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Il Maestro Giuseppe Bosich alla “Notte Bianca week-end Salerno 2019” con una mostra di pittura davvero speciale
Si sono spenti i riflettori sulla kermessse salernitana che si è svolta nei giorni 26, 27 e 28 luglio 2019, confermando che anche questa IX edizione della “Notte Bianca week-end Salerno 2019” è stata una grande festa ricca di numerosi eventi in molte piazze cittadine, con la presenza di tanti artisti musicali e dello spettacolo, accolti da un folto ed esultante pubblico.
Il programma, molto ricco e diversificato, ha spaziato dai momenti di puro divertimento, ai momenti di musica pop a iniziative culturali di grande rilevanza come la presenza del Maestro Giuseppe Bosich con l’esposizione delle sue opere in Villa Carrara.
L’imponente evento estivo salernitano di quest’anno ha avuto inizio proprio presso il Salone della Villa Carrara la mattina di venerdi 26 luglio alle ore 11,30, con la consegna dei Premi della “Notte Bianca Week-End Salerno 2019” destinati ad Artisti salernitani che si sono contraddistinti nel campo dello spettacolo, della cultura, dell’arte, delle professioni e dello sport nel panorama nazionale ed internazionale. Alle ore 18 l’inaugurazione presso il Salone della medesima Villa Carrara, della mostra di pittura di Giuseppe Bosich “QOM-‘ED-JAH” – La Divina Commedia in tre atti con la curatela di Laura Bruno, 36 dipinti raffiguranti canti scelti de la Divina Commedia. E alle ore 21,00 un Recital del Tenore Francesco Malapena accompagnato dal Maestro Bruno Vitale, tenuto all’aperto nei giardini della Villa Carrara.
In particolare, l’esposizione dedicata al Maestro Giuseppe Bosich si è sviluppata lungo l’intero arco delle tre giornate della “Notte Bianca week-end Salerno 2019”, con il seguente programma: i dodici dipinti raffiguranti canti della Divina Commedia dedicati all’Inferno in mostra il 26 luglio, i dodici del Purgatorio il 27 luglio e i dodici del Paradiso il 28 luglio. E il pubblico ha potuto ammirare anche l’intera cartella dell’Opera (36 illustrazioni lito-offset).
Anch’io e mia moglie non abbiamo voluto perdere questo importante appuntamento culturale ed abbiamo quindi partecipato alla serata di inaugurazione della mostra di venerdi 26 luglio, recandoci appositamente a Salerno per incontrare il Maestro Giuseppe Bosich.
E ne è valsa veramente la pena!
L’esplosione dei colori, la creatività artistica e la profondità di pensiero dell’autore, che le opere presentate dal Bosich rivelano, destano nel visitatore comune percezioni di meraviglia, stupore, incanto e forse anche di sorpresa, in relazione soprattutto all’originalità (audacia, stravaganza) delle rappresentazioni proposte, rispetto agli stereotipi che la storia della pittura ci ha tramandato in materia di Divina Commedia. Sensazioni che nel visitatore più attento si trasformano invece in emozioni forti che attanagliano ed entusiasmano fino all’esaltazione.
Questo, se vogliamo, è il vero Bosich!
Può non piacere, perché i suoi dipinti sono diversi, a volte irriverenti, strani e così via cantando.
Ma la verità è che Bosich non lascia mai nulla al caso, tutto è previsto, preordinato, studiato, calcolato e messo in luce, sì a volte in maniera stravagante, però con sagacia, acume e intuizione folgorante.
La pittura è un po’ come la poesia, quella che suscita emozioni e cattura la sensibilità di chi la legge.
Ma, in verità, l’occasione dalla mostra mi ha offerto l’opportunità di incontrare e rivedere un vecchio amico della mia gioventù dopo tanti anni.
Con l’amico Giuseppe Bosich abbiamo avuto una comune militanza, come servitori della Patria, negli anni sessanta del secolo scorso, e poi ognuno di noi ha seguito la propria strada, i propri desideri, i propri sogni. Ci eravamo persi di vista, ma la fama del Maestro Bosich, pittore, incisore e scultore di fama internazionale, prima o poi doveva giungere anche alla mia attenzione, così come è accaduto una decina di anni orsono. Ci siamo sentiti telefonicamente e abbiamo rievocato i nostri comuni ricordi dell’epoca, promettendoci di rivederci quanto prima.
E lo scorso venerdi 26 luglio, alla Villa Carrara di Salerno, ci siamo finalmente riabbracciati, sicuramente un po’ invecchiati (ne contiamo 74 ciascuno, di anni!) ma ancora giovani nello spirito e soprattutto ancora combattivi nel perseguire i nostri rispettivi desideri e i nostri sogni giovanili mai sopiti.
“La visionaria rappresentazione dantesca di Giuseppe Bosich si materializza nelle 36 Tavole con una travolgente energia ispiratrice. Bosich, come Virgilio, ci accompagna: noi come Dante ci facciamo guidare nel simbolismo di un mondo di segni e di figure dai colori vivaci e dalle forme umanizzate ed interagenti. La Commedia, tradotta nella grafica d’autore, diviene magma incandescente partorito da mente raffinata con spunti esoterici e filtrato da mano felice con folgorante illuminazione. Ne risulta un viaggio dell’arte iniziatico e rituale, le cui radici affondano nel cuore e nella stria dell’umanità” (Prof.ssa Laura Bruno Direttore artistico della mostra)
L’utilizzo di un sito particolarmente attrattivo come Villa Carrara ha elevato il livello culturale della manifestazione offrendo lo scenario perfetto per la mostra del Maestro Bosich e per il concerto del tenore Malapena.
“ll palazzetto Carrara fu costruito tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, in stile neogotico, con presenza di architettura Umbertina; in tipico stile neogotico sono gli archi e gli archetti della facciata principale con linee ondulate e ritmicamente svolte. Presenta un loggiato a due livelli, di cui quello inferiore ad archi ed il portale originario in piperno inglobato nel rifacimento neogotico. E’ una ottocentesca dimora nobiliare, oggi spazio pubblico, situata nel quartiere Pastena della citta di Salerno” (Tratto dalla Brochure della mostra).
Una bella serata estiva ha fatto da cornice all’evento e la mostra del Bosich è risultata particolarmente impreziosita dai qualificati interventi dei relatori intervenuti alla presentazione, coordinata dalla Prof.ssa Laura Bruno, e dalla sublime declamazione di versi del sommo Poeta Dante Alighieri tratti dalla Divina Commedia.
Al caro amico Giuseppe e alla sua compagna Genny un abbraccio e un arrivederci a presto.
Vedere anche Bosich … quell’uom di multiforme ingegno …!
pubblicato l’11 giugno 2010 su questo Sito/Blog http://www.paginedipoggio.com/?p=3076
“Frammenti di antiche tradizioni e storia popolare” un nuovo libro di Lorenzo Bove
Frammenti di antiche tradizioni e storia popolare, pazientemente raccolti in questo libro, che ci aiutano ad affrontare meglio il presente e a proiettarci verso un futuro meno incerto.
Una commedia dialettale, sceneggiata in tre atti, che sviluppa la sua narrazione in un crescendo di circostanze che si rifanno a momenti di vita di un tempo realmente vissuti dai nostri avi, attraverso dialoghi serrati tra i vari personaggi messi in campo.
Scenette, trovate, battute a volte apparentemente leggere, che mettono in risalto gli usi e costumi dell’epoca, con tutti i loro pregi e i loro difetti. Alcuni particolari vengono volutamente enfatizzati ed anche un po’ ridicolizzati, non per sottovalutarne la portata, ma proprio per metterli in evidenza, alla luce del nostro attuale livello e modello di evoluzione.
La narrazione percorre storie a lieto fine, di amori contrastati, di giovani innamorati, con le vicissitudini, le credenze, i riti e i pregiudizi del tempo, con i quali essi e le loro rispettive famiglie devono fare i conti.
Lorenzo Bove
Frammenti di antiche tradizioni e storia popolare
“Ka quille m’è ditte mammà”
Commedia dialettale terranovese
Sceneggiata in 3 atti
Edizioni del Poggio
La presentazione avrà luogo a Poggio Imperiale (Foggia)
Giovedi 8 agosto 2019 alle ore 19,30
presso il Centro Sociale Polivalente di via Vittorio Veneto, 50
Saluti
Alfonso D’Aloiso, Sindaco di Poggio Imperiale
Salvatore Sarra, Consigliere delegato alla cultura
Peppino Tozzi, Editore
Intervento dell’autore del libro Lorenzo Bove
Relatori
Alfonso Chiaromonte, Scrittore di Storia Patria
Fermando Chiaromonte, già docente della scuola primaria
Vittorio Nista, Avvocato cassazionista, già Sindaco di Poggio Imperiale
Conduce
Federica Palmieri, Giornalista e Docente di materie letterario
che porgerà anche i saluti del giornalista, poeta e scrittore
Giucar Marcone, estensore della Presentazione del libro
La Compagnia Teatrale Terranovese
declamerà alcuni brani dialettali terranovesi tratti
dalla Commedia “Ka quille m’è ditte mammà” di Lorenzo Bove
Il cantautore, poeta e scrittore Nazario D’Amato,
accompagnato dalla sua chitarra, canterà alcune sue canzoni
La serata sarà allietata da musiche e canzoni della tradizione popolare
con Dino Vitale alla consolle
Zia Nannina compie oggi 108 anni!
Ancora un primato: un’altra nostra compaesana di Poggio Imperiale taglia il traguardo dei 108 anni.
Zia Nannina, al secolo Giovanna Galullo, vedova Fusco, nata a Poggio Imperiale in provincia di Foggia il 24 giugno 1911, ha festeggiato ieri, domenica, con i figli, nipoti e pronipoti il suo centottavo compleanno.
E una bellissima giornata di sole ha fatto da cornice all’eccezionale avvenimento.
Il figlio Primiano, mio carissimo amico d’infanzia, mi ha inviato stamattina un messaggio vocale Whatsapp con alcune foto dell’evento.
La nostra cara ultracentenaria, amorevolmente accudita dai suoi cari, è ancora lucida e gode di una discreta salute fisica, e ieri si è commossa alla vista di tutti i suoi cari intervenuti numerosi alla sua festa, sussurrando: “ Tutt’a famiglije stà qua … ma ije ne voije festeggijà … pe l’amore di Dije … mò trascije n’avet’anne …” (Tutta la famiglia è qui … ma io non voglio festeggiare … ora entra un altro anno …”.
E Primiano, anch’egli visibilmente commosso, le ha risposto: “Mammà … e tu ‘nda magnijènne a torte … tande l’anne trascijene u stésse …” (Mamma … e u tu non mangiarla la torta … tanto gli anni arrivano lo stesso …”.
E’ un vero piacere sapere che la zia Nannina ha tagliato, oltre alla torta di compleanno, l’invidiabile traguardo dei 108 anni.
Auguri
di cuore!
Poggio Imperiale, morta a 116 anni Nonna Peppa, la donna più longeva d’Europa
Si è spenta all’alba di martedi 18 giugno 2019 Giuseppina Robucci, per tutti Nonna Peppa, ultracentenaria di 116 anni e 3 mesi di Poggio Imperiale, la donna più longeva d’Europa e seconda in assoluto a livello mondiale (alle spalle della giapponese Kane Tanaka, nata il 3 gennaio del 1903).
Il decesso è avvenuto nella sua casa di Poggio Imperiale, proprio dove era nata il 20 marzo del 1903.
“Siamo dispiaciuti, ma al tempo stesso onorati di averla avuta come concittadina”, ha commentato il sindaco di Poggio Imperiale, Alfonso D’Aloisio.
Nel 2015 Nonna Peppa era stata insignita del titolo di sindaco onorario del piccolo borgo dell’Alto Tavoliere in provincia di Foggia e, nella giornata di ieri, è stata allestita la camera ardente nella sala consiliare del Municipio e proclamato il lutto cittadino, con funerali solenni in piazza Imperiale alle ore 17,30.
Una donna eccezionale pur nella sua semplicità, per anni si è occupata, insieme al marito Nicola Nargiso morto nel 1982, di un bar della piazza del paese; ha avuto cinque figli, tre maschi (il più anziano di 90 anni e il più giovane di 75) e due femmine, tra cui suor Nicoletta delle Suore Sacramentine di Bergamo, nove nipoti e 16 pronipoti (la più piccola di 5 anni).
Nei suoi 116 anni di vita è stata testimone di due guerre mondiali, due re, dodici Presidenti della Repubblica e dei seguenti ultimi dieci 10 Papi:
Pio X (1903 – 1914)
Benedetto XV (1914 – 1922)
Pio XI (1922 – 1939)
Pio XII (1939 – 1958)
Giovanni XXIII (1958 – 1963)
Paolo VI (1963 – 1978)
Giovanni Paolo I (1978)
Giovanni Paolo II (1978 – 2005)
Benedetto XVI (2005 dimessosi nel 2013)
Francesco I ( 2013 e attualmente in carica)
Il segreto della sua longevità, Nonna Peppa lo attribuiva ad uno stile di vita semplice: “Mangiare poco e sano, mai un bicchiere di vino e mai una sigaretta in bocca”.
Un vecchio detto paesano risalente a tempi antichi e spesso ripetuto ancora oggi dagli abitanti di Poggio Imperiale (Tarranòve in vernacolo) recitava: “Tarranòve, pan’e pemmedore e arij’a bbone” (alla lettera: Poggio Imperiale, pane e pomodoro e aria buona), quale invito a prendere le cose per il giusto verso e senza eccessivo affanno, con distensione e serenità che solo un piccolo borgo sviluppatosi alla sommità di una collinetta (poggio) immersa in una vegetazione lussureggiante poteva offrire.
Una collinetta dalla quale si riesce, da una parte, a scrutare il mare con le isole Tremiti in lontananza e il promontorio del Gargano e, dall’altra, il subappennino dauno fino alle montagne del vicino Molise.
Aria buona, quindi, e cibi semplici e genuini rappresentati da una semplice fetta di pane pugliese, frutto del grano coltivato in queste floride campagne, accompagnata dai rossi e squisiti pomodori tarnuèse conditi con un olio extravergine di oliva paesano la cui fragranza non ha eguali.
Che sia questa la ricetta della longevità … che ha aiutato Nonna Peppa a vivere serenamente fino alla veneranda età di 116 anni e novanta giorni?
Europa e Unione Europea
Ieri mattina, lunedi 27 maggio 2019, dopo giorni, settimane e mesi di martellamento continuo dei nostri politici, in un aggrovigliarsi di promesse, analisi e valutazioni serie o a volte anche farlocche o sostenute da evidentissime contraddizioni, a favore o meno di una Unione Europea che potesse e dovesse rappresentare veramente la casa dei popoli e quindi delle persone che vi aderiscono, ci siamo svegliati e abbiamo affrontato come sempre la nostra quotidianità, lasciando ai nostri rappresentanti, sulla base delle preferenze che abbiamo espresso domenica nei seggi elettorali dei 27/28 Stati membri (siamo ancora in ballo con la Brexit!), l’onore e l’onere di amministrarci, accettando serenamente i risultati elettorali e dunque le scelte del popolo europeo che, al di là di qualche punta di sovranismo e nazionalismo esacerbato qua e là, Italia compresa, ha espresso la volontà di mantenersi su posizioni moderate, di orientamento popolare e democratico con forte attenzione all’ecologia (i verdi).
Ma subito oggi ci accorgiamo che la campagna elettorale e i proclami non sono terminati e si parla ancora di assalto alla diligenza, auspicando lo scardinamento di quel fantomatico apparato di comando europeo che imporrebbe balzelli e politiche restrittive agli stati membri, e proponendo di cambiare i parametri europei soprattutto in materia di sostegni di natura sociale e di assorbimento del debito pubblico nazionale, ponendolo a carico della Banca centrale europea (e quindi dei contribuenti virtuosi!).
Dichiarazioni a cuor leggero, queste, che come risultato ottengono quello di spaventare gli investitori e fare aumentare lo spread. E il differenziale Btp-bund stamattina è schizzato conseguentemente oltre quota 290 punti base, trascinando in territorio negativo la Borsa di Milano, che è oggi l’unica in calo in Europa (-1,15 per cento a metà mattinata). Un copione già visto e che si ripresenta puntuale quando in discussione ci sono i conti pubblici. Infatti il presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker (che resterà in carica fino ad ottobre prossimo) ha preannunciato l’invio a Roma di una lettera preliminare di richiesta di chiarimenti, prima di avviare la procedura di infrazione contro l’Italia, con una multa che si aggirerebbe intorno ai 3,5 miliardi di euro.
E noi, qui in Italia, continuiamo a parlare di diminuzione delle tasse (flat tax: tassa piatta al 15 per cento), pur sapendo che gravano sul contribuente 15 miliardi per scongiurare l’aumento dell’IVA e altri 15 per l’incremento degli interessi sul debito pubblico causato nel 2018 dai proclami del governo giallo verde e del conseguente aumento dello spread. Ben 30 miliardi ai quali ne vanno aggiunti ancora una ventina per l’effetto trascinamento dei provvedimenti relativi al reddito e pensione di cittadinanza e quota 100 (prepensionamenti).
Ci attende una manovra finanziaria tutta lacrime e sangue!
Diamoci una calmata e cerchiamo di ragionare pacatamente evitando di prenderci in giro.
Ma soprattutto cerchiamo di imparare ad essere e sentirci cittadini europei, come lo sono già i nostri ragazzi dell’Erasmus e come lo sono i tanti italiani che da anni lavorano e si interfacciano con i loro corrispondenti francesi, tedeschi, spagnoli, ecc.; ciascuno nell’ambito della propria attività professionale, imprenditoriale ed altro. I sovranismi e i nazionalismi trovano il tempo che trovano. Un vecchio andante diceva che “se corri da solo andrai più veloce, ma se corri insieme agli altri andrai più lontano”.
Rilassiamoci, abbiamo appena votato per il rinnovo dei nostri rappresentanti in Europa e confidiamo in questa nuova compagine politica per uno slancio dell’Unione Europea nell’interesse generale di tutto il popolo che la compone, anche con riguardo alle nostre radici giudaico cristiane.
E, proprio a proposito di Europa e di radici, nella stessa mattinata di ieri, insieme con i risultati elettorali, ho avuto modo di leggere sul Corriere della Sera, nella Rubrica di Alessandro D’Avenia “Letti da rifare”, un suo interessante articolo dal titolo “L’Oscura”, nel quale richiama, tra l’altro, un recente libro di Paolo Runiz “Il filo infinito”. Una lettura intrigante e avvincente al tempo stesso, tra sacro e profano, mitologia e santità. Partendo da Europa, la figlia del re di Tiro, e Zeus, il dio supremo della mitologia greca, fino a San Benedetto da Norcia, Patrono d’Europa.
L’articolo merita veramente di essere letto e quindi lo riporto integralmente qui di seguito.
Buona lettura!
“” Europa, bellissima figlia del re di Tiro, sta raccogliendo fiori vicino al mare. All’improvviso compare un toro dal manto bianco che si avvicina ai suoi piedi. Lei, affascinata dal prodigioso animale, si siede sulla sua groppa e quello che crede solo un gioco si rivela, invece, un rapimento: il toro entra in mare e la porta a ovest fino alle spiagge di Creta, dove rivela la sua identità, è Zeus che le fa violenza. Il padre manda i figli a cercare la sorella, ma nessuno si reca sull’isola, di cui però la ragazza diverrà l’amata regina. Europa, nome d’origine incerta, secondo il dizionario etimologico dell’audace Giovanni Semerano affonda le radici nel termine erebu, usato dagli antichi popoli del vicino Oriente semitico per indicare l’Occidente: «dove il Sole sparisce». Europa è quindi l’Oscura: rapita e violata si riscatta, tramonta e risorge. Proprio dove nessuno la cerca rinasce dalle sue ceneri.
Paolo Rumiz ha provato a rintracciarla proprio tra le sue ceneri, nel recente libro: «Il filo infinito». Seguendo le ferite del terremoto che ha colpito il centro Italia tre anni fa, l’ha trovata a Norcia, una sera, tra i resti degli edifici della piazza principale: «Le rovine della Cattedrale erano illuminate. Dietro il rosone, la navata non c’era più. Fu lì che vidi la statua al centro della piazza. Mostrava un uomo dalla barba venerabile e dalla larga tunica, sollevava il braccio destro come per indicare qualcosa fra cielo e Terra. Era intatta in mezzo alla distruzione, e portava la scritta SAN BENEDETTO, PATRONO D’EUROPA. Fu un tuffo al cuore. Fino a quel momento non avevo minimamente pensato al Santo e al suo rapporto con Norcia, con il terremoto, con la terra madre del Continente a cui appartenevo. Cosa diceva quel santo benedicente, in mezzo ai detriti di un mondo? Diceva che l’Europa andava alla malora?», no, anzi «ricordava che alla caduta dell’Impero romano era stato proprio il monachesimo benedettino a salvare l’Europa. Ci diceva che i semi della ricostruzione erano stati piantati nel peggior momento possibile». Nel 476 d.C. infatti l’ultimo imperatore d’Occidente viene assassinato e i barbari dilagano ma, tra le rovine dell’Impero romano, Benedetto aggrega attorno alle sue piccole comunità uomini e donne che ritrovarono la vita buona, fatta di lavoro, relazioni, educazione e preghiera. Per lui ciò che contava era rimanere fedeli alla cura dell’essenziale: il Creatore e le creature, in ognuna delle quali c’è il suo Logos, cioè una ragione d’amore e di compimento.
Ma gli
uomini di Benedetto come riuscirono nell’impresa? Rumiz così li descrive:
«erano riusciti a salvare l’Europa senz’armi, con la sola forza della fede. Con
l’efficacia di una formula: ora et
labora. Avevano salvato dall’annichilimento la cultura del mondo antico,
rimesso in ordine un territorio in preda all’abbandono. Una terra “lavorata”,
dove – a differenza dell’Asia o dell’Africa – era quasi impossibile distinguere
fra l’opera della natura e quella dell’uomo». Sono parole che evocano un
passato perduto? No. È l’anima perenne dell’Europa: la sua vocazione è proprio
in quei due verbi che coniugano ciò che la mano può fare. La mano umana, che
Kant definiva «il cervello esteriore della mente», staccatasi dalla terra si
apre al mondo e al cielo, per fare il mondo e rivolgersi al cielo. La mano, che
si ferma, studia, prega e poi lavora, sa che tutto quello che gli viene
incontro, cose e persone, è da custodire e coltivare. E come Benedetto educò le
mani della gente?
Nato a Norcia nel 480 d.C. da famiglia agiata, il ragazzo va a Roma per gli
studi, ma la città versa nel degrado, così decide di ritirarsi poco lontano,
sull’Appennino laziale, dove matura l’idea di una comunità ristretta, al
servizio di Dio e del mondo. Il monastero è infatti un’intera società costruita
nei modi della famiglia. L’abate (dall’ebraico abbà: padre), si prende cura dei figli: i monaci e la gente che
abita nelle terre circostanti. Non importa se liberi o schiavi, nobili o
contadini, dotti o ignoranti, romani o barbari: tutti fanno tutti i mestieri
senza distinzione. Ognuno, dentro e fuori dal monastero, è chiamato a un doppio
lavoro: quello di Dio e quello delle mani, che Benedetto chiama rispettivamente
«opus Dei» (preghiera e studio) e «opus manuum» (il lavoro manuale).
Quest’ultimo non è più per gli schiavi ma per tutti, in quanto compito originario
dell’uomo, posto da Dio nel giardino, come narra la Genesi, perché lo
custodisca e lo porti a perfezione. L’Europa viene così seminata «in una rete
di fattorie modello, di centri di allevamento, di focolai di cultura, di
fervore spirituale, di arte di vivere, di volontà di azione, in una parola, di
civiltà ad alto livello che emerge dai flutti tumultuosi della barbarie. San
Benedetto è senza alcun dubbio il Padre d’Europa». Sono parole del grande
sociologo Léo Moulin che, nel suo «La vita quotidiana secondo San Benedetto»,
mostra gli effetti dell’arte di vivere benedettina: persino la parola «Parliamentum» fu coniata in latino
medievale in ambito monastico, per indicare la prima assemblea sovranazionale
delle abazie nel 1115. L’Europa sbocciò dalla sintesi benedettina di
trascendente e terreno, come mostra la realizzazione di veri e propri
capolavori: viticultura e apicultura, arte medicinale con le piante,
agricoltura di terreni difficili, un sistema embrionale di depositi e prestiti,
gli scriptoria per copiare e
meditare i testi antichi, l’istruzione dei bambini, l’architettura delle
abazie… La regola benedettina non era una mera reazione al vuoto di potere,
ma l’affermazione della vocazione perenne dell’uomo: prendersi cura del mondo e
degli altri, dissodando il cuore, la mente e la terra. Un umanesimo ascendente
e discendente, anima dell’Europa: pensiero e azione ispirati dal fatto che la
realtà è il compito che Dio affida all’uomo, per il fiorire suo e dei suoi
fratelli. Un umanesimo attento alla cura tanto dell’anima quanto della tavola:
quanti sanno che parole come colazione,
pietanza, pranzo affondano le loro radici nella
vita benedettina?
A cavallo tra il secondo e il terzo millennio, il filosofo Alasdair MacIntyre nel suo ponderoso capolavoro, «Dopo la virtù», analizzando la crisi della modernità a partire dai limiti del modello liberista e marxista, scrive: «la grandezza di Benedetto sta nell’aver reso possibile l’istituzione del monastero centrato sulla preghiera, sullo studio e sul lavoro, nel quale e intorno al quale le comunità potevano non solo sopravvivere, ma svilupparsi in un periodo di oscurità sociale e culturale. Gli effetti della visione di Benedetto e la loro ricaduta erano in gran parte imprevedibili. Anche il nostro è un tempo di attesa di nuove e inattese possibilità di rinnovamento. Ma è anche un periodo di resistenza prudente e coraggiosa nei confronti dell’ordine sociale, economico e politico dominante». Rifarsi a Benedetto non significa imitare un modello archeologico, ma inventarne uno ispirato alla «costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso». L’Europa è sorta dall’arte di vivere di Benedetto, da cui si è sviluppata una cultura del lavoro senza precedenti, basata sulla ricerca di armonia tra natura e civiltà, seme di Medioevo e Rinascimento, fioritura di tutto ciò che è umano nell’uomo: la sua vita terrestre e celeste. I nuovi Benedetto dovranno rilanciare la paideia europea, un umanesimo trascendente e immanente (aperto all’altro e all’Altro) che sappia rispondere, con un rinnovato «ora et labora», alle sfide contemporanee, ma senza ritirarsi dal mondo, anzi rinnovandolo dall’interno, a partire dal lavoro e dalla famiglia. Altrimenti avremo l’illusione della salvezza «da fuori», che Kavafis descrive in Aspettando i barbari, una poesia su ciò che accade alle civiltà in cui la messa in scena del potere in realtà soffoca la vita: tutti sono paralizzati dall’imminente arrivo dei barbari, ma: «S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti./Taluni sono giunti dai confini,/han detto che di barbari non ce ne sono più./E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?/Era una soluzione, quella gente».
La vita del singolo e dei popoli non viene da fuori, ma dalla liberazione delle energie interiori, oggi imprigionate da paura, individualismo e nichilismo. Il letto da rifare è ritrovare l’armonia tra lavoro delle mani e lavoro di Dio: senza un senso trascendente e immanente, terrestre e celeste, della vita, il mondo diventa il teatro del caso e quindi della legge del più forte. La mano, se guidata solo da pulsioni immediate ed egoistiche, si chiude e volge contro la terra e gli altri, incapace di fare il mondo e le relazioni. «Un vento profumato penetrava le rovine e sentivo che nel mio mondo parole chiave come silenzio, dedizione, spirito di sacrificio erano state liquidate o avevano smarrito il loro senso. La stessa parola “Europa” si era perduta»: il vento di rinascita di cui scrive Rumiz non è nel voto, che darà uno stipendio a politici febbrilmente solerti durante le campagne elettorali e quantificherà chi siederà sul trono di spade, ma nell’azione quotidiana e costante di anime (da anemos, «vento» in greco) veramente europee, come quella di Benedetto “”.
L’incendio di Notre-Dame
Lo sgomento negli occhi di centinaia di parigini, i turisti impietriti davanti alla cattedrale di Notre-Dame, e tutti assieme che intonano l’Ave Maria mentre le fiamme devastano la chiesa; immagini in diretta televisiva, all’ora di cena, che non saranno dimenticate facilmente.
Un rogo di vaste dimensioni è divampato nella serata di ieri 15 aprile 2019, probabilmente dalle impalcature per il restauro della monumentale cattedrale parigina, un inferno di fuoco che in 77 minuti ha inghiottito una parte della storia di Parigi, della Francia, dell’Europa e del mondo intero.
Alle 19,50 il primo allarme, alle 20,07 il crollo del tetto della navata centrale, risalente al tredicesimo secolo, denominato “la foresta” per la folta presenza di parti in legno. E, secondo gli esperti, nel caso di copertura a capriata, in particolare, la struttura reticolare fa sì che le travature vengano attaccate dalle fiamme su tutti e quattro i lati, riducendo la sezione residua e aumentando notevolmente il rischio di crolli.
Le fiamme hanno infatti rapidamente divorato il tetto e provocato il crollo dell’ imponente guglia, ma le prime immagini documentano che la struttura principale è salva e, all’interno, la Croce e l’Altare centrale si sono miracolosamente salvati dalle fiamme.
L’applauso della folla ai pompieri che hanno consentito di tenere sotto controllo il fuoco, domandolo ed impedendo che si propagasse ulteriormente. E’ stato sconsigliato l’utilizzo di aerocisterne o elicotteri, ritenuto addirittura dannoso, sia per la presenza di vigili del fuoco all’interno della cattedrale, sia per la precaria situazione della struttura.
La causa dell’incendio è ancora sconosciuta, anche se i media francesi hanno riferito che potrebbe essere collegata ai lavori di ristrutturazione eseguiti nel punto più alto della chiesa. Intanto la Procura di Parigi ha fatto sapere di aver aperto un’inchiesta per “danneggiamento colposo tramite incendio”.
Notre-Dame, Patrimonio mondiale dell’Unesco, è il monumento più visitato della capitale francese (ogni anno 12 milioni di visitatori) dopo la Torre Eiffel e la seconda chiesa più visitata d’Europa dopo la Basilica di San Pietro di Roma.
La cattedrale incarna la nazione francese unita nel cattolicesimo e forse l’idea stessa di nazione, e tutto ciò è dimostrato dalle lacrime e le preghiere sui ponti, ma anche dalla rabbia dei parigini che chiedono a gran voce: “Devono rifarla com’era”. E pronta è stata la risposta del Presidente Macron, il quale ha assicurato che verrà ricostruita, perché non può morire un simbolo, una fede, una nazione.In tutto il mondo, questa mattina, la notizia è apparsa sugli organi di informazione e unanime è stato il dispiacere per quanto accaduto, attestato dai vari capi di stato e di governo alla Francia.
Sono stato più volte in Francia con la mia famiglia e Parigi, in particolare, è sempre stata una nostra meta gradita, con visita di rito alla cattedrale di Notre-Dame, l’ultima delle quali risale a due anni orsono, di passaggio per Mont-Saint-Michel in Normandia. Ma uno dei ricordi più belli risale al 2013, quando abbiamo avuto l’opportunità di assistere a Notre-Dame, la sera di sabato 14 dicembre, alla Messa prefestiva delle 18,30 (Del Tempo dell’Avvento e del Natale), preceduta alle 17,45 dai Vespri, impreziositi da solenni e soavi musiche e canti, e seguita da un concerto d’organo che ha avuto inizio, sempre in cattedrale, a partire dalle ore 20,00.
Come mio personale contributo di solidarietà, associandomi al profondo dispiacere per l’occorso, riporto qui di seguito l’articolo che ho pubblicato il 20 gennaio 2014 sul mio Sito/Blog http://www.paginedipoggio.com/?s=Notre+Dame+Parigi
Notre Dame de Paris, samedi 14 décembre 2013
[scritto il 20 gennaio 2014]
Ho avuto il piacere di assistere con mia moglie a Notre Dame di Parigi, la sera di Sabato 14 dicembre scorso, alla Santa Messa prefestiva delle 18,30 (Temps de L’Avent et de Noël 2013) celebrata dal Mgr Patrick Jacquin, chanoine et recteur-archiprête de la Cathédrale, preceduta alle 17,45 dai Vespri , “Les Vêpres”, a loro volta celebrati dallo chanoine Patrice Sicard, chapelain.
Due cerimonie religiose di suggestivo interesse in un contesto storico – architettonico di esclusiva bellezza, quale la Cattedrale di Notre Dame di Parigi, impreziosite da solenni quanto soavi musiche e canti.
Ed ancora più unico che raro è stato poi il concerto d’organo che ha avuto inizio, sempre in Cattedrale a partire dalle ore 20,00.
« Audition au Grand Orgue de Notre Dame de Paris »
Concertiste : Yuka Ishimaru /Japon
• Johann Sebastian Bach (1685 – 1750), Prélude et fugue en ut mineur
• Camille Saint Saens (1835 – 1921), Fantaisie en mi bémol majeur
• César Auguste Franck (1822 -1890), Priére
• Louis Vierne (1870 – 1937), Final de la Symphonie n° 1
Nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi si trovano due organi a canne :
L’Organo Maggiore (in francese: Grand Orgue), situato sulla cantoria in controfacciata, con 132 registri distribuiti su cinque tastiere e pedaliera;
L’Organo del Coro (in francese: Orgue de Choeur), situato sulla sinistra del coro, con 30 registri distribuiti su due tastiere e pedaliera.
La Cattedrale di Notre Dame è il principale luogo di culto cattolico di Parigi, sede vescovile dell’Arcidiocesi di Parigi, il cui Arcivescovo metropolita è anche primate di Francia.
L’imponente monumento è ubicato nella parte orientale dell’Île de la Cité, proprio nel cuore della capitale francese, nella omonima piazza e rappresenta una delle costruzioni gotiche più celebri del mondo.
Attività, conferenze ed eventi del Centro Studi Territoriale ‘Simposio Culturale’
Nel mese di ottobre 2018, il Centro Studi Territoriale ‘Simposio Culturale’ di Poggio Imperiale ha raccolto e pubblicato in un prestigioso volume le proprie “Attività Conferenze Eventi (dal 29 gennaio 2015 al 24 maggio 2018) Volume I”, a cura di Antonietta Zangardi e per i tipi delle Edizioni del Poggio.
Nei giorni scorsi, presente a Poggio Imperiale con mia moglie per il periodo pasquale, ho ricevuto dalla cara amica Antonietta il gradito omaggio di una copia del libro con dedica: “A Elvira e Lorenzo con profonda stima … Antonietta e Tonino 30.03.2019”, che ho letto con vivo interesse.
Si tratta della prima raccolta organica degli atti delle conferenze tenute finora dal suddetto sodalizio; quattro anni di impegno, di ricerche e di analisi, sintetizzati in specifici argomenti che hanno di volta in volta formato l’oggetto della trattazione di ben 12 conferenze (10 delle quali tenute a Poggio Imperiale e 2 ad Apricena in collaborazione con il locale Centro Culturale), alla presenza di un folto pubblico che ha dimostrato in tutte le occasioni di gradire e apprezzare l’interessante e proficua iniziativa culturale.
In ossequio alle motivazioni e alle finalità istituzionali, riportate alle pagine 370, 371 e 372 del libro, il ‘Simposio Culturale’ ha sviluppato tematiche di straordinario rilievo, sia sotto il profilo dell’interesse generale e sia sotto l’aspetto più attinente alle radici, e dunque al paradigma dell’appartenenza dell’individuo alla propria terra e alle proprie tradizioni.
Nel primo filone, assumendosi l’onere (ed anche il rischio) di affrontare argomenti di grande portata, come l’importanza del libro e il piacere di leggere; la Grande Guerra, in occasione del centenario della sua ricorrenza; la vita e le opere del sommo Poeta Dante Alighieri; la Poesia che vince il tempo e rende immortali; la donna, qual mirabile creatura, ma anche: un dono o un danno?; il ‘Puer Apuliae’ ovvero lo‘Stupor Mundi’, proponendo un processo storico a Federico II di Svevia.
Nel secondo, cercando di scoprire chi eravamo, gli albori della nostra storia, anche nell’occasione del bicentenario dell’autonomia amministrativa del comune di Poggio Imperiale, con un occhio attento ai nostri beni culturali, materiali e immateriali, da cautelare. E l’ultima conferenza del 24 maggio 2018 ha riguardato ‘ricorrenze, ideali, aspettative’, approfondendo concetti di pace, libertà, coraggio, ideali e progetti dei ragazzi del 1899 e dei giovani del 1999.
Questa la gamma completa degli eventi:
- L’importanza del libro e il piacere del leggere
- Chi eravamo. Gli albori della nostra storia
- Centenario della Grande Guerra
- Dante: 750 … e non sentirli
- Bicentenario autonomia amministrativa comune Poggio Imperiale (FG) 1816-2016
- Le donne: un dono o un danno?
- I beni culturali: ricchezze da cautelare
- Il sommo Poeta Dante Alighieri (conferenza tenuta ad Apricena in collaborazione con il locale Centro Culturale)
- La Poesia vince il tempo e rende immortali
- Le donne mirabili creature (conferenza tenuta ad Apricena in collaborazione con il locale Centro Culturale)
- Processo storico a Federico II di Svevia
- 2018: Ricorrenze – Ideali – Aspettative
Un lavoro certosino che fotografa e riporta, nei minimi particolari e per ogni evento culturale celebrato, il testo degli interventi dei singoli relatori, le conclusioni e la bibliografia di riferimento.
Un lavoro encomiabile eseguito in equipe da un nutrito gruppo di giovani ricercatori, donne in maggioranza, egregiamente coordinati da Antonietta Zangardi e suo marito Antonio Giacò.
Un lavoro di grande contributo sotto il profilo storico – culturale, poiché in grado di trasmettere ai posteri, soprattutto alle giovani generazioni, tutta una serie di informazioni non semplicemente tratte dai testi, trattati, enciclopedie e, all’occorrenza, pure da Wikipedia, ma frutto di analisi di ricerche e di studi comparati, condotti con particolare saggezza e moderazione da un affiatato e motivato gruppo di lavoro; molto apprezzabili sono le interviste e i processi virtuali ai vari personaggi.
Un libro interessante, ben strutturato e di facile lettura, che offre l’opportunità di fare piacevoli incontri con personaggi della storia, della cultura e del nostro più recente passato terranovese; un piacevole salto all’indietro nel tempo per scoprire o magari solo per approfondire argomenti, fatti o vicende che, personalmente, ritengo abbastanza coinvolgenti.
Al Centro Studi Territoriale ‘Simposio Culturale’, ai relatori delle conferenze e ai tenaci coordinatori, un caloroso ringraziamento per la lodevole iniziativa ed il lavoro fin qui portato avanti, con l’auspicio di traguardi sempre più ambiziosi in nome della cultura e della sua imprescindibile divulgazione.
Oggi 8 marzo, la Festa della Donna
Grandi passi sono stati fatti in tema di parità di diritti e doveri tra uomini e donne, ma ancora oggi persistono retaggi duri a morire e comportamenti riprovevoli che non possono più essere tollerati, in una civiltà evoluta come la nostra.
Ma, come diceva il saggio, mai perdere la speranza!
Veniamo da una civiltà fondata su concetti di … pater familias … manus … dominio dell’uomo sulla donna … sottoposta … prima al padre e poi al marito, in cui imperava il cosiddetto “delitto d’onore”
Quanto tempo è passato! Anni luce.
Eppure, oggi si (ri)parla di “tempesta emotiva” determinata dalla gelosia, che ha reso possibile l’attenuazione della responsabilità di un uomo che ha ucciso la donna con la quale aveva una relazione (e che ha strangolato a mani nude). La sentenza della Corte di Assisse di Appello di Bologna, dei giorni scorsi, che dimezza la pena di 30 anni inflitta in primo grado, portandola a 16, fa quantomeno discutere.
Confidiamo in un sereno, equilibrato e illuminato giudizio della Corte di Cassazione, in ultima istanza.
Ma oggi si parla anche di “grave turbamento”, che può giustificare la legittima difesa, mettendo in seria discussione principi consolidati, con il rischio di ingenerare confusione, caos, scompiglio e … falsi miti, che con le bufale e le fake news vanno tranquillamente a braccetto.
E, non ultimo, viene proposto di attivare un circolo viruoso di entrate tributarie, attraverso la tassazione degli introiti delle operatrici/operatori sessuali, legalizzando di fatto il divieto di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione, sanciti dalla tanto deprecata legge Merlin.
In che direzione stiamo andando? Giusto un secolo fa, un certo clima di confusione, caos, scompiglio e … falsi miti, ci ha regalato un “ventennio” del quale sicuramente possiamo fare a meno.
La cronaca è densa di fatti e fenomeni che destano sgomento in quella fascia della popolazione sana, che vive il disagio dei nostri giorni, percependo peraltro un’ondata di odio e di paura al tempo stesso, che tende a prendere sempre più forza.
Gli anticorpi che abbiamo sviluppato negli ultimi cento anni saranno in grado di proteggerci da questa ondata di epidemia galoppante?
La strada è ancora in salita, ma ce la possiamo fare.
10 febbraio, il “Giorno del Ricordo” delle vittime delle foibe
In occasione dell’anniversario del Giorno del Ricordo di quest’anno, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha ricordato che, mentre il mondo si avviava al “graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli italiani” nelle zone occupate dalle truppe jugoslave: “Non si trattò di una ritorsione. Non erano fascisti in fuga, erano semplicemente italiani”. E poi ha parlato dell’Unione Europea: “Nacque per dire mai più fanatismi”.
Il Giorno del Ricordo è una solennità civile nazionale italiana, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, che viene celebrata il 10 febbraio di ogni anno con l’intento di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e dell’esodo durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra (1943-1945), con particolare riguardo alle persone soppresse e infoibate in Istria, a Fiume, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, dall’8 settembre 1943 (data dell’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile), al 10 febbraio 1947 (giorno della firma dei trattati di pace). La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia, l’Istria, il Quarnaro e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.
Le foibe (e da esse infoibare) sono delle profonde cavità naturali carsiche nelle quali furono gettati molti dei corpi delle vittime; un termine proveniente dal dialetto giuliano e che trova origine nel latino fovea, ovvero fossa o cava.
I massacri delle foibe sono stati degli eccidi ai danni della popolazione della Venezia Giulia e della Dalmazia, avvenuti da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA (letteralmente “Dipartimento per la protezione del popolo” dei servizi segreti militari jugoslavi).
Al massacro delle foibe seguì l’esodo giuliano dalmata, ovvero l’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia, territori del Regno d’Italia prima occupati dall’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia. Si stima che i giuliani, i fiumani e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250.000 e le 350.000 persone.
Per estensione i termini “foibe” e il neologismo “infoibare” sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Si stima che le vittime in Venezia Giulia e nella Dalmazia siano state circa 11.000, comprese le salme recuperate e quelle stimate, più i morti nei campi di concentramento jugoslavi.
Io e mia moglie abbiamo avuto modo di visitare la foiba di Basovizza in occasione di alcuni nostri soggiorni a Trieste e dintorni; si tratta di un inghiottitoio che si trova nella zona nord-est dell’altopiano del Carso a 377 metri di altitudine.
Nel periodo dell’occupazione jugoslava di Trieste in quella foiba fu gettato dai partigiani jugoslavi un numero imprecisato di persone e, a ricordo di tutte le vittime degli eccidi, sul luogo è stato edificato un monumento. Il presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro, nel 1992, ha dichiarato monumento nazionale il pozzo che, in origine, era un pozzo minerario: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d’internamento allestiti in Slovenia e successivamente giustiziati a Basovizza.
Il ritorno (o riunificazione) di Trieste all’Italia avvenne in seguito agli accordi sottoscritti il 5 ottobre 1954 fra i governi d’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia con il Memorandum di Londra, concernente lo status del Territorio Libero di Trieste; in particolare si stabiliva il passaggio di amministrazione della Zona A dall’amministrazione militare alleata all’amministrazione civile italiana e quindi passavano all’Italia i seguenti comuni della zona A: Duino, Aurisina, Sgonico, Monrupino, Trieste, Muggia, San Dorlingo della Valle.
Nella zona A erano presenti 5.000 soldati americani della TRUST (Trieste United States Troops) e 5.000 soldati britannici della BETFOR (British Element Trieste FORce). La presa di possesso della zona A avvenne il 26 ottobre 1954 e gli alleati si ritirarono tra il 25 e il 27 ottobre 1954.
Il Friuli Venezia Giulia è stata una delle zone più militarizzate d’Europa, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla caduta del Muro di Berlino: si calcola che circa tre milioni di persone abbiano svolto il servizio militare in quella regione e che ben 428 fossero i siti militari dislocati su 102 chilometri quadrati di territorio. Oggigiorno molte di quelle caserme sono in dismissione, dopo oltre mezzo secolo di presenza militare che ha segnato la vita di tanti italiani, anche civili, che hanno vissuto gomito a gomito con l’Esercito, come ristoratori delle trattorie nei pressi delle caserme, i fornai che ricordano come le caserme fossero a volte il pilastro dell’economia di un intero paese, i tabaccai, i postini a portar quintali di lettere. Ma anche la formazione di giovani coppie di innamorati (lui militare meridionale, lei friulana).
Anch’io conservo dei ricordi della mia permanenza a Trieste per servire la patria, come veniva denominato un tempo il servizio militare di leva obbligatorio e, in particolare, ricordo le esercitazioni militari e di tiro che svolgevamo sulle alture di Monrupino, nella zona montuosa di confine con la ex Jugoslavia. Ero dislocato alla Caserma di Polizia “Duca D’Aosta” in via Damiano Chiesa di Trieste, in zona San Giovanni.
E, da quello che è dato sapere, la Seconda guerra mondiale è passata anche dalla Caserma Duca d’Aosta, una ex caserma dell’Esercito divenuta successivamente Scuola di Polizia, lasciando una scia di sangue finita nel dimenticatoio. Ma, dall’ottobre 2012, l’area (di oltre 40.000 mq.) è stata decretata bene culturale particolarmente importante, ”esemplare testimone di un lungo periodo della storia particolare della nostra città e specialmente di momenti tragicamente drammatici e del dolore di tanti uomini e donne che vi sono transitati o vi hanno perso la vita in modo atroce”, condizione che rende molto difficile, se non addirittura impossibile, dismissioni o altre forme di speculazione edilizia.
Alla fine del XVII secolo, il sito risultava di proprietà della famiglia patrizia dei de Bonomo, mentre all’inizio del Novecento vi trovarono sviluppo diverse attività industriali come il pastificio Fratelli Girardelli Società Anonima in Trieste, la Fonderia Osvaldella e il colorificio Astra Società per Industria e Commercio a.g.l. con annessa fabbrica del ghiaccio.
Verso la fine del 1928 lo Stato acquistò l’intera area e dopo un intervento edilizio importante inaugurò la caserma intitolandola a Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, quale sede del glorioso 34° Reggimento Artiglieria da Campagna, di cui rimane ancora oggi il prezioso monumento commemorativo che si trova ai bordi del piazzale della caserma.
Nel 1931 il comando venne assunto dal Principe Amedeo di Savoia Duca delle Puglie, figlio di Emanuele Filiberto di Savoia.
A maggio del 1939 il Reggimento assunse la denominazione di 23° Reggimento Artiglieria Sassari e tornò ad essere dal 1940 ancora 34° Reggimento Artiglieria Sassari.
L’8 settembre vide il dissolvimento di tutti gli assetti dello Stato italiano compreso il suo esercito e il 34° ”Sassari”, posto a difesa di Roma, venne sciolto e la caserma immediatamente occupata dalle SS tedesche, che la trasformano in un centro di arruolamento al Lavoro coatto della Todt (1)
Con la resa delle truppe tedesche, il 1° maggio del 1945, l’Armata Jugoslava occupò Trieste e il sito venne subito utilizzato dall’OZNA, la polizia segreta jugoslava, come luogo di prima detenzione, di interrogatorio e di tortura.
Molti civili e militari arrestati vennero portati alla Duca d’Aosta; tanti non fecero più ritorno alle loro case per essere stati avviati ai campi di concentramento prontamente realizzati in territorio sloveno o per essere destinati, attraverso sommarie esecuzioni, alle foibe.
Nel giro di poco tempo si alternarono dunque nazisti prima e armata titina dopo. E dentro sempre triestini vittime ora di uno e ora dell’altro.
Con l’arrivo delle truppe anglo americane la Caserma Duca d’Aosta venne occupata dal 351° Infantry Regiment con i Blu Devils, gli eroici diavoli blu americani e dal Genio Inglese con il 55° e il 66° Royal Engineers.
Quando il 25 ottobre del 1954 le truppe anglo-americane lasciarono Trieste, riconsegnandola definitivamente all’Italia, gli edifici della Duca d’Aosta vennero destinati al Corpo Guardie di Pubblica Sicurezza.
L’intera struttura dal 10 aprile del 1962, con decreto dell’allora Ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, si trasformò definitivamente in Scuola Allievi Guardie di Pubblica Sicurezza, prezioso centro formativo nazionale tutt’ora utilizzata per la formazione degli Allievi Agenti della Polizia di Stato.
Nota (1)
Fritz Todt quale Ministro degli armamenti ed approvvigionamenti dell’esercito nazista concepì una organizzazione – chiamata appunto Todt – di lavoro coatto impiegando prigionieri di guerra al fine di realizzare strade e ponti di interesse militare, ma anche opere squisitamente militari. Un esempio di lavoro eseguito fu la famosa linea gotica, ma tantissimo questa impresa fece in Germania e nei paesi occupati impiegando una manovalanza a costo zero che arrivò fino al milione e mezzo di uomini. A Trieste la Todt aveva sede nel palazzo del Museo del Risorgimento che fu del tutto svuotato per fare posto a questa organizzazione tra i cui lavori troviamo anche parte della rete di gallerie nella zona del Tribunale e Scorcola nota come Kleine Berlin
Le notizie sulla caserma Duca D’Aosta, sopra riportate, sono desunte dalle ricerche storiche di Federica Verin, dipendente dell’Istituto di Polizia di Trieste, riportate in “La mia Trieste” https://www.lamiatrieste.com/2016/07/20/scuola-di-polizia-san-giovanni/
Foto di repertorio da Internet
Corridoi ferroviari europei e No Tav
Si parla tanto di No Tav, che non c’è cittadino italiano (compresi gli stranieri dimoranti nel nostro territorio) rimasto immune da questo continuo martellamento, giusto o non giusto che sia il dissenso alla realizzazione dell’opera, banalizzando forse un po’ anche le motivazioni iniziali che diedero avvio alle proteste qualche decina di anni fa. Il motto è così prepotentemente entrato nel nostro cervello, quasi come un grido di battaglia collettivo … e dunque: No, non bisogna farla! Come è bene invece far colazione con la nutella e mangiare la patatine fritte!
Sembra essere tornati indietro di qualche tempo, quando in Italia si lottava per il famoso ”articolo 18”; in molti casi i manifestanti intervistati non erano in grado di fornire una spiegazione esauriente e plausibile della specifica rivendicazione.
Così nell’ultimo referendum costituzionale: “Renzi se ne deve andare a casa”; senza entrare minimamente nel merito (sconosciuto?) delle proposte referendarie.
Siamo diventati molto superficiali; ostentiamo fermezza sui nostri propositi senza aver tuttavia approfondito bene le questioni di cui stiamo parlando. Ci lasciamo prendere dalla vulgata collettiva che si forma spesso sui social e viene spacciata per oro colato, anziché consultare le fonti ufficiali, considerate sempre più menzogne della casta o dei poteri forti.
E’ forse questo il vero cambiamento! Un cambiamento epocale ove occorre fare i conti con una nuova realtà che tende sempre più ad aprirsi ad una partecipazione virtuale e diffusa, attraverso i moderni sistemi di comunicazione di massa: più like (mi piace) ricevi, più seguito e consenso conquisti, in tutti i campi.
Ma veniamo a noi e al nostro No … Tav (linea ferroviaria per “treni ad alta velocità”).
Innanzitutto occorre premettere che le scelte relative alla realizzazione dei corridoi ferroviari europei sono frutto di analisi e studi di valenza continentale (Europa) e rappresentano la sua spina dorsale, unitamente a quelli stradali e marittimi, al fine di attuare i piani e i programmi di libera circolazione delle persone e delle merci nel mercato interno (europeo e quindi degli stati membri) in connessione con quello esterno ( paesi extraeuropei). Dire, pertanto, sic et simpliciter, che non vogliamo la linea ferroviaria (Tav) Torino – Lione, è pura eresia in quanto significherebbe interrompere un corridoio ferroviario europeo che proviene da ovest (fuori dall’Italia) ed è diretto ad est (fuori dall’Italia), al di là del fatto che sono interventi formalmente condivisi in ambito comunitario, con la previsione della relativa copertura finanziaria.
Come dire, ad esempio, che nella linea ad alta velocità Torino-Milano-Roma-Napoli, la tratta Bologna-Firenze non andava fatta per una serie di ragioni … bla, bla, bla.
Né un’analisi costi-benefici basata su parametri standard può giustificare l’interruzione dell’opera, e ciò in quanto non sono minimamente quantificabili, al momento, gli effetti attrattivi di traffico merci e viaggiatori, il minore impatto ambientale (decongestione traffico su gomma soprattutto dei TIR e minore immissione di CO2), la maggiore sicurezza che le nuove linee ferroviarie comportano rispetto a quelle esistenti e, non ultima, la riduzione dei tempi di percorrenza, che rappresenta una delle esigenze primarie della nostra quotidianità. Mezzo secolo fa non si sarebbe mai investito un centesimo sull’autostrada del sole, che ha invece contribuito a cambiare radicalmente in senso positivo l’Italia. E che dire dei nostri progenitori romani che ebbero l’arguzia di tracciare e realizzare le strade consolari per collegare tra loro le varie località dell’Impero, anche quelle più lontane (Aurelia, Cassia, Flaminia, Salaria, Tiburtina, Casilina, e Appia fino a Brindisi da dove si proseguiva via mare).
Oggi si va in treno da Milano a Roma in 2 ore e 59 minuti, rispetto alle 7 ore di un tempo, nel mentre il TGV attualmente impiega 7 ore e 51 minuti da Milano a Parigi (via Torino – Lione), di cui solo due ore nella tratta francese Lione-Parigi, lunga Km 466, e ben 6 ore per la tratta interessante l’Italia (Milano-Lione via Torino) lunga Km 466. A parità di percorso si impiega un tempo tre volte superiore; evidentemente c’è qualcosa che non funziona proprio sulla Torino-Lione ed in particolar modo sul versante italiano.
Cosa potrebbe accadere nel caso in cui l’Italia decidesse di non onorare l’accordo europeo?
La questione è tutta in salita, nel senso che occorrerà individuare una exit strategy. Sicuramente ci verranno applicate delle penality per inadempimento, con la richiesta di restituzione dei finanziamenti già percepiti. Sotto il profilo delle obbligazioni contrattuali assunte con le attuali imprese appaltatrici, occorrerà accollarsi gli oneri derivanti dalla risoluzione in tronco dei contratti e gestire il problema delle ricadute sociali connesse al licenziamento delle maestranze.
Per il tracciato, sul fronte europeo verranno individuati percorsi alternativi, presumibilmente più a nord, oltre i nostri confini, ricollegandosi poi con il tracciato originario dopo Trieste.
Altro che costi-benefici: buttiamo all’aria un bel po’ di soldi, rinunciando al beneficio di essere attraversati da un corridoio ferroviario europeo così importante, atteso peraltro che parte dei lavori sono stati già realizzati.
Ed anche qui circolano informazioni molto confuse, secondo le quali i lavori non sarebbero mai iniziati. Il gioco delle tre carte mira a far passare il concetto che i chilometri di gallerie sinora realizzate non riguarderebbero la linea ferroviaria vera e propria ma (semplicemente!) dei cunicoli esplorativi. Bene, è proprio così, solo che bisognerebbe approfondire meglio la questione, nel senso che i cosiddetti cunicoli esplorativi sono vere e proprio gallerie (ferroviarie) che vengono scavate prima del tunnel di base (la linea ferroviaria principale) per una funzione geognostica, ossia per conoscere meglio le caratteristiche del terreno e prevedere potenziali problemi di meccanica. E sono delle gallerie ferroviarie interconnesse alla linea principale ed integranti ad essa, come uscite di sicurezza, elementi essenziali alla sua ventilazione e agli interventi di manutenzione. Non sono quindi dei semplici carotaggi, come qualcuno vuole fare intendere.
Il Commissario straordinario del Governo per la realizzazione dell’asse ferroviario Torino-Lione, Arch. Paolo Foietta (nominato con Decreto 23 aprile 2015 del Presidente della Repubblica), asserisce che a tutt’oggi sono “oltre 26 i chilometri di gallerie già scavate in Italia e in Francia per il tunnel di base della Torino Lione, il 15% del totale. A questi vanno aggiunti oltre 65 km di sondaggi geognostici realizzati per conoscere la geologia della montagna», e che “ in Francia la fresa avanza ad una media di 15 metri al giorno ed ha già scavato 6 km della canna sud dell’opera definitiva. Quanto già realizzato è una parte fondamentale della galleria finale. In Italia sono stati scavati 7 km a Chiomonte. Tutti i lavori preliminari sono costati 1,5 miliardi di euro pagati solo per il 25% dall’Italia, il resto da Francia (25%, 350 milioni) e Unione Europea (50%, oltre 700 milioni)”. E, questo, per rassicurare quanti “continuano a negare persino l’evidenza, anche per rispetto alle centinaia di servitori dello stato che a Chiomonte sono stati feriti per difendere il cantiere dalla violenza targata NoTav da centri sociali ed anarchici” – conclude l’Arch. Paolo Foietta (cfr. Firenzepost https://www.firenzepost.it/2018/11/12/tav-torino-lione-di-maio-finora-costruiti-0-km-foietta-venga-a-vedere-i-cantieri/ )
Posso personalmente testimoniare il clima di serie preoccupazioni che ha vissuto il Piemonte e la Val di Susa in particolare nello specifico periodo cui l’Arch. Paolo Foietta fa riferimento e ciò in quanto negli anni dal 1999 al 2008 ho rivestito il ruolo di Dirigente della Direzione Legale di Rfi (Rete Ferroviaria Italiana del Gruppo Ferrovie Italiane dello Stato), in veste di Responsabile della S.O. Legale del Nord Ovest (Lombardia, Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta).
Ho inoltre fatto parte, nel 2008, del gruppo di lavoro, costituito da esperti internazionali, delegato a sostenere lo studio concettuale e monitorare le varie fasi di documentazione appalti e lo svolgimento delle pratiche previste per la costruzione della Galleria di Base del Brennero (BBT).
Approfondimenti
- Dei nove corridoi core che costituiscono l’asse portante della Trans European Network-Transport (rete TEN-T), definita dal Regolamento Europeo 1315/2013, quattro interessano l’Italia, attraversandola da nord a sud e da ovest ad est: il Baltico-Adriatico, lo Scandinavo-Mediterraneo, il Reno-Alpi, il Mediterraneo.Sui tratti nazionali dei quattro corridoi, RFI, insieme agli altri Gestori dell’infrastruttura europei e con il sostegno finanziario dell’Unione Europea, sviluppa gli investimenti e gli interventi in grado di garantire, entro il 2030, il potenziamento, l’efficientamento e l’adeguamento dell’infrastruttura ai parametri di interoperabilità.
I corridoi core rete TEN-T che interessano l’Italia
Corridoio Baltico – Adriatico: si estende dai porti polacchi di Gdansk e Gdynia e da Szczecin e da Swinoujscie e, passando attraverso la Repubblica Ceca o la Slovacchia e l’Austria orientale, raggiunge il porto sloveno di Capodistria e i porti italiani di Trieste, Venezia e Ravenna. Il corridoio comprende ferrovie, strade, aeroporti, porti e terminali ferroviario-stradali (RRT). I progetti principali sono la galleria di base del Semmering e la linea ferroviaria del Koralm (Graz-Klagenfurt) in Austria.
Corridoio Scandinavo – Mediterraneo: si estende dal confine russo-finlandese e dai porti finlandesi di HaminaKotka, Helsinki e Turku-Naantali a Stoccolma, attraverso “un’autostrada del mare”, e attraversa, con una sezione da Oslo, la Svezia meridionale, la Danimarca, la Germania (collegamenti con i porti di Brema, Amburgo e Rostock), l’Austria occidentale, l’Italia (collegamenti con i porti di La Spezia, Livorno, Ancona, Bari, Taranto, Napoli e Palermo) e raggiunge Malta. Il corridoio comprende ferrovie, strade, aeroporti, porti, terminali ferroviario-stradali (RRT) e sezioni di “autostrada del mare”. I progetti principali di questo corridoio sono il collegamento fisso del Fehmarn Belt e, per l’Italia, la galleria base del Brennero.
Corridoio Reno – Alpi: collega i porti del Mare del Nord di Anversa, Rotterdam e Amsterdam e il porto italiano di Genova attraversando la valle del Reno, Basilea e Milano.
Il corridoio comprende ferrovie, strade, aeroporti, porti, terminali ferroviario-stradali e il Reno come via navigabile interna.
Corridoio Mediterraneo: collega i porti di Algeciras, Cartagena, Valencia, Tarragona e Barcellona nella Penisola iberica, con l’Ungheria e il confine ucraino, passando per il sud della Francia, l’Italia settentrionale e la Slovenia, con una sezione in Croazia. Il corridoio comprende ferrovie, strade, aeroporti, porti e terminali ferroviario-stradali e, nell’Italia settentrionale, la via navigabile interna costituita dal fiume Po. I progetti principali del corridoio sono le linee ferroviarie a scartamento standard UIC in Spagna, la galleria ferroviaria Torino-Lione e il collegamento Trieste/Capodistria- Lubiana attraverso la regione carsica.
- Rispetto alla linea ferroviaria che già collega Torino alla Francia, il percorso progettato per la nuova linea si presenta più breve e pianeggiante. Ad oggi, la tratta attuale compie una curva verso Oulx, per poi risalire in direzione del traforo ferroviario del Frejus. Con la Tav, questa curva sarebbe “tagliata” da un tunnel a due canne, che passerebbe direttamente sotto il Moncenisio.In caso di realizzazione, questo traforo – noto come “tunnel di base del Moncenisio” – diventerebbe uno dei tunnel ferroviari più lunghi al mondo, con i suoi 57,5 chilometri di lunghezza (45 in Francia e 12,5 in Italia). Fonti: https://pagellapolitica.it/blog/show/204/il-tunnel-di-base-della-tav-esiste-gi%C3%A0-o-no
Foto di repertorio da Internet