un impegno notevole per la Casa Editrice e per quanti dedicano tempo ed energie per portare avanti una pregevole iniziativa, che si sta dimostrando, anno dopo anno, di grande successo.
Non mi è stato possibile partecipare alla importante manifestazione tenutasi la sera del 7 settembre scorso, ma rammento ancora con molta soddisfazione quella relativa alla terza edizione del Premio, nel 2011, alla quale ho avuto il piacere di assistere assieme a mia moglie, e serbo il ricordo di una serata straordinaria.
Ma, per l’occasione di quest’anno, non ho voluto far mancare al Dott. Giuseppe Tozzi (al caro amico Peppino) gli auguri più sentiti per la buona riuscita della manifestazione, unitamente ai miei sentimenti di compiacimento, attraverso un messaggino telefonico del seguente tenore:
Carissimo Peppino,
Un grande in bocca al lupo per la straordinaria manifestazione letteraria di stasera che, grazie a te e a quelli che come te si sforzano di divulgare la cultura, porrà ancora una volta, e per un’intera serata, il nostro amato paesello (Tarranòve) al centro dell’attenzione e dell’interesse di quanti, in Italia e nel mondo, ritengono che la cultura debba essere mantenuta su livelli di massima considerazione.
Un abbraccio fraterno
Lorenzo
Riporto, ora, qui di seguito, il “comunicato” diramato dalle Edizioni del Poggio in merito all’evento letterario in questione.
Serata conclusiva del 5° Premio Letterario “EMOZIONI IN BIANCO E NERO”
Edizioni del Poggio
Editori per Passione
COMUNICATO
Sabato 7 settembre, nel salone adiacente la scuola elementare De Amicis di Poggio Imperiale, si è svolta la cerimonia di premiazione della 5ª edizione del Concorso Letterario Internazionale “Emozioni in bianco e nero – Fiabe, Poesie, Racconti …..Storie di carta”
La serata è stata ricca di ospiti, corona ideale per la finale del Concorso. Numeroso il pubblico presente che con lunghi applausi ha mostrato il suo gradimento.
Impeccabile la giuria, presieduta dalla docente universitaria Maria Rosaria Matrella e composta dal poeta – critico letterario Michele Urrasio, dal giornalista e scrittore Giucar Marcone e dai docenti Antonia Frazzano e Antonietta Zangardi.
Si sono classificati ai primi tre posti per il settore racconti: 1) – Maurizio Brescia (Cusano Milanino-Mi) con il racconto “Mandolino”, 2) – Giuseppe Furlano (Asti) con il racconto “Mio nome Samir”, 3) – Mario Del Sordo (Foggia) con il racconto “Ultimo respiro”.
Per le fiabe la graduatoria ha visto al primo posto Teresa Denise Spagnoli (Grugliasco- To) con “Il congresso dei maghi”, al secondo Sara Caon (Loria-TV) con “Policarpo e la fonte dell’eterna giovinezza”, al terzo Mariangela Biffarella (Mistretta-Me) con “Il mondo delle teste perse”.
E infine i primi tre classificati per la poesia: 1) – Piero Colonna Romano (Lavagno-Vr) con “Fiori giapponesi”, 2) – Elisa Marchinetti (Noceto-PR) con “I solchi della vita”, 3) – Maria Giusti (Venafro-Is) con “Clochard”.
A questi premi vanno aggiunte le segnalazioni speciali della casa editrice.
Definire il 7 settembre una serata favolosa è dir poco. Tanti gli ospiti che hanno arricchito la manifestazione: l’attore-poeta Giovanni De Girolamo, voce recitante, che con grande professionalità ha declamato le poesie, tra le altre anche la sua “Attesa”, lirica giunta al settimo posto, intervenendo anche per le fiabe e i racconti; i due giovani musicisti Giuseppe Abbatantuoni e Nicola Schiavone che ci hanno riproposto alcuni classici come “My Way” e “Anema e core”; Vanna Basile, cantante eclettica che ha eseguito alcuni brani impegnati, repertorio delle più grandi cantanti italiane, e Stefania Cristino che ci ha offerto due splendide esecuzioni.
La manifestazione è stata magistralmente condotta da Giuseppe Tozzi, rappresentante della casa editrice “Edizioni del Poggio”, che da anni porta avanti con grande competenza un discorso culturale che travalica i confini della nostra Regione. E’ da sottolineare tra l’altro la grande mola di scritti pervenuti al concorso e tra questi opere di stranieri originari della Russia, Georgia, Ucraina, Finlandia, Germania.
A conclusione della sera Giuseppe Tozzi, tra gli applausi dei presenti, ha confermato l’appuntamento nel 2014 per la VI edizione del concorso letterario “Emozioni in bianco e nero.
Foto e Logo by Edizioni del Poggio
Vivere in via Campari a Sesto San Giovanni; Storia di una trasformazione urbana, 1904 – 2013
“Vivere in via Campari” è il titolo della mostra fotografica che dal 7 al 29 di settembre 2013, nella splendida cornice di Villa Mylius di Sesto San Giovanni, ospita 12 gigantografie per un percorso che testimonia la trasformazione urbana del territorio sestese
Dal 7 al 29 settembre, a Sesto San Giovanni, la mostra: “Vivere in via Campari”. Un percorso fotografico di 12 gigantografie capaci di accompagnare il visitatore in un percorso che racconta la trasformazione del territorio sestese e la sua sinergia con il marchio Campari.
Il focus della mostra è concentrato su un’area storica di Sesto San Giovanni: via Campari. Un’icona della trasformazione che nell’arco di un secolo ha visto il passaggio da area industriale, dove è nata la produzione del Campari, a polo direzionale, in un nuovo quartiere ridisegnato dove immerse in un ampio parco sorgono le Residenze di Via Campari.
La mostra fotografica “Vivere in via Campari” è un percorso che testimonia ancora una volta le ragioni che spingono Sesto San Giovanni ad essere considerata il simbolo delle trasformazioni urbane e sociali che hanno interessato l’Europa nel Novecento. Una città che aspira a divenire patrimonio dell’Unesco nella categoria del Paesaggio evolutivo.
1904
Campari apre a Sesto
Il primo stabilimento Campari con sede a Sesto San Giovanni risale al 1904. La Campari produceva diversi liquori, tra cui il Campari fin dal 1860, il Cordial e il Bitter.
1931
In via Campari nasce il Camparino
Camparisoda nasce nel 1931: è il primo pre-mix “pronto all’uso” nella storia dei prodotti a bassa gradazione alcolica. La sua bottiglietta conica, in stile futurista, è stata disegnata dall’artista Fortunato Depero.
1904 – 2002
La produzione in via Campari
Dal 1904 al 2002: quasi cent’anni di produzione in via Campari.
Anni ‘30/’90
La Sesto industriale
L’industrializzazione sestese avviene a opera di imprenditori milanesi (Breda, Camona, Marelli, Spadaccini) che portano fuori dal capoluogo lombardo i propri stabilimenti per vari motivi: necessità di maggiori spazi per imprese più grandi e moderne rispetto a quelle di Milano, costi dei terreni più bassi.
2006
Il progetto di una nuova via Campari
Il fabbricato è stato ristrutturato e il progetto degli architetti Mario Botta e Giancarlo Marzorati ha conservato la facciata originale integrandola nel nuovo complesso, oggi sede degli uffici amministrativi della società e di un museo nazionale.
2007
I lavori nell’area Campari
Alla base di un’opera di questa complessità sta il dialogo costruttivo che si è aperto tra pubblico e privato. Un progetto che ha saputo rivitalizzare un’area storica per Sesto restituendo ai Sestesi un parco pubblico di 6.000 mq.
2009
Da vecchia fabbrica a uffici internazionali
Nell’aprile 2009 vengono consegnati i nuovi uffici alla Campari. Un piccolo tassello in una grande città in via di trasformazione.
2010
Inaugurazione del museo Campari
Questo nuovo spazio museale, una vera icona tra il mito e l’arte, propone un percorso attraverso 150 anni di storia del design e del costume in relazione all’aperitivo rosso, passione che da sempre ha legato la propria comunicazione al mondo dell’arte e della grafica d’autore.
2011
Creazione di un’area residenziale
In via Campari si è compiuta una sfida progettuale che vede integrare tradizione e innovazione, forma e funzione. Le Residenze Campari riportano costantemente al tema di come grandi città dovranno affrontare la loro trasformazione.
2012
Apre il parco pubblico
Un parco pubblico per la città
2013
Le Residenze di via Campari
La casa è lo specchio del nostro tempo. Su questa linea si collocano le scelte che privilegiano un dialogo fra interni, grandi terrazzi ed esterni, capaci di esaltare questa continuità.
Il futuro
Sesto San Giovanni per l’Unesco
Sesto San Giovanni ha intrapreso il percorso di candidatura alla lista del patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco per la cate goria del paesaggio culturale evolutivo.
La mostra è curata da Moretti Real Estate (Gruppo Moretti) che si è occupato della riqualificazione dell’intera area e realizzato il complesso de Le Residenze di via Campari.